Testo di Letizia Gobio Casali
Foto di Fabrice Gallina
Come un Giano bifronte, Grado possiede una doppia anima acquatica. Da un lato abbraccia il mare protendendosi verso Venezia; dall’altro affaccia sulla laguna, circa 90 km di acque basse, costellate da isole, tapi (dossi di terra) e banchi sabbiosi dove i pescatori stanano le corbole, piccoli crostacei usati come esca per pescare le sogliole.
Poche persone conoscono entrambe le anime: molti soggiornano sulla costa, ma rari sono coloro che si avventurano in laguna e accedono alle mote, le piccole isole accessibili solo via barca (le batele a fondo piatto). Allan Tarlao è uno di loro: comproprietario della Tavernetta all’Androna, ristorante erede di quello del nonno Narciso, conosce le acque della laguna e del mare come pochi altri e da sempre riserva ai suoi clienti il pescato migliore.
È lui a introdurci oltre la soglia magica vietata ai comuni turisti: alcuni di quei circa 120 casoni su cui i proprietari tuttora dominano come feudatari medievali, sovrani assoluti di piccoli lembi di terra che non hanno nulla da spartire con gli altri. Negli anni ’40, racconta Tarlao, i casoni ospitavano famiglie di residenti i cui ragazzi andavano a scuola via barca. Poi le famiglie se ne sono andate e i casoni sono rimasti come basi dei pescatori che tornavano a casa solo tre volte l’anno (a Pasqua, Natale e per i santi patroni di luglio), affidando a turno a uno di loro il compito di vendere il pescato e consegnare il ricavato alle rispettive famiglie.
Oggi i pescatori sono sempre di meno e i casoni, assegnati con concessione demaniale ai pochi che restano e ai loro discendenti, sono ormai diventati luoghi esclusivissimi di relax e di svago. È dunque un privilegio potere visitare ben due di queste costruzioni, come è capitato a chi scrive. La struttura è più o meno sempre la stessa: un tetto fatto di canne che copre una sola grande stanza riscaldata dal focolare, con la porta orientata verso ovest per riparare dai venti che soffiano da est. Un soppalco ospita il letto e in genere manca l’elettricità, mentre l’acqua potabile arriva, fornita da tubature scavate oltre 100 anni fa.
Poi iniziano le differenze: da Witige Gaddi, “cacciatore, fotografo, viaggiatore, casoner, graisan” – il cui casone sorge sulla Mota dei Biviaqua – i casoni in realtà sono addirittura tre di cui uno è la casa e uno il bagno. All’interno dell’abitazione dove, a 80 anni, “Witi” racconta di portare di tanto in tanto delle donne, anche se pare che voglia soprattutto allontanarsi dalla moglie, spiccano le splendide foto che ha realizzato in giro per il mondo. Uno scatto mostra il poeta gradese Biagio Marin, di cui Witi a lungo è stato il foto-biografo (“ho donato centinaia di scatti al comune che non ne ha mai fatto nulla”, lamenta Wittige).
Poi ci sono un ritratto di Francesco Giuseppe e le pagine di giornale che documentano la celebrità di questo giramondo che ha percorso quattro volte la Transiberiana. Da lui, infatti, sono arrivati in visita i Principi di Monaco, (“che mi ha dato subito del tu anche se non li conoscevo”), Laura Pausini, Zucchero, Corinne Clery. Non male per l’esponente di una popolazione che una legge dell’impero asburgico esentava dal pagare le tasse perché “miserabile”, ricorda Wittige, tra un racconto e l’altro delle sue peregrinazioni per il globo.
Lasciata la sua mota, approdiamo al casone di Roberto Camusso, pescatore/cuoco/musicista: all’interno emergono una chitarra firmata da Brian May (chitarrista dei Queen) e un fornello da cui nascono bontà come un Fritto di atragone (cefalo dorato) e un Risotto con salicornia e fasolari, e dopo i primi brindisi, sgorgano i racconti. Come la volta in cui una foto di Roberto, che aveva ospitato un ristoratore californiano, a sua insaputa venne esposta in un locale di San Francisco e lui presentato come un artista della cucina fatta – testuale – “con niente”. Sarà, ma chi scrive non ha mai assaggiato un nulla così appetitoso.
Per chi non conosce proprietari di casoni o per chi pretende una cucina fatta “con qualcosa”, la laguna di Grado riserva comunque due validi indirizzi: I Ciodi, sull’isola di Anfora, accessibile solo via barca, dove si mangiano cefali marinati, e Fiuri de tapo (nome dialettale del limonium, detto rosmarino di mare), con specialità come la frittura o la grigliata mista di pesce. Va considerato però che, nonostante l’aspetto rustico dei locali e l’informalità del servizio, i prezzi dei due locali non sono proprio popolari.
Dopo qualche ora di relax post-prandiale da Roberto, con la marea che finalmente ha reso meno ostico evitare le secche della laguna, abbandoniamo questi luoghi deliziosi e senza tempo, per rientrare a Grado e sperimentare, dopo la compagnia di Allan Tarlao, la cucina di suo fratello Attias, autodidatta di talento che grazie allo zio ha scoperto la sua passione per la cucina.
I piatti dell’Androna hanno il valore di una spedizione archeologica: perché, se alcuni decenni fa è stata proprio l’Androna a promuovere il rilancio a Grado del tradizionale boreto, ormai decaduto, qui i due fratelli recuperano tanto le vecchie ricette locali quanto quelle di famiglia. Come la Mesta, una manta lasciata essiccare per mesi come uno stoccafisso, o l’Orata alla Osiris (i nomi esotici sono frequenti tra i Tarlao), che ripesca, è il caso di dirlo, una ricetta del papà di Allan, in cui la portata viene accompagnata da una salsa fatta con scarti di pesce, prezzemolo, aglio e tanto pepe e presentata con una cornice di fuoco (grazie a uno speciale piatto annaffiato di cognac).
La serata non delude e tutto il menu, dal polpo alla gustosa sogliola alla mugnaia è come sempre –sottolinea Allan – privo di asterischi. ”Non usiamo nulla di congelato e per molto tempo non abbiamo neppure avuto un congelatore in cucina”, chiarisce, perché all’Androna la freschezza del pesce è un principio inderogabile. Se aggiungiamo l’incantevole piazzetta in cui si cena, e i racconti di Allan, che ricorda, per esempio, la visita di Patty Smith e la sua richiesta di portarsi via una forchetta d’argento e in cambio cantare a cappella Because the night, non potremmo essere più soddisfatti.
Chiudiamo la giornata passeggiando per Grado, la cui raccolta bellezza ispira calma e serenità. Se Roberto non ci avesse raccontato che il gradese, per la storia peculiare di queste zone, è uno che pur di non aiutare un conterraneo si caverebbe un occhio, non crederemmo che in un posto simile le persone non vivano in armonia, né fatichino a capire che, come in qualunque altra parte del mondo, in realtà siamo tutti sulla stessa barca.
Trattoria I Ciodi
34073 Grado (GO)
https://www.portobusoaiciodi.it/
Fiuri de tapo
Vecchia Litoranea Veneta
34073 Grado (GO)
347 500 8284
Tavernetta all’Androna
Calle Porta Piccola, 6
34073 Grado (GO)
0431 80950
www.facebook.com/people/TAVERNETTA-ALLANDRONA/100063594099831/