I funghi carnivori di Thomas Cometta & il vegan fine-dining di Jason Renwick
Testo di Lorenzo Sandano
Foto cortesia di Visit Copenhagen
Dopo aver scoperto e toccato con mano tre valorosi modelli di farmers – qui e qui – torniamo nei pressi di Copenaghen per tuffarci in un altro prototipo d’etica agricola che persegue una coltivazione decisamente atipica, pionieristica per il contesto danese: Funga Farm. L’approdo è spiazzante, perché difficilmente ti aspetteresti di trovare una fattoria in un paesaggio industriale e semi-isolato dal verde. Eppure, all’interno di un edificio anonimo su Frederiksborgsvej, un piccolo gruppo di imprenditori ha creato una micro-farm urbana con un obiettivo specifico: creare i funghi biologici più saporiti e sostenibili che la scena culinaria cittadina abbia mai adocchiato. Gastro-Cicerone di questa visita è lo Chef Jason Renwick del ristorante vegano Ark. Proprio lui, che per vocazione ideologica ha deciso di focalizzarsi sull’offerta vegetale al 100% in ogni suo locale (possiede anche il Souls Eatery e il Bistrot Lupa sullo stesso filone), si è unito in società con i fondatori della realtà fungina quando ne ha colto il potenziale e il tenore qualitativo nelle lavorazioni in cucina.
Funga Farm
Funga Farm nasce da un’idea di Thomas Kyle Cometta: ragazzo californiano che di primo acchito detiene tutte le fattezze del nerd, ma che in realtà risulta un inesauribile pozzo di scienza in ambito di micologia e tutela dell’ambiente trattati con metrica tutt’altro che loser. Cometta si è trasferito in Danimarca per le origini della sua famiglia e per una nostalgia del contatto con la natura, con i boschi e con un ecosistema meno artefatto di quello americano. Le prime gite dedite al foraging e alla raccolta di funghi, per pura passione, hanno acceso in lui un lumicino rispetto al valore di questi alimenti: “Notavo un vuoto nella cucina gourmet sull’uso di diverse varietà di funghi oltre i canonici champignon, nonché uno scarso consumo quotidiano. Soprattutto visti i benefici salutari di questo alimento che avevo constatato nei miei studi durante e dopo l’università”. Una meccanica che l’ha spinto ad approfondire in chiave maniacale ogni dettaglio sull’argomento: microbiologia, mezzi di crescita e coltivazione, impatto ecologico, cicli produttivi, spore e miceli a non finire.
I primi esperimenti di auto-coltivazione li attua nel cottage estivo di famiglia, scoprendo il piacere di lavorare con organismi viventi e monitorarne il livello gustativo. Nel marzo del 2019 fonda la Farm con l’obiettivo di produrre funghi di qualità superiore su un modello di business sostenibile e solidale: “Siamo pochi soci, tra cui Jason che ha creduto in noi, ma non ho mai voluto essere un Ceo con fare totalitarista. Voglio lavorare con le persone e farle crescere affinché si assumano la responsabilità, in modo da poter produrre il miglior prodotto possibile con un credo. Insieme”.
La ricerca incessante ha portato il gruppo di Funga a seguire in proprio ogni passaggio produttivo dei funghi (miceli, spore, inseminazione, incubazione del substrato e fruttificazione), seguendo una rigorosa logica di sostenibilità a tutto tondo: dai consumi idrici/energetici, passando per il distacco dall’impiego di plastica (ne stanno elaborando un’alternativa biodegradabile) e naturalmente riguardo l’approvvigionamento di materie prime. “Cerchiamo di ottenere un prodotto superiore a quello commerciale partendo da radici locali – spiega Thomas – tutti i nostri ingredienti provengono dalla Danimarca e sono ovviamente tutti biologici.
Coltiviamo i nostri prodotti biologicamente su trucioli di legno di foreste locali e attiviamo lo starter dei funghi con un micelio che ci siamo clonati in casa da ceppi selvatici autoctoni. Lasciamo che ogni fungo cresca in un ambiente il più vicino possibile a quello naturale, raccogliendo solo quando necessario e consegnandoli in bicicletta per la città quando è possibile”. La linea di funghi, in perpetuo sviluppo, prevede attualmente sei splendide varietà che spaziano dai funghi ostrica all’enoki, sino alla pregiata Lion’s Mane. Tutti accuratamente selezionati e coltivati per offrire il miglior risultato in termini di sapore, valori nutrizionali e consistenza. Funghi magici ve l’assicuro, ma senza sfiorare quelli allucinogeni!
“Poiché produciamo autonomamente miceli, semi e spore, preserviamo anche la nostra biblioteca genetica e siamo in grado di coltivare specie uniche e nuove di funghi – approfondisce Thomas –molti, anche se sconosciuti ai più, sono frutto di ceppi originari proprio delle foreste danesi. Parte della nostra missione è coltivare più specie endemiche in modo che la nostra produzione restituisca la biodiversità nei nostri ecosistemi locali piuttosto che promuovere le monocolture industriali. Chef e consumatori ottengono un prodotto migliore non fossilizzandosi sulle varietà della GDO. Queste varietà fungine risultano più saporite e nutrienti, evocando texture carnivore a volte. Un tema a cui teniamo molto e che ha saldato il sodalizio con Chef Jason di Ark, perché promuovere i funghi come alternativa alla carne è un’altra delle nostre missioni. I nostri studi ci hanno portato a verificare che ne hanno tutto il potenziale. Certo, serve un cambiamento culturale e anche di consapevolezza importante, ma proprio per questo non cesso mai di sperimentare e confrontarmi con cuochi come lui per arrivare a prodotti perfetti che sostengano una nuova logica di alimentazione”.
