Testo di Letizia Gobio Casali
Foto cortesia di Stefano Ghetta
“A volte ci chiediamo se i clienti vengono qui per la stella Michelin o perché siamo bravi”. Basta questa frase a rivelare l’umiltà di Stefano Ghetta, 46 anni, chef de L Chimpl, forse il ristorante stellato più “segreto” d’Italia. Ospitato in un’ala del Gran Mugon, un hotel a 3 stelle di Tamion, frazione di Vigo di Fassa, dove ogni sera si preparano 3 primi, 3 secondi, 3 dolci e 20-25 insalate. Il ristorante funziona solo dopo le 20,15 quando lo chef finisce di lavorare per la clientela stanziale. Eppure, tanto per gli ospiti dell’hotel quanto per quelli del ristorante, l’obiettivo di Ghetta è il medesimo: farli felici.
Il che significa, per esempio, fare concessioni alle richieste del pubblico. E così, a dispetto della conoscenza profonda del territorio e del tentativo di valorizzarne le materie prime, Ghetta non è monolitico nel suo approccio alla tipicità degli ingredienti. Al contrario, in carta “c’è sempre un piatto di pesce, che a volte è il locale salmerino, ma altre può essere perfino un crostaceo. Poi prevedo sempre qualcosa per vegani e vegetariani – come il piatto Lattuga scottata, pesca, sambuco, cocco e kohlrabi o il signature dish Uovo soffice cotto al forno, spinaci, cuore di fassa, patata e tartufo – un piatto per celiaci e uno per chi non tollera il lattosio, per un totale di 20 portate diverse ogni sera. Certo, così il lavoro è tanto e sarebbe più comodo offrire solo due menu fissi, ma a me interessa soddisfare le persone; la maggioranza dei clienti ama la varietà per poter ritornare più volte e ogni volta assaggiare qualcosa di nuovo. Ogni stagione cambio 4-5 piatti e quando arriva la settimana del menu tutto a base di pesce, anche se cade a fine estate, in un pomeriggio esauriamo i posti”.
Un’altra concessione riguarda il pane: un alimento che presso molti colleghi è ormai diventato una portata a sé stante. “Ho pensato spesso di offrire una pagnotta cotta al momento, fatta con farine autoctone e lievito madre, ma molti clienti si vogliono portare a casa il nostro cestino del pane (che include focaccia al vapore, pane con albicocche, fichi e mele, un piccolo brezeln, procorn di cereali, cornetto di pane bianco) e non vorrei deluderli”. Il rischio pare scongiurato, dato che il locale è molto spesso al completo. E dire che dopo la scuola alberghiera, Ghetta ha conosciuto la tentazione di abbandonare la cucina.
“Le esperienze in Val di Fassa erano troppo monotone, non potevo inventare nulla”, ricorda, “finché in un hotel di lusso appena inaugurato, mi hanno dato la possibilità di creare qualcosa di personale, di esprimere la mia personalità. E nelle mie ricette rispetto quelli che sono i miei caposaldi: voglio che un piatto sia sempre goloso, ovvero con una parte cremosa per carezzare il palato, che presenti un contrasto di sapori al suo interno, e non utilizzo mai un ingrediente più di una volta nello stesso menu. Per dire, se prevedo porcini in uno degli antipasti, esito a mettere finferli in una portata successiva. Questo per aumentare la varietà dei sapori. E perché le limitazioni che mi sono imposto stimolano la creatività”. A L Chimpl (nome ladino del ciuffolotto, un uccellino) la stella è arrivata nel 2013, con gli ispettori mortificati per essere arrivati “in ritardo” rispetto alle altre guide. Ghetta però la vede più come un effetto collaterale della sua dedizione al cliente, che come un valore autonomo, o un traguardo. Anche perché in zona troppe persone la ritengono un deterrente, un sinonimo del fatto di mangiare poco e strano.
A L Chimpl, tuttavia, sono costretti a ricredersi; non solo per i prezzi incredibili per un locale stellato (il menu da 3 portate costa 45 euro ed è costellato di una sequela notevole di amuse-bouche e post dessert, per colmare l’attesa tra un piatto e l’altro, che sono tutti fatti in diretta), ma anche per l’articolazione tradizionale del menu, in cui si riconoscono chiaramente i canonici antipasti, primi e secondi. Quanto ai dessert, tradizione e innovazione convivono: se è vero che due preparazioni spingono sugli zuccheri, in carta per qualche tempo sono già entrati piatti più attuali come un dolce non dolce a base di lattuga rosolata, cioccolato bianco affumicato e olive nere, “che ricordava un hamburger con la tipica salsa dolciastra di McDonalds” racconta lo chef.
Tuttavia, con misura e umiltà, a L Chimpl i cambiamenti di stile e di gusto vengono proposti e non imposti: l’intento è che chi esce dal locale, anziché sentirsi disorientato, torni a prenotare. E finora ha sempre funzionato, anche se l’attenzione ai desiderata del cliente non esclude una parte didascalica: “Se non spiegassi che la farina di mais è stata appesa nel bosco per 5 giorni, che poi viene arricchita con una infusione di timo e ginepro, penserebbero solo di mangiare una buonissima polenta, vanificando un po’ la nostra costante ricerca. Questo per dire che, anche se la tecnologia aiuta a innovare – riflette lo chef – per inventare, a volte basta tornare alle basi e recuperare la semplicità di un fuoco a legna”. Coerentemente con la sua idea un po’ arcadica della cucina (ma anche della vita), Ghetta non sogna una seconda stella per aumentare il suo prestigio e le prenotazioni. Al contrario, per il futuro accarezza l’idea di una piccola baita, “dove poter lavorare con mia figlia – che oggi ha 13 anni – e coccolare le persone portando in tavola quello che produco e che trovo nel bosco”. Lo chef può stare certo che anche nella baita i clienti arriveranno per lo stesso motivo per cui finora sono arrivati qui, la prima volta per curiosità, le successive perché lui è bravissimo.
L Chimpl
Str. de Tamion 3
38039 Sèn Jan di Fassa (TN)
Tel: +39 0462 76 91 08
https://www.hotelgranmugon.com/