Testo di Barbara Marzano
Foto cortesia di Ufficio Stampa
Posando l’orecchio sulla parete porosa, con un po’ di immaginazione si riescono a sentire le melodie dei balli e la servitù bisbigliare in segreto nella villa palladiana. Oggi, come cinquecento anni fa, le giornate a Villa Pisani Bonetti restituiscono pace e bellezza sotto l’ombra delle querce nel parco interno. Si respira arte dentro e fuori, sulle volte interne, tra gli squarci di verde che assediano la villa tutt’intorno e nei piatti proposti nell’Osteria del Guà – annessa alla Villa.
In tavola c’è arte povera, quella delle patate dei terreni rossi del Guà (varietà locale coltivata nei campi vicino alla Villa) che riempiono il Raviolo di patata, salvia e lepre. Ma non manca nemmeno l’arte locale più pregiata offerta dal tartufo dei Colli Berici, dalla carne di Garronese Veneta e dal formaggio Monte Veronese, tutti ben scolpiti dalle mani di chef Marco Culeddu. Dita che esplorano volentieri anche la fauna marina con un Carpaccio di seppia condito con lattuga di mare, olio al basilico, quinoa soffiata e il suo nero, che scivola in bocca e risale fino alla testa con grande sollievo.
Marco, sardo-marchigiano di origine emiliana, ha viaggiato in India, Africa, Inghilterra, Asia, per completare la formazione italiana iniziata da Emanuele Scarello (Agli Amici 1887) e alla Madernassa. Un percorso da chef che però ha innestato, forse inconsciamente, un’indole da pasticciere, che ben si manifesta nella piccola Veneziana al vapore, ripiena di insalatina di grancevola, estratto di ostrica, caviale e yogurt. Ma la dolcezza non si accontenta della forma e scava la sua dimensione anche nel gusto, nella Sarda in saor diventa un risotto, che rintraccia piccole parentesi zuccherine scritte da una manciata di uva passa e frammenti di cipolla caramellata.
E il Piccione spicca il volo con altrettanta dolcezza. Dal petto alla coscia, sorvolando su un sandwich al foie gras, tamarindo, bieta, osmosi di pera e salsa alle more. Un file rouge che continua anche nell’Anguria sweet and sour, origano e angostura. La cucina segue la sala capitanata da Luca Pinter, restaurant manager e sommelier, che insieme allo chef ha trasformato la proposta fine dining della gestione precedente, per rivestirla con un prezioso strascico territoriale segnato dalla tradizione di una volta.
“Come una volta, oggi” è invece la frase scritta sulla parete del Gustificio di Carmignano di Brenta (PD). Hotel, pasticceria e ristorante? Sì, ma c’è di più. C’è una giornata spesa a provare 25 pasticcerie, c’è la margarina fatta in casa con burro di cacao e olio di riso, c’è il Wagyu italiano e una brace che mescola carbone e legna. Il Gustificio è opera di Andrea Poli, che serve il gusto sottoforma di piacere. Di solito sta in cucina, ma non sdegna nemmeno la sala non solo durante il servizio.
Andrea: “A volte, prima che gli ospiti arrivino, mi siedo qui tra i tavoli. Questo, quello, poco importa. Ma voglio vivere la sala per quello che sarà. È troppo facile vedere solo ciò che sta dietro, in cucina, o durante il servizio. Qui vedo con gli occhi di chi mangia, che alla fine è chi ci giudica. Mi rendo conto delle luci, degli odori. Sento”.
Una premura che pochi conoscono, sottovalutata e indispensabile, o forse “di una volta”.
L’identità della pasticceria è italiana, ma ha un respiro internazionale: maritozzo, veneziane effetto craquelé, cinnamon roll più croccante – “perché agli italiani piace così, più divertente diciamo”– tutto preparato con il miele di Brenta. Se ci si avvale del solito “cappuccio e cornetto” è meglio tacere: l’inventario del Gustificio cataloga più di 20 tipi di cornetti. Zenzero e cannella, limone e meringa, caramello e fondant al cioccolato, pain au chocolate con crumble al cacao e noci, vegano con margarina al burro di cacao. Ed è meglio fermarsi per non avere un attacco di comfort. E non delude nemmeno il salato. Croissant con cipolla di Chioggia, rosmarino e Asiago, o ancora Croissant croque madame, pancetta al pepe, pomodoro e Grana Padano.
Andrea: “Quando ho pensato di aprire questo posto, la pasticceria era il mio tallone d’Achille. Era come se dovessi riscattarmi. Così ho girato per Parigi, Londra, NY, Melbourne. E Copenaghen: in un giorno ho provato 26 bakery danesi”. E se la pasticceria scoglie qualsiasi pensiero, la cucina gioca d’istinto. Andrea ha scelto l’unico metodo che riscatta il gusto primordiale: la cottura alla brace, matrice del suo ragù di manzo con cui condisce la pasta fresca, ma anche della Mortandela, macinato di polmone, cuore e parti meno nobili del maiale, che gioca di freestyle sul Risotto di peperone bruciato. Le carni – tra cui Luismi, Wagyu italiano, Sashi finlandese, angus irlandese e americano – vengono cotte su una brace ibrida che mescola legna e carbone ed equilibra umidità, fumo e temperatura.
Andrea: “Prima della cottura trattiamo tutte le carni con una soluzione di acqua, zucchero e sale, portata prima a bollore e poi messa in una pompetta. Lo zucchero, grazie alla reazione di Maillard, crea una crosticina croccante, il sale regola la sapidità all’interno, uguale in ogni parte e infine l’acqua cattura il fumo. Per il pesce è lo stesso: la cozza Mitilla cuoce in 40 secondi: l’acqua gonfia il mollusco, il guscio si apre e il frutto si arricchisce d’acqua di mare con un leggero tocco affumicato”.
Mare, monti, arte e dolcezza. Il panorama vicentino offre una sosta che non dovrebbe prevedere la ripartenza.
Osteria del Guà
Via Risaie, 1⁄2
36045 Bagnolo (VI)
Tel 0444.432754
Il Gustificio
Via Guglielmo Marconi 52
35010 Carmignano di Brenta (PD)
Tel 049 099 1687