Testo di Lorenzo Sandano
Foto di Stefano Delia
A fine novembre, presso il Ristorante Podere Belvedere (Pontassieve, FI), lo Chef Edoardo Tilli e la compagna Klodiana Karafilaj (nonché socia e direttrice di sala) hanno ospitato un incontro unico nel suo genere coadiuvati da Tommaso Tonioni (attualmente cuoco presso il Panificio Bonci) e dall’organizzazione Most Of Italy di Edoardo Celadon. Sotto il titolo Se Carne, Questa Carne le due giornate hanno fornito uno scenario elettivo per riflettere sul lato carnivoro della ristorazione attuale, muovendo oltre canoniche performance culinarie, mettendo a nudo le visioni più intime dei protagonisti, associandole allo sguardo artistico del fotografo Stefano Delia (parte di Project Arso con Tonioni) e alla selezione di vini artigiani (“alchemici”) dell’azienda toscana Malerba.
È ormai noto quanto il susseguirsi febbricitante di mode o consumi gastronomici possano condizionare le abitudini e le scelte alimentari su scala collettiva, anche nel settore ristorativo. Nell’era dei social media, inoltre, il bombardamento di contenuti legati alla dietologia (troppo spesso veicolati da figure improvvisate) non fanno altro che influenzare il consumatore verso giudizi fuorvianti, generando disordine e confusione su temi delicati. Si transita drasticamente dalla divinizzazione di alcuni alimenti o ingredienti feticcio, sino al bandirli totalmente in un loop pressoché schizofrenico. Uno dei topic più tormentati da anni è proprio quello del consumo di carne, sia nel campo nutrizionale che in quello dell’impatto ambientale o sostenibile rispetto le logiche naturali di cui dovremmo far parte.
Nell’universo fine dining diversi profili autorevoli hanno fatto leva sulla valorizzazione del versante vegan/vegetariano o di elementi alternativi allo spettro animale, ma è decisamente più raro trovare esempi di chi si è schierato rispetto al consumo responsabile di carne osservando angolazioni più profonde, senza timori nell’evidenziare dubbi o perplessità. Tilli, Tonioni, Karafilaj, Delia e Celadon si sono impegnati nel percorrere quest’ultima via, strutturando un simposio in tre tempi (Cena, Riposo, Colazione) in cui i capitoli dell’intera esperienza incarnassero Quattro Atti fondamentali della vita: Nascita, Crescita, Sacrificio e Celebrazione. Episodi esistenziali rivolti tanto al prodotto carne e alla fonte animale quanto al consumatore stesso; uno scambio equo e simbiotico che riporta l’umanità verso logiche primitive di pura devozione verso Madre Terra. I cuochi hanno elaborato l’intero menu serale (e le preparazioni del mattino seguente) solo la notte prima dell’evento, basandosi sulla reperibilità giornaliera di quel che il comparto selvatico – o proveniente da fedeli micro-allevatori – potesse fornire last minute. La stessa degustazione ha previsto un setting in cui ogni ospite potesse contemplare la tavola in solitudine per interiorizzare in maniera libera le proprie sensazioni, privato anche di un menu vero e proprio: al suo posto, quattro foto/opere di Delia quali traduzione visiva degli atti cardine dell’incontro.
Impossibile rimanere indifferenti dinnanzi al coinvolgimento emotivo e all’appartenenza professionale di tutti gli artefici della jam session. Per circa 48 ore hanno silenziato qualsiasi gesto egoriferito per uno scambio senza filtri su tematiche sensibili da loro vissute radicalmente. Superfluo quindi parlare di esercizi più o meno riusciti, così come lo è stato (volutamente) il vezzo comune di fossilizzarsi sullo storytelling delle portate. Tutte le parti coinvolte hanno lasciato sentitamente il palcoscenico alla lettura della materia prima in passaggi spogliati da velleità ed esibizionismi. Per questo preferiamo raccogliere le loro testimonianze (associandole ai già citati Atti), riportando etichette e vivande che ne hanno composto lo scheletro dalla sera al risveglio del giorno dopo. Opportunità non scontata quella di poter metabolizzare sul piano fisico e mentale le suggestioni serali – riposando nelle accoglienti stanze del Podere – per poi rinfrancare il bagaglio di osservazioni con una colazione modellata sulle medesime tematiche “carnivore”: Frollini al grano Verna, farina di cipresso, bacche di crespino e grasso di vacca vecchia; Orzo cotto in latte di vacca, spuma di cervello di vitello, granola e fegato grattato di vacca Maremmana; Torta di ricotta di capra caramellata al sangue di pollo e composta di amarene; Salame con fegato di daino, kumquat fermentati, uvetta, nocciole e cioccolato a evocare un “torrone insaccato”; Uova embrionali di piccione marinate in miele e spezie, servite in infuso di erbe appena raccolte; una clamorosa Torta di rose ai cereali, sfogliata al burro e macinato di maiale con mix di pepi, finocchietto, sciroppo all’arancia, limone, sale grosso e lardo di colonnata. Ulteriore dimostrazione di quanto l’uso coscienzioso di frattaglie e tagli poveri (non solo sbandierati a mo’ di trend) possano donare brillante versatilità in abiti imprevedibili.
L’intervista e gli assaggi in Quattro Atti
Perché “questa carne”?
Edoardo Celadon di Most Of Italy: “Il consumo della carne è, a oggi, un atto fuori controllo che ha perso ogni logica e ogni motivazione di piacevolezza, traslando il suo significato celebrativo in masticazione non necessaria e crudele. Volevo centralizzare la morte dell’animale, come atto voluto dall’uomo, per l’uomo, dunque di assoluto privilegio. Per questo ho deciso di creare un concept che uscisse dalle stanche e stancanti cene a quattro mani e che potesse scuotere gli ospiti, mettendoli a confronto con le proprie scelte, col proprio essere. La direzione creativa ha naturalmente seguito la missione che da sempre portiamo avanti a Most of Italy, dove costruiamo eredità gastronomica futura portando il pubblico a contatto con un sistema altamente etico e in via d’estinzione. Il Manifesto che ho scritto ha voluto disegnare delle linee guida che potessero far sentire gli chef, l’artista e la sommelier liberi di potersi esprimere, come se nessuno potesse vederli. Nasce così dopo mesi di lavoro, confronti e riflessioni: “Se Carne, questa Carne”.
Pane con farina Tipo2, farina di ghiande e legumi con grasso e ciccioli di cavallo ai semi misti
Atto I – Nascita
Edoardo Tilli: “La nascita richiama l’idea della creazione, l’arrivo di un figlio, ma porta con sé molto di più. È anche la nascita di una madre, un momento che ridefinisce e trasforma. In questo evento, la nascita non è stata affrontata nel suo significato superficiale, ma esplorata attraverso prospettive più profonde e connesse. Nascita si intreccia con crescita, sacrificio e celebrazione, perché ogni nascita porta con sé il cambiamento: ciò che è vecchio lascia spazio al nuovo. È un processo continuo che racchiude in sé vita e morte, memoria e futuro. La nascita è un ricordo vivido, un sapore o un profumo che ci trasporta in altre dimensioni, in pensieri che esplorano stati diversi dell’essere. È un momento carico di riflessioni, ma anche di desiderio per ciò che verrà. Ogni nascita è una trasformazione e ogni trasformazione è una nascita. Questo concetto non si esaurisce nel suo significato letterale, ma si espande, includendo le connessioni e le opportunità che accompagnano e plasmano la vita. Abbiamo voluto rappresentare la nascita non solo come un atto, ma come una connessione profonda, interna ed esterna, che si esprime attraverso il nutrimento e il cambiamento. È stato anche un ritorno intenso e materno, avvolgente, che ha coinvolto il senso di cura e trasformazione. In questa prospettiva, la nascita non è solo l’inizio, ma un processo che racchiude l’essenza stessa della vita. Nel suo nutrimento, nel suo concepimento e nella sua espressione senza tempo”.
Uovo di piccione marinato al miele di castagno, immerso in un vermouth ottenuto dalla tostatura delle ossa di volatili selvatici
Mammella di pecora servita nel suo latte cotto, testicoli di daino crudi, erbe amare e fiori di senape
Vino: “Stracciabrache” 2019
Atto II – Crescita
Tommaso Tonioni: “Per me la crescita è un atto fondamentale della nostra esistenza, un cuoco è ossessionato dalla propria crescita professionale che per anni insegue senza mai darsi tregua. Nell’interpretazione alchemica, la crescita non è solo un miglioramento fisico o materiale, ma un processo spirituale profondo che implica la purificazione e la trasformazione dell’individuo. Questo è un viaggio simbolico che parte dalla ‘materia prima’ (spesso vista come l’ignoranza o la parte grezza dell’anima) per arrivare alla realizzazione di uno stato superiore, simboleggiato dalla Pietra Filosofale. Quella sera, abbiamo cercato la nostra quintessenza, cercando di purificare (la saggezza, l’illuminazione, il potenziale umano) ciò che era impuro (l’errore, la paura, il vizio). Volevamo liberarci degli stadi inutili e superflui della trasformazione materica per trovare la ‘nostra’ pietra filosofale”.
