Chiamarlo vino non è del tutto corretto, ma è il parallelo più facile che possiamo fare per avvicinarci in punta di piedi a questa strepitosa bevanda millenaria ricca di storia: il sakè. In realtà, è una via di mezzo tra vino e birra, poiché alcune fasi della produzione si avvicinano a quella della birra, mentre l’utilizzo e il grado alcolico assomigliano di più al vino.
La cultura del bere sakè ha radici profonde nella cultura giapponese ed è indubbiamente la bevanda alcolica più rappresentativa del Paese.
L’ingrediente chiave è il riso, elemento iconico giapponese, che viene lavorato semplicemente con acqua, koji (Aspergillus oryzae) – un fungo usato per la fermentazione controllata di vari alimenti – e lieviti. Dopo la macinazione e la raffinazione, il riso viene cotto, mescolato con acqua calda e koji e fatto fermentare. Il koji converte l’amido presente nei cicchi di riso in zucchero che a sua volta viene trasformato in etanolo grazie ai lieviti. Il risultato è una bevanda alcolica con una gradazione che varia dai 15 ai 22 gradi, limite oltre il quale non può essere considerato sakè secondo la legge giapponese.

Ma da dove viene?
La storia del sakè è ancora un mistero.
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