“Sono sempre molto affascinato dalle forme delle cose e da come si può rappresentare qualcosa partendo soltanto da alcune sensazioni.”
Quando si arriva a Østerbro di fronte allo stadio che ospita le partite della nazionale danese e del Football Club di Copenaghen ci si sente un po’ come quei poliziotti che nel film The Blues Brothers vengono astutamente dirottati da John Belushi e Dan Aykroyd, i mitici fratelli Elwood, fino al Wrigley Field, la “casa” della squadra di baseball dei Chicago Cubs. In questo caso, però, dopo qualche attimo di iniziale smarrimento, non si incappa in spiacevoli sorprese o nell’intimo sospetto di aver sbagliato indirizzo e ci si rende conto che il Geranium – la “casa” di Rasmus Kofoed e di Søren Ledet – si trova proprio in uno dei quattro angoli dell’impianto sportivo del quartiere, e nella torre (che oltretutto ospita anche molti altri uffici), come certificato senza possibilità di errore da una grande scritta che recita il nome del ristorante. Lontano dai quartieri deputati a raccogliere la movida gastronomica della capitale o le altre ben note eccellenze del movimento nordico (pensiamo alla vivacità dell’area di Refshaleøen, con Noma, Amass, il tanto atteso Alchemist e lo street food), Geranium fa storia a sé anche per questo nel panorama cittadino. E non solo per essere stato il primo, e sino a ora unico – correva l’anno 2016 – ristorante tristellato di Copenaghen. Una volta arrivati nell’anonimo ingresso dell’edificio e aver premuto il pulsante numero 5 dell’ascensore, si viene catapultati in un mondo parallelo e diverso da quello che si è osservato esternamente, dove subito vengono alla mente parole che non capita tutti i giorni di utilizzare per un ristorante, con le piacevoli note soffuse di una musica jazz o classica in sottofondo a fare da colonna sonora. Eppure non c’è altra via, non c’è altro modo per definire un luogo dove la dedizione, la maniacale cura del dettaglio, la serietà, l’equilibrio, l’accoglienza e la precisione sono una pratica quotidiana assolutamente naturale da parte di un team che letteralmente danza in sala o in cucina, tra movimenti e ritmi quasi chirurgici e meccanici. Un campionario di professionalità certificato dai numerosi premi finiti nella bacheca del ristorante. Non ultimi i tre Bocuse d’Or (oro, argento e bronzo), raccolti da Rasmus Kofoed nel giro di sette anni, dal 2004 al 2011.

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