Animella di vitella, mallo ossidato di noce e crema di mandorle
Intestino di pollo cotto in brodo di pollo col suo grasso arrosto, limone fermentato e fava tonka
Vino: “Ronzamoro” 2020
Atto III – Sacrificio
Stefano Delia: “Il sacrificio per me è probabilmente la fase che mi rappresenta maggiormente. I motivi sono diversi. Il primo è probabilmente legato direttamente alla fotografia. Ho sempre pensato che la fotografia sia fondamentalmente paradossale ed è a stretto contatto con la morte, non nel senso stretto del morire fisico, ma nel ‘non esistere’. Ogni foto scattata decreta la morte di quel momento, ‘uccide’ il presente e lo trasforma in passato (trovo molto calzante che in inglese il termine per scattare sia shooting), qualcosa che è passato e non è più, ma nello stesso tempo lo rende immortale. La foto è nel presente solo nell’istante in cui si sceglie di scattare poi vive nel passato e nel futuro che quell’immagine potrà raggiungere. Questa vicinanza della fotografia al non essere si è intrecciata diverse volte nella mia vita con la morte e guardarla in faccia non è mai una cosa semplice, specialmente quando è una morte evitabile, quella di un animale, finalizzato di fatto a soddisfare un desiderio, quello della fame di carne. Sostenere lo sguardo della morte e del peso che rappresenta darla a un animale, è molto duro, ed è qualcosa che nessuno di noi ha piacere a dare (e forse non ne è neanche in grado). Probabilmente, se fossimo da soli e vivessimo da eremiti nella natura, difficilmente saremmo in grado di mangiare carne, specialmente altri mammiferi, molti diventerebbero vegetariani. Difficilmente saremmo in grado di trovare il coraggio di ucciderne uno da soli, probabilmente fino a che il lato più selvaggio di noi non finirebbe per emergere. In quel caso, credo, si risveglierebbe dentro di noi qualcosa che ci ha accompagnato per millenni, che fa parte della nostra identità di onnivori (e cacciatori, prima che agricoltori) e per sopravvivenza, probabilmente saremmo capaci di uccidere. Mangiare carne significa avere chiaro il costo e la responsabilità che comporta farlo, rifiutandosi di alimentare un mercato che non rispetta l’animale, darlo per scontato e non onorarlo. Questo significa anche (e forse soprattutto) limitarne il consumo, avvicinandosi più possibile a quello che sarebbe il consumo di carne in un contesto selvatico: raro, sofferto e celebrato.”
Carpaccio di cavallo marezzato, cavolo nero fermentato, brodo di aringa al bergamotto, finocchio marino.
Fegato di daino di otto anni lievemente marinato nello shio koji, salsa verde al cipresso, laccatura all’aceto di cipolla.
Vino: “Ontano Nero” 2020
Atto IV – Celebrazione
Klodiana Karafilaj: “La celebrazione è un rito di consapevolezza e condivisione. Un momento in cui ci si ferma, si realizza il tempo passato e vissuto, la nascita che si porta dietro l’attesa, la crescita che si porta dietro la fatica, l’impegno e la costanza, il sacrificio che racchiude tutto quanto. La celebrazione è anche festa, comprensione, scambi che impegnano tutti i nostri sensi. La celebrazione è appartenere a un gruppo, a un’idea, a una visione e a una prospettiva medesima; quella di celebrare un animale che ha vissuto con dignità e le cui parti son state ‘sacrificate’ con rispetto. La celebrazione è consapevolezza”.
Bistecca “lessa”; dritto di vitellone ripieno di mortadella, parmigiano e cinghiale; pajatina di vitella bollita; salsa di albicocche, agrumi e sardella; lattume di aringa; cucamelon fermentati e mela sottaceto.
Faraona cotta sulla pelle, sesamo tostato e zucchero filato
Gelato al burro fermentato affogato al sangue di maiale
Vino: “Zizzania” 2018
Tante, dense e stimolanti le riflessioni raccolte durante questo incontro irripetibile capace di riportare il focus sull’urgenza di argomenti quali nutrimento, necessità e consapevolezza collettiva. Un plauso ulteriore alle doti innegabili di tutti i protagonisti, sperando che il loro esempio sproni sempre più kermesse di questo spessore capaci di evadere visioni superficiali.
Podere Belvedere Tuscany
Via San Piero a Strada n° 23
50065 Pontassieve (FI)
www.poderebelvederetuscany.it