Se ci fosse una capitale dell’anima, a metà tra oriente e occidente, tra sensi e filosofia, tra onore e imbroglio, avrebbe sede qui. Nel mezzo della città si apre via Spaccanapoli, un rettilineo di più di un chilometro, stretto e vociante, che divide in due l’enorme agglomerato. È il cuore di questa Babele della storia.
Il prato in fondo al mare – Stanislao Niego
Un po’ di Storia
Napoli ti avvolge e ti travolge. Crocevia di culture e contaminazioni, di “miseria e nobiltà”, Napoli è un ossimoro metropolitano dall’anima popolare che affascina e conquista per le sue forti contraddizioni. Nei secoli è stata attraversata da popoli e culture diverse che l’hanno fortemente condizionata. Divenne una vera e propria capitale del Mediterraneo, uno dei più importanti centri del Rinascimento e dell’Umanesimo con il re spagnolo Alfonso V d’Aragona, una vera e propria capitale del Mediterraneo alla pari di Londra, Vienna e Parigi nella politica, architettura, arte e cultura grazie a Carlo di Borbone. Ma fu soprattutto con l’800, quando fu capitale del Regno delle due Sicilie, che ottenne primati storici in ogni settore, dando vita alle celebri innovazioni borboniche: fu la terza capitale in Europa dopo Londra e Parigi ad avere le strade illuminate con 350 lampade a gas, i primi ponti sospesi d’Italia, la prima linea di telegrafo elettrico, il primo albergo per i poveri, la prima ferrovia e prima stazione in Italia (la Napoli-Portici), la prima galleria ferroviaria del mondo, il primo teatro lirico d’Europa (il San Carlo), il primo osservatorio astronomico (a Capodimonte), il primo osservatorio sismologico al mondo, i primi conservatori musicali, le prime università d’Europa laiche (la Federico II) oltre che diverse scuole di Arti e mestieri, il primo sistema pensionistico d’Italia (con la Legge sulle Giubilazioni e Pensioni del 3 maggio 1816) e il primo statuto socialista del mondo (seterie di San Leucio). Una città piena di vita e di storia quindi, dal passato glorioso e dal futuro incerto, nutrita da un popolo dalle mille risorse capace di adattarsi, con ingegno e furbizia, alle molte avversità e opportunità.


E non è forse stato un colpo di genio quello del pizzaiolo Raffaele Esposito che nel 1889, secolo d’oro per la città, si presentò alla Reggia di Capodimonte con una pizza che omaggiava i tre colori della bandiera italiana(pomodoro, mozzarella e basilico) chiamata Margherita in onore della regina Margherita di Savoia, che aveva tanta voglia di una pizza? Così narra la leggenda e così viene scherzosamente ricordato dai suoi concittadini: “Rafè , nun te piglià collera, è cos‘è niente! Però pure tu con ‘sta pizza Margherita, alla Regina Margherita di Savoia non potevi preparare un piatto di pasta, nu ragù, ‘na genovese, ‘na lasagna. Vedi un po’ che cosa hai combinato!” perché con la Margherita la pizza venne nobilitata da cibo popolare di strada a cibo per le classi più abbienti. Studi recenti documentano però che fra il 1796 e il 1810 Il filologo Emanuele Rocco, nel secondo volume del libro Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti di Francesco de Bourcard pubblicato nel 1858, scrisse di diversi condimenti per la pizza tra i quali basilico e “sottili fette di muzzarella” oltre a “pomidoro, aglio e oglio”.
Ma questa è già storia. La pizza in realtà ha origini molto antiche e diverse: gli Egizi furono i primi a scoprire, per caso, il lievito grazie alla pasta impura che gonfiava e iniziarono così a cuocerla nei forni a cono, mentre i greci e i romani impastavano delle specie di focacce che fungevano da piatti condite con sale, erbe, aglio e cipolla. Dobbiamo però arrivare al ‘500 per trovare, per la prima volta, la parola pizza nel dialetto napoletano che indicava una focaccia soffice con olio e sale, come narra il poeta e saggista Benedetto Di Falco nella sua Descrizione dei luoghi antichi di Napoli, e la prima ricetta della Mastunicola fatta con strutto, formaggio, basilico e pepe. In seguito si diffuse la pizza ai cecinielli preparata con minutaglia di pesci. Si deve invece aspettare la scoperta del Nuovo Mondo per l’arrivo delle bacche rosse esotiche, volgarmente chiamate pomidoro, e arrivare fino a metà del ‘700 per avere la prima ricetta con questo prezioso ortaggio citata da Vincenzo Corrado nel suo Il cuoco galante in cui raccontava le abitudini alimentari della città di Napoli.
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