“Prima c’è stato il piccione, poi l’anatra e il black cod: nella ristorazione di qualità si succedono delle mode. Ma noi non seguiamo le tendenze. E forse è questo che ci rende attuali da più di tre decenni”. Jin Yue Hu è il proprietario di Izu, un ristorante che a Milano esiste da oltre trent’anni. La storia del locale, sempre situato nel quartiere di Porta Romana, comincia infatti nel 1993, quando i genitori di Jin approdano in Italia dalla Cina e aprono una piccola gastronomia specializzata in piatti da asporto in Corso Lodi 27. “Da piccolo pulivo le padelle pur di stare con mio padre”, racconta Jin Yue Hu. Essendo tra i primi ristoranti cinesi a proporre la cucina giapponese in Italia, piano piano Izu cresce nelle dimensioni e nell’apertura culturale, che oggi, al posto della sola cucina giapponese, mescola più suggestioni e sapori internazionali. E con gli anni, insieme al ristorante cresce anche Jin. Prima inizia a fare esperienza in cucina e poi va a dirigere due ristoranti italiani, dove impara l’arte della panificazione. Finché, nel 2010 succede al padre al timone di Izu, che è stato di recente rinnovato “per dargli un’aria un po’ newyorkese”, ci spiega il proprietario del ristorante, che da pochissimo è stato segnalato dalla Guida Michelin dopo aver ricevuto i “due mappamondi” nella Guida del Gambero Rosso 2025.
Già evocare l’atmosfera americana in un ristorante di cucina giapponese fa capire come la commistione sia uno dei cardini di Izu. Questo significa che l’atmosfera della cultura giapponese aleggia e costituisce la base di partenza, ma è arricchita dall’incontro con altre culture, da quella italiana a quella sudamericana a quella coreana, determinando risultati innovativi. “Abbiamo introdotto anche alcuni elementi cinesi, perché l’amore per la cucina orientale in senso lato non può soffocare le nostre radici, spiega Jin Yue Hu.


“Per esempio, nel menu abbiamo i Gyoza, ravioli di origine cinese importati in Giappone, ma ne presentiamo una versione multiculturale con maiale e zafferano. E comunque, al di là della contaminazione, i punti fermi dalla nostra cucina sono: materia prima di qualità, salse che non coprono bensì ne valorizzano la freschezza e molta flessibilità. Se a un cliente se non piace il salmone lo sostituiamo con la ricciola, se non ama il fritto proponiamo un pesce al vapore o scottato. E, in aggiunta ai piatti esotici prepariamo poi qualche piatto di cucina mediterranea, come la catalana di astice, cui aggiungiamo però un tocco di shiso”.
Un approccio customer centrico che non esclude però proposte audaci, come le novità di recente introdotte nel menu. Una di esse è la Trilogia di ceviche, realizzata con tre tipi di pesce bianco: berice rosso (scottato su carbonella), ricciola e spigola con un tocco orientale, dato dall’olio di coriandolo, abbinato alla cipolla rossa di Tropea, passata in ghiaccio perché diventi “meno aggressiva” predominando sul pesce. Ne risulta una marinatura talmente golosa che di prammatica ai commensali viene dato un cucchiaio per finirla. Altrettanto appetitosa è la Trilogia di tonno rosso in tartare, con chips di alga nori: in realtà la chip è una sorta di cracker da usare a mò di crostino, per spalmarvi sopra un mix goloso di tonno, che ne comprende la parte magra, la parte semigrassa e la parte grassa del tonno (di qui la definizione di trilogia). La croccantezza delle chips contrasta con la scioglievolezza della tartare in modo molto armonioso, e il divertimento di mangiare con le mani accresce il piacere sensoriale della ricetta. Pregevoli anche i Nigiri omakase, che utilizzano la miglior materia prima disponibile secondo la stagionalità (chi scrive ha provato i nigiri con ventresca di tonno rossa e gambero rosso di Mazara Del Vallo) e ottimo il Carpaccio di capasanta con vinaigrette allo yuzu (originario della Cina), gocce di umeboshi (condimento giapponese a base di prugna) e basilico viola.



Va detto che al sapore si aggiunge una spiccata sensibilità estetica, che fa di questi piatti una gioia per gli occhi, prima ancora che per il palato. Forse è anche per questa gradevolezza perfino superiore agli standard, già elevanti, della ristorazione orientale, che i clienti ritornano con frequenza. “La clientela si compone soprattutto di italiani e poi di coreani e giapponesi – spiega Jin – spesso i clienti che ci hanno scoperto da bambini, trent’anni fa, tornano qui con la famiglia, per far conoscere ai loro figli i nostri piatti. Perché venire qui non è solo nutrirsi, ma conoscere una storia”. Difficile intuire, però, se la più interessante sia quella di una tradizione lontana o quella di una famiglia da trent’anni votata alla ristorazione.