Beach foraging & Ristorazione vegana
È proprio Jason Renwick, fondatore di Ark, che ci strattona con gentilezza dalla realtà di Funga per scortarci in un foraging lungo una spiaggia limitrofa: luogo incontaminato ove si rifugia a caccia di olivello spinoso, fiori di calendula, sambuco, senape marina, portulaca e altre erbe spontanee che crescono a bordo riva. Una suggestiva occasione in realtà per avvalorare i discorsi toccati da Kyle alla Farm e per illustrarci la sua idea outsider di ristorazione vegana.
“Io stesso non sono vegan, seppur mangio sempre meno carne grazie a fornitori come Thom – racconta il cuoco – quando sono atterrato a Copenaghen dall’Australia, mia terra natia, volevo aprire una Steakhouse con il mio socio, pensa te! Sembra un paradosso, ma notando l’enorme gap di proposte per vegani e documentandoci a fondo sull’argomento ci siamo lanciati in questa avventura inaugurando Souls Eatery proprio per fornire un’alternativa valida e non penitente a chi non mangia carne o derivati. I punti cardine, presenti tutt’ora, sono stati sempre quelli di normalizzare il concetto di veganismo partendo dalla qualità degli ingredienti e da una sostenibilità fondamentalista. Penso che proprio perché non siamo vegani originali abbiamo una visuale meno limitante e predisposta a soddisfare il palato dei clienti senza franare in stereotipi sul genere.
C’è molta ignoranza su questo regime dietetico che porta le persone ad allontanarsi o a seguire le mode, replicando nei ristoranti gusti carnivori con prodotti scadenti o surrogati commerciali. Noi cerchiamo una direzione opposta, i funghi sviluppati con Cometta ne sono esempio lampante perché riproducono le medesime sensazioni gustative di un alimento animale senza eccessivi interventi culinari. Anche il mio Executive Chef Brett Lavender non è vegano, ma grazie alla sua esperienza pregressa in locali fine-dining abbiamo evoluto i piatti vegan pensati agli esordi, riuscendo a sommare tecnica, cura estetica, creatività e soprattutto a donare piacevolezza collettiva per gli ospiti.
Cosa fondamentale anche per chi viene a trovarci con pregiudizio perché segue giornalmente un’alimentazione onnivora. Non vogliamo abolire il consumo di carne, piuttosto limitarne gli abusi industriali con ottica consapevole e rispettosa del nostro futuro”.
La prova del nove presso la sua insegna – un fascinoso ristoro in zona Nørreport – mette subito in evidenza l’attenzione coerente e scrupolosa riversata nei dettagli architettonici della struttura: ogni materiale o suppellettile (sedie, lampade, tavoli, cuscini, ceramiche, oggetti d’arredamento) è stato concepito dalla Brand Manager Jenia Nelislova e dal designer Tine Mouritsen per risultare conforme a un processo di lavorazione sostenibile, a basso impatto ambientale e tracciabile su filiera danese.
L’esperienza gastronomica vera e propria risulta invece intrigante e stordente al tempo stesso, proprio per l’assenza di un benchmark effettivo con uno stile fine-dining vegano di questo stampo. La squadra di Ark gioca molto con le contaminazioni (si viaggia dall’Oriente al Sud America), con le testure di ortaggi, frutta e vegetali di qualità (provenienti sovente da super artigiani o dalla bio-agricoltura urbana di Nabo Farm) e con trasformazioni visive che sfidano la curiosità dell’assaggiatore.
Tanti (a volte forse troppi) elementi chiamati in ballo, che richiedono senz’altro un registro mentale vergine da preconcetti. Dal menu degustazione (strettamente stagionale) rimangono impressi la Focaccina al lievito madre con ricotta vegetale affumicata, sedano rapa, fiori eduli e piselli freschi croccanti; il pluri-servizio ludico del Chawanmushi al dashi di kombu e soia con mais danese, shiso, caviale d’aglio nero, saporite crocchette derivate dalla lavorazione del mais stesso e cipollotto. Freschezza e vivacità nelle Rape brinate al sakè con ravanello bianco, mela, yuzu e un morbido lenzuolo di gazpacho alle noci di macadamia; per poi assaggiare infine la bontà dei prodotti di Funga Farm con una spiazzante terrina di Fake-Foie Gras di soli funghi, accompagnata da ciliegie fermentate, more, gel di Sherry, acetosa, marmellata di scalogni caramellati e soffici brioche al latte di soia su cui spalmare il paté veggie.
Plauso, con gran fragore, per l’approccio di tutto lo staff in sala: passionale, dettagliato, coinvolgente e a tratti teatrale, senza però mai appesantire un solo istante della cena. Al contrario esaltandone con verve ogni passaggio. Un ultimo fattore di spicco – che insieme al servizio sorprende quasi più dell’esperienza edibile – è la straordinaria abilità nei cocktail e nel pairing confezionati dal beverage director Toby Efteland: provate il suo twist sul White Russian, per me tra i migliori di sempre! La giusta carica miscelata per ringraziare Jason e il suo team, pronto a pedalare (ormai influenzato anche io dal mood sostenibile) verso il prossimo capitolo del ‘Wonderfood CPH Tour’…