“Invitare qualcuno alla nostra tavola vuol dire incaricarsi della sua felicità durante le ore che egli passa sotto il nostro tetto”
Fisiologia del gusto – Anthelme Brillat-Savarin
A volte la vita fa dei giri un po’ strani. Può capitare di incontrarsi nell’affascinante e iperattiva Copenaghen e poi cambiare vita e comprare un pezzo di terra e un casolare nell’immensa quiete dell’altrettanto affascinante Valchiusella. Questa è la storia di Rantan, la farmhouse paradisiaca che sorge nel mezzo del nulla a Trausella (TO), di Carol Choi e Francesco Scarrone: moglie e marito, cuochi e contadini, osti e panificatori e un po’ di tutto e tutto soltanto insieme, al ritmo della natura.
La nostra storia ha inizio a pane e salame, si scherza, ma non così tanto in fondo. È Il 2012: Copenaghen è in fermento e i ristoranti di Christian Puglisi – Relæ e Manfreds – sono senz’altro i cardini di un movimento che negli anni successivi ha contribuito a cambiare le dinamiche gastronomiche mondiali. Francesco Scarrone, piemontese del Canavese, ha appena finito l’Alma ed è in cerca di un cambio radicale nell’approccio in cucina. Trova nel Relæ quel qualcosa di diverso dal suo background: un solo percorso degustazione onnivoro/vegetariano, no pasta, no primi; a parte il pane, non c’erano amidi, era tutto incentrato sulle verdure. Un anno e mezzo dopo voleva fare esperienza sul campo agricolo; aveva in testa le basi dell’agricoltura, grazie allo studio matto e disperatissimo su libri dedicati. Poi Christian l’ha coinvolto nella nuova apertura di Bæst (la pizzeria con produzione in sede) e gli ha affidato lo sviluppo delle ricette di charcuterie e formaggi del locale, con tanta ricerca dietro e altrettanta libertà di scoperta.
Torniamo a quel 2012, sempre a Copenaghen. Carol Choi è al Noma dal 2010 – area bread&pastry – quando decide di prendersi una pausa per partire in stage più nordici, in Svezia, passando anche per la cucina del Faviken di Magnus Nilsson. Tornata a Copenaghen, si ritrova nel reparto pasticceria di Relæ e Manfreds, passa la metà del suo tempo a panificare e si entusiasma per la materia. Poco tempo dopo Christian sceglie Carol per la produzione di pane e dolci di Mirabelle, la bakery e eatery negli stessi spazi di Bæst. Facile immaginare che è qui che le storie di Francesco e Carol s’incrociano (tra sourdough e charcuterie, appunto) e si fondono, con un matrimonio a sancirne l’unione in un gelido giorno di dicembre danese, sotto una nevicata tutt’altro che romantica, ma con un banchetto casalingo a base di ostriche e dolci di ogni tipo.
Incontriamo Carol e Francesco a metà maggio, in una primavera bizzarra in cui l’orto non è ancora in festa e il clima ci regala una nevicata lampo seguita da un cielo azzurro e limpido. La Valchiusella è bella (rima pessima) tutta in verde vivace; la natura la fa ancora da padrona qui e la quiete è interrotta solo dallo scampanare di qualche vacca e dal gorgoglio del fiume. Due faggi rossi secolari delimitano l’ingresso di Rantan e introducono un grande prato verde (…dove nascono speranze) e un antico casale in pietra. Veniamo accolti con due sorrisi a 32 denti, una tazza di caffè filtro monorigine dell’Etiopia – ossessione di Francesco: no espresso, solo filtro – e un paio di pantofole a testa. Ci togliamo le scarpe ed entriamo nel micro-macro mondo Rantan, che è una scelta di vita prima di esser quello che è e potrebbe essere. Tutto il progetto è basato su di loro, Carol e Francesco. Sono interscambiabili? No. Hanno degli interessi e delle attitudini molto personali, messi in sinergia per formare una squadra vincente. In cucina lei è la pasticciera-panettiera e lui il cuoco e il pane non lo tocca. Perché non vorrai più altro pane al di fuori di quello di Carol, è pazzesco. Lievito madre e una miscela complessa perfettamente calibrata tra: grani di antiche varietà piemontesi, farro spelta con una mineralità dolce adorabile, grano duro siciliano che sa di nocciola, camomilla, liquirizia, grano tenero perché è essenziale e un pizzico di segale, immancabile perché, dice Carol, “rende la fermentazione magica e la profondità del sapore migliora di netto”.
Tutto il menu lo decidono insieme e, come le brigate complesse, ogni lunedì mattina fanno un briefing per organizzare la settimana e dividersi le mansioni. Francesco è sempre stato attratto dall’agricoltura: si divertiva in cucina, ma aveva la sensazione di doversi sporcare di più le mani per capire come un prodotto arriva sul piatto. Carol, invece, amava l’ospitalità e l’atmosfera che si creava a Copenaghen nelle visite tra colleghi ai produttori: si prendeva qualsiasi cosa si trovasse nell’orto, si accendeva un fuoco e si cucinava.
We wanna change our lifestyle, hanno scritto nella prima riga del loro progetto e tutto è stato costruito intorno.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo Torino, dove Francesco ha lavorato per 2 anni al Consorzio mentre Carol si è dedicata alle consulenze in materia lievitati. Cercavano il loro luogo giusto e pensavamo di trovarlo in Auvergne, nel mezzo della Francia, ma era troppo nel mezzo del nulla. Cercavano le montagne, stufi del paesaggio piatto e pianeggiante danese, isolate ma non irraggiungibili, con un po’ di terreno coltivabile facilmente a mano senza terrazzamenti. Assolutamente a caso hanno trovato il casolare ideale in una piana ignota della Valchiusella, non lontano dalla meta delle vacanze sciistiche di Francesco quando era bambino. Nel 2017 ne sono diventati i proprietari, i lavori di ristrutturazione sono iniziati nel 2018 e terminati nell’aprile successivo; a luglio 2019 hanno aperto “Rantan. Farm, house, conviviality” dal nome piemontesissimo che significa pantano ma porta con sé il fascino e l’incertezza della pronuncia dei termini stranieri.
L’esperienza da Rantan è differente perché prima di tutto è casa di Carol e Francesco (e di Ben e Ozzy due splendidi micioni che sono parte integrante dell’arredamento). Qui praticano quella cosa geniale che si chiama Ospitalità Rurale, una formula regionale che consente di usare la propria abitazione per attività ristorativa e pernottamento. L’85% della materia prima utilizzata deve esser prodotta in loco o nella regione e acquistata direttamente dalle aziende agricole. L’altro 15% – tipo sale, zucchero, olio – può venire da qualunque parte. La legislazione sulle forniture calza a pennello con quello che Carol e Francesco avevano in testa, consente loro di aver relazioni dirette con i produttori, prezzi più accessibili e di gironzolare in cerca di prodotti e persone eccezionali. Come nel caso del vino, quasi solo piemontese, con una selezione di bottiglie in campionatura limitatissima, souvenir di escursioni in giro per l’Europa.
Quel che accade qui si può riassumere in poche parole: si valorizza tutto quello che succede prima che il cibo venga colto e si mette in rilievo la materia, senza complicazioni. In un’atmosfera casual, comfort, hygge; dall’orto alla tavola per davvero nel modo più bucolico e gustoso che si può immaginare. Dal lunedì al venerdì Carol e Francesco sono contadini, dal venerdì alla domenica sono cuochi (per 3 servizi: venerdì e domenica a pranzo e sabato a cena) e osti. Per il bene loro, dell’orto e degli ospiti.
Prima di passeggiare nell’orto, facciamo visita alla nursery che ospita tutti i germogli nella fase antecedente al campo. Ci sono i chilli coreani, gli habanero e il piccolo naga dal piccante killer; il shiso corenano, la melanzana di una vecchia varietà giapponese che ha trovato in Valchiusella il suo microclima perfetto, i cuccioli di sedano rapa, le zucchine, i cetrioli, i peperoni, cavolo nero, red kale, green kale, i broccoletti di Bruxelles, i cavoli, i porri. Tutto è su piccola scala, c’è poco di tanto. C’è solo quello che vogliono e usano, non fanno vendita diretta. Scelgono le varietà: locali, coreane, giapponesi, danesi, trovano i semi e utilizzano il 95% del prodotto.
L’approccio in campo è genuino, integrato, a basso impatto ambientale, non prevede l’uso di agenti chimici, ma manualità e capacità di intuire le piante.
Senza la necessità di sbandierare l’etichetta bio, per loro lavorare in quei termini è il minimo indispensabile per parlare di agricoltura. Prendiamo per esempio le fragole, di due varietà tramandate dalla Danimarca. Sono nel loro ambiente naturale, senza plastica attorno, in compagnia di funghi, circondate da tanti tocchetti di legno. Il sistema agricolo è qualcosa di complesso e articolato e deve essere investigato, per questo quando una coltivazione fatica, cercano di capire la causa del problema. Si chiama agricoltura rigenerativa. La conservazione e riabilitazione del suolo per Francesco è diventata un’ossessione, come il caffè. È essenziale capire il funzionamento dell’attività microbica del terreno, così com’è necessario interpretare l’attività dei microorganismi che si occupano di conservare i prodotti in cucina. Con la pacciamatura proteggono il suolo, inibiscono la crescita delle erbacce, migliorano la fertilità e trattengono l’umidità. Ricoprono il terreno (abbastanza povero e sabbioso) con uno strato abbondante di compost, ottimizzano lo spazio associando le colture e razionalizzano l’utilizzo delle risorse, cercando di bagnare pochissimo. Creano sistemi forti, complessi come quelli selvatici, che richiedono il minimo investimento di risorse e stimolano la microbiologia nel suolo.
Gli interni della casa emanano calore in ogni angolo, tra legno, pietra, camini, libri da sfogliare e gatti da accarezzare. Lasciamo che siano le foto di Olivia a rendervi l’idea.
La sala da pranzo di Carol e Francesco è il ristorante, la cucina è proprio quella di casa, a induzione, molto grande con tutto quello che serve al posto giusto. Differisce solo il forno, che non poteva che esser professionale per le prodezze lievitate di Carol. Un unico tavolone in legno, al centro, riempie la sala; pre-Covid i posti per gli ospiti erano 14 (16 stretti), ora sono al massimo 8.
Quello che c’è si mangia, tutti insieme, contemporaneamente. Il menu è fisso e onnivoro, non ci sono opzioni. È imposto dalla stagione in corso ed è strettamente dipendente dalle stagioni precedenti. Si adatta a quello che succede nell’orto e forza flessibilità ai cuochi che lo programmano e si preoccupano di renderlo bello, molto buono e soddisfacente per tutti. È un menu praticamente giornaliero fatto da 7/8 piatti con le verdure del loro orto, le erbe spontanee del bosco e il supporto delle proteine di produttori amici. “Valli Unite ci fornisce la carne, ci siamo innamorati da subito del loro progetto. Prendiamo mezzo maiale e facciamo quello che possiamo: il lardo, la charcuterie cotta, l’headcheese, le rillettes. Non serviamo quasi mai carne di manzo, è molto difficile avere la stessa tracciabilità dei maiali di Valli Unite che vivono e sono macellati nello stesso luogo senza subire traumi di trasporto”. Per i formaggi si affidano a Vittorio, il casaro vicino di casa e a Matteo, affinatore de Le Tome di Villa. Quando l’orto piange, nei mesi freddi o in quelli di transizione, fanno affidamento alle scorte fermentate conservate (sott’olio, sott’aceto, con zucchero o sale) pescando dalle tradizioni culinarie di tutto il globo. Come la salsa di soia coreana, opera di Carol, in fermentazione – con koji home made – in anfora opportunamente rivestita di cera d’api.
Pane al centro e burro della valle a fianco, montato à la minute in planetaria. Il set up è anticonvenzionale: non ci sono primi e paste, il focus è sul pane come elemento principale. Quel che gli sta attorno è senza patria e geografia e non potrebbe essere più locale di così.
“Apprezziamo tutte le culture culinarie nel mondo, prendiamo tecniche e tradizioni ora da uno ora dall’altro patrimonio enogastronomico e le mettiamo insieme”.
Rantan è casa e casa è condivisione, infatti, molti dei piatti sono in comunione tra gli ospiti. L’Headcheese da sballo – tra un aspic e una testa in cassetta fatto da Francesco con una testa intera di maiale di Valli Unite, tagliata a pe cotta e pressata – tagliato a fette con qualche foglia di nasturzio per una sferzata di piccante; le Carote dell’anno scorso, dolci e croccanti, appena cotte al vapore e marinate in aceto di vino rosso La Rina di Cascina Iuli (per un’oretta), condite con cipollotto rosso fine fine, olio e una punta di Artemisia abrotanum (sbianchita 30 secondi in acqua salata per eliminare le note amare); i Gherkins, cetrioloni sott’aceto con salsa di soia (che Carol preferisce chiamare cornichons) e le Rillettes di spalla di maiale con finocchietto marrone. Tutto va con il pane e viceversa. Anche le Friciule, dei frittini di erbe spontanee tipici del Monferrato che hanno esattamente il sapore della moltitudine di erbette che li compone: falsa ortica, gerardina silvestre, silene, mentuccia, aglio orsino, pimpinella, levistico, artemisia, finocchietto, melissa, tarassaco, lunaria, borragine, cerfoglio, coriandolo, erba di San Pietro, erba cipollina cinese. Si fa un mix equilibrato, si aggiunge lo stretto indispensabile di pangrattato, di parmigiano e un uovo per tenerle assieme. Si frulla tutto, si fanno delle quenelles che si friggono in padella a fuoco bello alto. If only we could print the smell.
Un primo c’è, ma è una pasta senza pasta: gli Gnudi di ortiche, spinaci e ricotta (di Vittorio, il casaro a due curve da lì) in un vigoroso brodo di ossa di pollo profumato con zest di limone. Emozionanti, arrivano dritti al cuore. Come il Pollo ruspantissimo, potente, carnoso al morso e fondente in bocca. E quella complessità di sapori poi. “È dry-aged 5 giorni in cella per perdere acqua e concentrare gli aromi – spiega Francesco – messo in salamoia per una notte, scolato e cotto a 90°C per 40 minuti circa. Lo lasciamo riposare e lo ripassiamo in padella”. That’s it, pollo spaziale energizzato da aglio giovane in salsina, amaricato dalla cicoria (appena colta e spadellata) e servito con una sorta di polenta bianca che sa di tacos. “Abbiamo nixtamalizzato la farina del nostro mais bianco bollendola in soluzione alcalina con l’1% di calce spenta”. Il risultato è un sapore sconvolgente e un mais più nutriente.
Tutto quel che è dolce è un prodigio di Carol, ovvio. Il candido Mascarpone Rantan-made impreziosito con cake di mandorle tostata, fragole di un produttore vicino e il primissimo rabarbaro del loro orto è clamoroso. Andiamo a dormire beati e ci svegliamo inebriati dal profumo di burro. Ci aspetta la Colazione di Rantan, a Breakfast to Heaven, un’abbondante selezione di ogni meraviglia da prima mattina senza sensi di colpa perché consumata direttamente in paradiso. Pane di Carol tostato con burro, marmellata di prugne e burro di nocciola; Babka estatico con lievito madre (la nuova passione di Carol è lavorare croissant, milk bread & co con lievito naturale), Cookies al cioccolato, Carrot cake da capogiro, Yogurt della valle con Granola Carol-made e miele di castagno… e ancora il portentoso Croque-madame con toma Vittorio, coste e uovo in camicia.
Rantan è un modo di essere, uno stile di vita che sta attraendo pian piano forze simili; sta diventando community. Quando sono arrivati in valle l’età media era 65 anni, ora molti giovani si stanno trasferendo lì per ridare vigore alle attività artigianali locali. Tra questi c’è Basil Blake, presidente di WWOOF Italia, con la sua idea di allevamento virtuoso. “Vorremmo unirci a lui e a tanti altri per creare un’associazione, un network per scambiarci conoscenze”. A giugno è stato presentato il progetto per la realizzazione di hub agricolo in quel grande prato verde dove crescono sogni. Forno, laboratorio e spazio conviviale con un design tra il valchiusellese e il coreano, finanziato grazie a una campagna di crowdfunding appena lanciata a fine mese e che, ne siamo sicuri, sarà un successo.
Love is all around in Valchiusella, davvero.