Il destino di Venezia non è segnato. La città lagunare non è solo quella cantata da Francesco Guccini (“Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare. La dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi Venezia, la vende ai turisti”, parole del cantautore piemontese Gian Piero Alloisio) o quella descritta in libri come “Se Venezia muore”, di Salvatore Settis.
I problemi e le fragilità di questa perla unica nell’Alto Adriatico – che si chiamano sovraffollamento turistico, allontanamento dei residenti, per far spazio agli affitti brevi turistici di Airbnb, inquinamento legato all’ingresso delle Grandi Navi in Laguna e moto ondoso delle navi che corrode le fondazioni degli edifici – non mancano, e anzi si palesano come un uppercut sferrato in pieno volto non appena ci si muove tra le calli muniti di un maggior spirito di osservazione e dimenticando per un attimo l’immortale bellezza.
Ma, senza indugiare sui bar dove una colazione costa come un pranzo, chi come noi si occupa delle vicende squisitamente gastronomiche sa che oggi è possibile rialzare la testa e affermare che Venezia negli ultimi tempi ha saputo offrire decisivi segnali di risveglio. Questo grazie all’arrivo di nuovi chef soprattutto nella fascia di ristorazione più alta – spesso ospitati all’interno di alberghi di lusso – ai quali si sono aggiunti alcuni indirizzi vivaci e degni di nota. In molti casi si tratta di cuochi forestieri che arrivano da altre culture e da altri territori, che studiano e si informano per far propria la cucina del luogo e diventano i veri artefici della rinascita lagunare a tavola.
Tra questi il nome più “chiacchierato” rimane quello di Donato Ascani, ciociaro originario di Fiuggi e da qualche anno titolare della cucina del Glam by Enrico Bartolini. Il ristorante bistellato è ospitato all’interno di Palazzo Venart, sulla direttrice pedonale che dalla stazione di Santa Lucia conduce verso il Ponte di Rialto, in pieno “turistificio”.


Il caso Ascani
Scarmigliato e barbuto, al punto che se indossasse un completo giacca e pantalone dal taglio classico lo vedresti bene a fianco dei nomi storici dell’esistenzialismo europeo, Donato Ascani di mestiere fa il cuoco e solitamente veste casual quando è in libera uscita e frequenta qualche bacaro veneziano per un goto (un bicchiere) o si siede al tavolo di una delle poche vere osterie tradizionali rimaste in città davanti a un piatto di moeche (granchietti in fase di muta). Il suo percorso professionale è presto sintetizzato ricordando alcuni dei passaggi più significativi presso mostri sacri quali Enrico Crippa e Paolo Lopriore. Ancora oggi Donato Ascani ricorda come fondamentale l’incontro con quest’ultimo, il cuoco di Appiano Gentile, nella sua pur breve esperienza ai Tre Cristi, a Milano, ai tempi in cui veniva presentata l’idea della cucina conviviale. “Per lavorare da lui ho anche declinato l’invito ad andare a lavorare in Francia – rivela oggi – ma non me ne sono certo pentito. Paolo è geniale ed è sempre stato un passo avanti a tutti. Peccato solo che le condizioni non hanno permesso di portare avanti il progetto. Poi però è accaduto che Remo Capitaneo, che lavorava per Enrico Bartolini, mi ha proposto di visitare questo nuovo ristorante a Venezia, nell’estate del 2016, e devo dire che sin dall’inizio ho fortemente subito il fascino del luogo. Con una cucina e una sala piccole, il palazzo antico, la corte interna, l’affaccio sul Canal Grande. Sembrava di essere all’interno di un sogno e così ho lasciato i Tre Cristi a Milano, poco dopo Lopriore, e sono arrivato a Venezia dove mi sono buttato a capofitto nel lavoro. Nei primi sei mesi di apertura ricordo di aver fatto sì e no tre giorni di pausa, ma è stato subito molto stimolante”. E il riscontro da parte di critica e pubblico – amplificato anche dal contemporaneo successo di Enrico Bartolini che non va dimenticato mette la firma al Glam – è davvero immediato, perché nel 2017 arriva la prima stella e due anni più tardi la seconda.


È facile dire dopo essere passati al Glam che del cuoco laziale piace la nettezza dei sapori, la capacità di esaltare le caratteristiche di ogni materia prima, di creare combinazioni di grande equilibrio all’interno di una estetica piacevole e mai fine a sé stessa.
Perfino l’autorevolezza con la quale impone da un giorno all’altro su una piazza così complicata un nuovo canone gastronomico fatto di punteggiature amare, di sottili acidità, di contrapposizioni non banali e non necessariamente Made in Venice, visto che la ciociaria non la si dimentica in un cassetto della memoria. Le dimensioni ridotte della sala, i pochi coperti e un servizio che si potrebbe definire “su misura” rende in poche stagioni il Glam il ristorante più interessante in città. Ancor più oggi che oltre al talento del cuoco e alla discrezione in sala di Davide Bravetti si è aggiunta la competenza enologica di Ottavio Venditto, veneziano doc e già miglior sommelier d’Italia AIS nel 2014. Alcuni dei piatti sono ormai dei classici, come le Acquadelle in salse, l’Agnello alla brace con carciofi e menta o il dessert Latte e fichi. Per comprendere meglio la filosofia che c’è alle spalle abbiamo trascorso un giorno con Donato in giro per le calli veneziane, tra gli orti delle isole, nelle vetrerie di Murano, a casa sua e per cicchetti.
A day in the life of Donato
“All’inizio ho lavorato in trattorie di hotel vecchio stampo, a Fiuggi, ed è intorno ai sedici anni di età che mi ritrovo a dover sostituire di punto in bianco il cuoco titolare che decide di andarsene, in un posto che aveva un centinaio di coperti e che quindi faceva numeri non da poco. Dove, letteralmente, si battagliava e si sudavano ogni giorno sette camicie. Poi la cosa più divertente era che, quando i clienti chiedevano del cuoco, uscivo in sala e non credevano ai loro occhi perché ero molto giovane e ai tempi ero anche un po’ grassottello. Quello è stato il mio vero battesimo del fuoco”.

Il tragitto in barca alla Vetreria Artistica di Lorenzo Panisson, sull’isola di Murano, permette di iniziare a tracciare un profilo del carattere ascaniesco: seguendolo in una sua giornata tipo, che a volte riserva qualche deviazione più che originale. “I progetti di contorno alla cucina sono sempre stimolanti, come l’idea di lavorare su un bicchiere da mettere in tavola. Qui a Murano ci sono molte possibilità per realizzarne di unici collaborando con i maestri vetrai” racconta mentre muove tra le mani una preziosa coppa finemente lavorata. A immaginare questo “contorno”, però, ci arriva solo chi prima ha capito quale è la sua strada. “Quando uno prende la decisione di fare il cuoco e arriva in un posto nuovo, deve imparare prima la tradizione di quel posto, poi identificare la clientela che c’è sulla piazza e solo alla fine può elaborare uno stile proprio. Studiare la tradizione significa andare nella trattoria giusta, mangiare, parlare con l’oste, come è capitato a me con Loris del Bepi Antico 54, oppure con Matteo Tagliapietra del Local o Francesco Agopyan de Le Antiche Carampane” racconta Ascani. Elenca i nomi di persone importanti “che mi hanno dato una grossa mano, preziosi consigli e con le quali condivido idee già nelle prime ore della mattina, quando ci si incontra al mercato per scegliere il pesce” spiega. Questo momento, aggiunge, è “uno dei momenti più belli della giornata, per lo scambio di battute e di opinioni, per la complicità. E lo stesso discorso potrei farlo per il pescatore che ti racconta la ricetta della tradizione o ti dice quando ci sono i pesci giusti in laguna. Insomma, ogni giorno è una scoperta e un libro sul quale appuntare nuove impressioni. Dopo un po’ di tempo che arrivi a Venezia, ti rendi conto che la città è magnifica, certo, ma quello che c’è intorno, se fai il cuoco, è ancora meglio”.


Il discorso cade a fagiolo mentre ci dirigiamo a velocità sostenuta in direzione Cavallino Treporti, dove ad attenderci c’è Marco Bozzato dell’azienda Verbezia. “Questa è stata una delle scoperte più entusiasmanti da quando sono arrivato in laguna – ci dice Donato mentre entriamo nelle serre – e la ricchezza e la diversità della natura lagunare si manifesta appieno proprio su quest’isola. Le erbe e le verdure piantate su terreni sabbiosi crescono con un profumo molto intenso, con un’aromaticità spiccata, con le note minerali del mare, perché se ti metti a scavare il terreno a cinquanta centimetri di profondità qui c’è l’acqua del mare. La piccantezza delle senapi, rosse o verdi – di cui faccio largo uso soprattutto nel periodo invernale e a inizio primavera – è esplosiva così come l’amarezza del pak choi, della mizuna o della mibuna”. Il giovane Marco Bozzato è davvero un visionario che rappresenta la nuova generazione di agricoltori lagunari, con una ricca selezione di misticanze ed erbe aromatiche che sono diventate anche oggetto d’attenzione per chi propone un nuovo genere di cicchetti, con le erbe del Cavallino ribattezzate le Verbezie.
La giornata prosegue con una sosta mangereccia nella casa veneziana di Donato, dove, davanti a un forno certamente meno professionale del Glam, va in scena una carrellata di sapori genuini del territorio, quelli che il cuoco ha imparato a conoscere in questi anni. Così il fegato alla veneziana non si tocca nella sua versione classica e viene adagiato delicatamente su un letto di cipolle, le schie saltano croccanti in bocca, l’anguilla diventa un boccone da street food, le seppie con carciofi, agili e gustose, mettono d’accordo tutta l’Italia costiera, mentre la granseola – regina della tradizione natalizia veneziana – è lo sfizio perfetto per chiudere in bellezza.


“Sia a casa che al Glam cerco una cucina schietta, con pochi sapori dentro il piatto e sempre riconoscibili. Io penso che ormai il lavoro di ricerca del cuoco non è più inventare un piatto (perché a questo mondo non si inventa più niente) ma al 50%, se non oltre, ormai è dettato dalla ricerca della materia prima. E sicuramente se il cliente ordina una seppia deve essere la migliore che si trova sul mercato. Se dovessi definire in poche parole il mio stile direi che è sincero, diretto e pulito. Nei piatti del Glam trovi sempre tre ingredienti, massimo quattro, perché non c’è bisogno di aggiungere altro. E bisogna sempre ricordare che lavorare qui è difficilissimo. Ne parlavo poco tempo fa con Corrado Fasolato (chef del Spinechile Resort a Schio, nel vicentino) e lui mi diceva che prima di fare un piatto a Venezia ci pensi sempre una decina di volte, perché devi immaginarlo per il cliente cinese, per quello francese, per quello americano, per il veneziano, per l’amico e perfino per il collega che viene a trovarti!”.
Donato, si muove agile ai fornelli in una minuscola cucina casalinga e ricorda come forse era destino che dovesse tornare in Veneto prima o poi. “Dopo Fiuggi, e in anticipo sui miei quattro anni alla Scuola internazionale di cucina di Alma, la mia prima vera esperienza di cucina gourmet è stata da Fabio Tacchella all’Antica Pesa a Verona. È lui, a ben guardare, il cuoco che mi ha iniziato al fine dining. Non saprei dire se nel seguito della carriera mi è mancata così tanto un’esperienza lavorativa fuori dall’Italia, a cui ho rinunciato, pur essendo passato nelle cucine di Lopriore e di Crippa, che all’estero ci sono andati. Ai tempi potendo scegliere avrei forse trascorso qualche stagione in Francia, anche se oggi farei scelte ben diverse. Prima di tutto non andrei in uno stellato, ma in partenza sceglierei la destinazione dove non conosco nulla della cultura, della cucina e delle materie prime e dove posso imparare nuove tecniche ma legate sempre alla tradizione. Perché altrimenti tanto vale andare in Spagna, dove mi diverto sempre a mangiare, ma alla fine non è una cucina che mi piace fare, perché non mi regala emozioni. Odio le cotture sottovuoto. Amo invece quelle in padella, sul fuoco, quando, scegliendo la materia prima, riesci a capire meglio il valore del prodotto che stai lavorando”.


Ma una giornata veneziana non può ritenersi tale se non si esce verso sera per cicchetti.
L’’indirizzo in questo caso è quello di una vecchia volpe come Loris Giupponi, istrionico oste della trattoria Bepi Antico 54, al Campo dei Santi Apostoli. Donato Ascani, insieme a Davide (fido responsabile di sala) a Ottavio (sommelier) e Giovanni Astulfoni (il nuovo aiuto di cucina), ha in queste due sale – che sembrano uscite da un racconto di Hugo Pratt – il luogo prediletto dove ingannare il tempo al di fuori degli orari lavorativi. Tra un buon bicchiere di vino naturale o biologico – un trend che Venezia ha accolto in tempi non sospetti – deliziosi cicchetti e l’inevitabile sequenza di gossip gastronomico locale, c’è anche spazio per guardare verso il futuro con un’idea. “Mi piacerebbe avere un orto tutto mio – dice Donato – per coprire almeno la metà della richiesta vegetale del ristorante. Sarebbe bello avere anche una barca e poter poi trasportare verdure e ortaggi e metterle a disposizione di tutti i ristoranti a firma Enrico Bartolini, perché quello che cresce a Venezia non lo troverai mai altrove. Ma dimmi tu quando mai le castraure buone (germogli dei carciofi violetti che vengono coltivati nell’isola di Sant’Erasmo, ndr) arrivano a Milano? Qui invece mettono i brividi, sia cotte che crude!”.