Testo di Sara Porro
Foto cortesia
“I genitori non vanno in vacanza, vanno solo a fare i genitori da un’altra parte”, dice una massima molto condivisa sui social durante l’estate. È così che anche i più avventurosi – quelli che nella vita di prima facevano campeggio selvaggio – finiscono a volte per villeggiare in strutture turistiche che ci attirano promettendo qualche comodità extra: pensione completa e miniclub. E quando vediamo passare i nostri bambini in fila indiana diretti alla spiaggia ci nascondiamo dietro ai cespugli.
La formula del villaggio vacanze, un tempo molto diffusa, è diventata meno popolare negli ultimi vent’anni. Facile capire il perché: nelle sue incarnazioni peggiori, può somigliare in effetti a un prolungato soggiorno in un centro commerciale, sia dal punto di vista architettonico che da quello dell’intrattenimento. I genitori della mia generazione (in prima battuta avevo scritto: “i giovani genitori”, ma mi sono corretta in tempo) sono quelli che con la lista nozze hanno fatto il viaggio a Bali, non il tinello in perlinato e la vacanza in villaggio con formula all-inclusive non li convince (quantomeno su suolo patrio: sul Mar Rosso almeno c’è una componente di esotismo).
Il villaggio turistico è stato una creatura del boom economico e delle vacanze di massa: il primo Valtur (da “Valorizzazione Turistica”, quanto suona vintage?) aprì nel 1964 a Ostuni; e Valtur è stato il quarto gruppo alberghiero in Italia prima del suo fallimento nel marzo 2018. Un villaggio Valtur era anche il Garden Toscana Resort a San Vincenzo, provincia di Livorno; una parte della Toscana che ha natura e mare incantevoli, ma dove il turismo ha ancora una stagione molto classica e breve: giugno/settembre come le scuole. Dal fallimento Valtur, Garden Toscana Resort appartiene a Garden Group, che sta intraprendendo un processo di rinnovamento di lungo periodo: l’intento è passare dal villaggio di un tempo, in grado di ospitare molte centinaia di persone nello stesso momento con un’offerta molto standardizzata, a un luogo che valorizzi di più il contesto naturale in cui è immerso e che sia in grado di offrire un’esperienza meno massificata ai suoi visitatori. Ovviamente, l’investimento necessario per modernizzare luogo e offerta è enorme, soprattutto per la volontà di ampliare le camere, riducendone il numero.
L’intento è offrire un’esperienza ai visitatori che in qualche modo li accompagni anche una volta tornati a casa, offrendo anche spunti di consapevolezza ambientale: il Garden Toscana Resort ha un accesso diretto al mare tramite una foresta che copre quattordici ettari di bosco, con grande biodiversità: 26 mila piante, di quattrocento specie differenti. La direzione sta cercando di rendere il luogo più ospitale per gli insetti impollinatori e in particolare per le api – così da arrivare a produrre miele locale – e ha creato un orto didattico a disposizione dei bambini.
C’è poi l’aspetto gastronomico: il Garden Toscana Resort ha perlopiù ospiti che si fermano per una settimana (molti anche due) in formula “pensione completa”, con un buffet che dopo il Covid è rimasto gestito dal personale (procedura che consente un minore spreco di cibo e in generale… un po’ meno abbrutimento, ecco). Si stanno gradualmente introducendo alimenti biologici, ma rimane nel complesso una proposta che ricorda il villaggio Valtur che fu. Con un’eccezione particolarmente singolare: il Bistrot Gardenia, uno dei cinque ristoranti del resort, ha uno spin-off completamente vegano dello chef Simone Salvini. Non si tratta di una semplice consulenza; cioè, non c’è “il menu firmato” dallo chef che presenzia in un paio di occasioni durante la stagione: c’è proprio lui, tutti i giorni in cucina con la sua brigata.
Lo chef fiorentino è diventato un volto celebre in seguito all’imitazione televisiva del comico Maurizio Crozza, che si era ispirato a lui per il personaggio di Germidi Soia, cuoco crudista. In effetti, l’eloquio misurato e il profilo ieratico di Salvini contribuiscono a delineare questa figura che ispira una certa reverenza, specie di monaco che mangia sempre di magro; perfetta per una parodia televisiva che vuole confermare l’immagine che il pubblico ha del vegano: una persona che mangia cibi inusuali, presentati generalmente come punitivi e insapori; il vegano da sbertucciare invitandolo a mangiarsi una bella fiorentina al sangue. La cucina vegetale di Salvini – anche qui al Bistrot Gardenia, pur con i limiti di una struttura che fa grandi numeri – è in realtà deliziosa, di forme aggraziate e colorata come pasticceria: Tempeh fatto in casa sottile come un velo, sormontato da un perfetto concassé di pomodori; Falafel molto ortodossi, ma anche una semplice Pasta con un sugo di pomodoro e formaggio vegetale, anche questo prodotto direttamente, come tutti gli altri “formaggi” (meglio sarebbe dire “fermentini”).
Salvini fa alta cucina vegetale e la sua collocazione all’interno di un grande resort con formula all-inclusive pare di primo acchito un po’ sacrificata. A livello di business, il senso sta probabilmente nella collaborazione che il Garden Toscana Resort ha con Alce Nero, il marchio toscano pioniere del biologico che raduna agricoltori e trasformatori, di cui Salvini è brand ambassador. A livello più simbolico, però, c’è anche una volontà genuina di sensibilizzazione da parte di Salvini: per la causa di un’alimentazione più vegetale, con i suoi vantaggi per la salute e l’ambiente, è importante che il maggior numero di persone vi siano esposte con naturalezza, senza affrontare l’esborso di un ristorante gourmet. E quale miglior contesto di un buffet per sperimentare senza impegno?
Ogni estate, migliaia di persone assaggiano così tofu, tempeh, seitan e formaggi vegetali a pochi passi dalla tagliata di carne e dal ragù di cinghiale. Una grande impresa di normalizzazione e in ultimo di proselitismo: del resto le persone “vanno incontrate dove e come sono” come disse un celebre collega di Salvini: papa Bergoglio.