Testo e foto di Tommaso Protti
Sono i giorni dopo le elezioni presidenziali in Brasile. Il settantasettenne Lula ha ritrovato di nuovo il potere per la terza volta durante la sua carriera politica superando di poco il rivale populista e di estrema destra, Jair Bolsonaro, con appena l’1% dei voti. È il risultato e il malessere di una società divisa a metà. Per le strade del paese implodono le proteste dei seguaci di Bolsonaro che gridano alla frode bloccando le autostrade e supplicando le forze armate di intervenire. Sono giorni confusi, da un lato la rabbia degli sconfitti che indossano magliette giallo verdi, dall’altro la voglia di voltare pagina e riprendere la normalità.
Così è a Sao Paulo, dove il giorno dopo il voto ha aperto Mesa SP, considerato il più importante congresso gastronomico dell’America Latina. La città, che ospita ogni anno l’evento, è una distesa di grattacieli e incontenibili agglomerati periferici dove vivono più di 22 milioni di persone. È sicuramente una metropoli cosmopolita e vibrante la cui energia ti travolge ma rimane tuttavia l’emblema di un Paese dove il divario tra povertà e ricchezza è ancora troppo forte. Secondo dati ufficiali più di 33 milioni di persone in Brasile patiscono la fame o si trovano in condizioni di insicurezza alimentare. Sette di queste vivono nel solo stato di Sao Paulo.
Di tali temi si è parlato proprio durante il congresso. Tra gli invitati numerosi chef, brasiliani e non. Ma soprattutto la star Carlo Petrini, il settantatreenne fondatore di Slow Food che ha usato il palco della kermesse per lanciare un’invettiva contro il sistema alimentare globale: “È un sistema criminale e noi dobbiamo fare di tutto per cambiarlo”. Carlin si domanda e risponde: “Perché il sistema non funziona? Perché 800 milioni di persone, anzi 900 milioni dopo la pandemia, soffrono di malnutrizione. E c’è ancora gente che muore di fame, una vergogna per l’umanità intera. Una vergogna nel XXI secolo. Allo stesso tempo 1,7 miliardi di persone soffrono di iperalimentazione. Che genera obesità infantile e malattie cardiovascolari, causate da cibo iper-processato”.
Petrini indica i problemi nella mancanza di tutele per chi lavora la terra, nelle grandi multinazionali che detengono l’80% dei brevetti dei semi senza darne accesso alle popolazioni e nel sistema alimentare che privilegia le razze animali forti e abbandona quelle poco produttive. Il suo è un intervento a 360 gradi sulla questione alimentare odierna con una denuncia che porta all’affondo.
“È in corso una schizofrenia rovinosa: da un lato si parla di cibo buono, assumendo vesti gourmet; dall’altro ci si veste da sindacalisti. Ma i due aspetti non possono dialogare: non si può parlare di cambiare le politiche agricole e, al contempo, di magnificare le raffinatezze delle pietanze. Allora, vorrei invocare un movimento di liberazione dalla schizofrenia, che impedisca di parlare di piatti di alta cucina mentre, anche solo venendo qui dall’hotel, ho contato sei persone che vivono in strada, disperate e senza cibo”.
Di persone senza tetto e cibo se ne vedono infatti molte per le strade di Sao Paulo. Davanti ai supermercati trovi sempre qualcuno che implora una bottiglia di latte, dei biscotti o del pane. Durante la pandemia diversi ristoranti stellati hanno deciso di aiutare mettendo a disposizione le loro cucine per i più bisognosi. Come hanno fatto i ristoranti Aizomê della chef Telma Shiraishi e il Mocotó di Rodrigo Oliveira.
Quest’ultimo, insieme alla moglie Adriana Salay, ha lanciato un progetto di sostegno alimentare per le famiglie più vulnerabili della loro comunità. Il Mocotó è un ristorante di cucina del nordest del Brasile e si trova proprio nella periferia della città, nella “quebrada” come dicono da queste parti, che significa “rotto”. Come secondo Petrini è il sistema.
Dello stesso avviso è Alex Atala, chef brasiliano pluripremiato che annuncia a Mesa SP il ritiro dalla cucina del suo ristorante D.O.M. dopo 35 anni di attività. Anche secondo Atala bisogna riconoscere il lavoro dei contadini e il suo valore economico, lui che nei suoi menu degustazione ha sempre dato preferenza agli ingredienti indigeni dell’Amazzonia come la radice priprioca, le formiche, il pesce pirarucu o i funghi Yanomami. I suoi sono piatti unici ma rimane il fatto che in un paese come il Brasile restano un’esperienza per pochi. Nel D.O.M., tuttavia, localizzato nel ricco quartiere di Jardim, è improbabile trovare persone di colore, che rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione, sedute ai tavoli a degustare alta gastronomia.
Tutto ciò non significa la scelta di mortificare il piacere del cibo. