L’allevamento empatico di Hegnsholt & l’agricoltura idealista di Godis Grønt
Testo di Lorenzo Sandano
Foto cortesia di Visit Copenhagen
Avevamo lasciato il fermento di Copenaghen nel distretto di Refshaleøen con il fotogramma della fattoria urbana di Øens Have (leggi qui la l’articolo, ndr). Prima di approfondire le storie di alcune realtà in questo quadrante e sul suolo cittadino, cavalchiamo la wave agricola per dirigerci poco fuori dalla capitale danese. L’enfasi di sostenibilità ha infatti mobilitato numerose attività che dialogano a distanza con la ristorazione nordica, assicurando filiere tacciabili e modelli etici super rigorosi.
Hegnsholt
A soli 35 minuti di auto da Copenaghen sorge Hegnsholt: una fattoria biologica che produce uova gourmet e carne da animali allevati all’aperto, rifornendo alcuni celebri ristoranti del panorama fine-dining cittadino: come Alchemist, Alouette e l’eclettico panificio naturale Lille Bakery. Fautori (nonché proprietari) del progetto sono Johanne e Jesper Schimming, due profili che hanno scelto fin dagli albori di perseguire un approccio senza compromessi nell’allevamento dei loro animali e nella produzione alimentare che ne deriva. Il modello è cristallino in ogni fase, si coglie nell’immediato durante la visita dei diversi stabili guidata da Johanne in persona. Donna di tempra e valori lodevoli lei, illustra come tutta l’alimentazione dei loro esemplari (maiali, polli, agnelli) segue la naturalezza del pascolo libero (erba fresca, trifoglio etc), integrando per il fabbisogno individuale delle diverse razze mangimi plasmati dagli avanzi di supermercati, panetterie e produttori della zona. Ogni giorno, infatti, i due instancabili agricoltori recuperano personalmente gli scarti ancora edibili da strutture bio di fiducia e li trasformano in puree o miscugli di cereali idonei alla crescita sana e monitorata del bestiame.
“I nostri allevamenti si basano sul rispetto e sull’empatia” afferma Johanne mentre ci mostra con orgoglio una purea ricavata dalle bucce di mele per i suoi maiali. “Gli animali sono trattati come esseri viventi, non come unità di produzione. Li guardiamo negli occhi ogni giorno mentre li nutriamo e gli diamo l’opportunità di vivere i loro istinti, consentendo anche alla terra su cui pascolano di rigenerarsi ai ritmi giusti. Non separiamo i genitori dai cuccioli, che si tratti di ovini, suini o galline, lasciando che si muovano in piccole mandrie in spazi ampi, razzolando su terreni fertili secondo le loro necessità. Non è romanticismo, solo un modo più responsabile di agire che richiede anche una attività manuale più costante e faticosa. Il prodotto finale però preserva il benessere dell’animale”.
Mentre avanziamo verso la rest-room dei polli, che razzolano spensierati, carpiamo ancora meglio l’aderenza quotidiana di Johanne con la sua filosofia, proprio per la salubrità del pollame che le gravita intorno. “Avevo iniziato questo progetto mollando il lavoro in una grande azienda – racconta – pensavo di dedicarmi principalmente alla coltura di mirtilli e frutti di bosco locali, ma il mercato non ha risposto a dovere quindi abbiamo cambiato direzione. Per un fattore affettivo continuo a produrne una piccola quantità, che poi selezioniamo per la vendita nel nostro shop”. Tutto qui segue un sistema circolare senza il rischio di sbandare e il sapore di quella frutta appena colta vi assicuro è a dir poco strepitoso. Nel negozio propongono anche salumi derivati dai loro maiali (razza bianca, nera danese e ibridi simil-duroc), anch’essi cresciuti su modello free-range, subendo una macellazione rispettosa del loro ciclo vitale. “Nonostante la lavorazione della carne suina risulti molto redditizia per noi, stiamo pensando in futuro di accantonarla o limitarla proprio per frenare il consumo frenetico – conclude – le scelte etiche scaturiscono anche dai sacrifici e noi pensiamo sia giusto contribuire a modo nostro per tutelare un mondo migliore”.
Tra le sue uova, ottenute senza causare alcuno stress intensivo alle proprie galline, spicca anche la pregiata varietà blu da razza Araucana. Le uova acquisiscono la colorazione grazie a una mutazione del gene O (Olive) che deriva dallo stato di vita della gallina, esemplare che esprime una completa insofferenza all’llevamento intensivo. Mentre salutiamo i nostri due allevatori-eroici, pensiamo che non poteva esserci contesto più appropriato in cui consentire lo sviluppo di queste uova, così come per tutti gli animali coccolati qui da Hegnsholt.
Godis Grønt
Guidando un altro quarto d’ora per campagne limitrofe, scorgiamo un cartello con una scritta a bordo strada: Godis Grønt. Trattasi di un’organic-farm vegetale fondata da Christina Viuff Sand e Fredrik Sahlin (entrambi formati alla scuola di agricoltura ecologica di Kalø). Quest’ultimo, ex gestore della Farm of Ideas della Relæ Community, ha intrapreso un’avventura individuale con la sua socia estremizzando (se possibile) il metodo già collaudato al fianco di Puglisi. Nella frazione di Lejre Station, insieme a un collettivo di circa cinque persone, hanno messo in piedi una coltivazione di erbe officinali, aromatiche, ortaggi e verdure secondo approccio strettamente biologico e biodinamico.
Fredrik, caratterizzato da un’energia travolgente e da un passato nella musica punk, ci mostra come le regole siano basilari nella loro eccezionalità: si parte dalla manutenzione e dalla cura maniacale dei suoli, cercando di tutelare il più possibile le biodiversità agricole, corredando al tempo stesso un legame con la comunità locale. Le 60 colture differenti che sono arrivati a produrre vengono infatti distribuite in prevalenza alle famiglie del posto o alle scuole di zona. “Cerchiamo di divulgare una alimentazione corretta e un’etica di consumo partendo proprio dalle persone che ci circondano – spiega con entusiasmo – durante la settimana invitiamo chiunque a darci una mano e a cogliere autonomamente i frutti della terra interagendo col nostro operato”.
Oltre a questo nobile gesto collettivo, Godis ha scelto di collaborare con la ristorazione stipulando un rapporto sinergico con le insegne di Copenaghen (scelte dopo un’attenta scrematura): i cuochi comunicano direttamente con i farmers prima-durante le fasi di coltivazione, confrontandosi sulle disponibilità reali di alcune varietà e ragionando insieme alla squadra di agricoltori sui singoli prodotti necessari alla cucina. In questo modo i quantitativi sono misurati al cesello, si limitano gli sprechi e l’attività della farm (in parallelo ai ristori) non rischia degli spiacevoli vuoti nella fornitura. Uno dei loro clienti di spicco è senz’altro il Noma di Redzepi, che dialoga quasi ogni giorno con Fredrik per la composizione del famoso Wonder Table del menu vegetale. Questa composizione accoglie gli ospiti all’ingresso del ristorante e vuole fornire un riassunto stagionale coerente e dinamico delle migliori colture presenti al momento.
Per la cucina poi (discorso che vale per Noma, ma anche per altri indirizzi) i farmers stilano una tabella con richieste, provvigioni, pezzature e tempistiche di raccolta: uno stimolo reciproco per dare il meglio onorando la terra e i moti stagionali. Per la produzione interna sono stati predisposti due orti. “Uno selvaggio per i quantitativi più importanti e uno più curato per erbe aromatiche e verdure rivolte alla comunità” spiega sghignazzando il buon Fred. Proprio in quest’ultimo appezzamento, veniamo invitati alla raccolta di insalate da taglio, spinaci neozelandesi, ravanelli, fiori di coriandolo, sedano, calendula, rape, baby pannocchie, finocchi e ogni sorta di ben di dio atto ad auto-confezionarci la nostra insalata sartoriale per il pranzo.
Un espediente per poi approdare in un’altra ala di Godis: l’affascinante serra che custodisce ben sei varietà di pomodori (strepitosi), zucchine, cetrioli e diversi tipi di basilico; oltre a ospitare un curatissimo spazio-ristoro ove si organizzano convegni agricoli, workshop, eventi personalizzati, concerti e serate a tema pizza cotta in un piccolo forno a legna posto sul retro. Dopo il pasto condiviso in un ampio tavolo sociale, ci procacciamo anche il dessert cogliendo delle more inimitabili direttamente dalla pianta che costeggia la serra. “La sostenibilità vera si fa sul campo ogni giorno, ascoltando il terreno e alimentandolo in chiave rigenerativa affinché ci sia vita – conclude Frederik – collaborare con i ristoranti per noi è un qualcosa in più, perché nella ristorazione comune è davvero complesso mantenere un regime sostenibile, ma noi pensiamo che anche questo serva a divulgare una coscienza agricola per le generazioni future. Forse siamo idealisti, ma crediamo che un cambiamento sia possibile, soprattutto se si uniscono le forze e se ognuno fa la propria parte. Fin quando riusciremo a coltivare verdure fresche, croccanti, saporite e rispettose dell’ambiente, condividendole con il prossimo, ci sentiremo realizzati e coerenti alla missione seminata dall’inizio in questo luogo”.
Dopo aver fatto incetta di fibre, vitamine e nobili valori, ci dirigiamo alla volta di altri atipici (quanto speciali) prototipi agricoli e ristorativi, ma per scoprirli dovete attendere il prossimo capitolo.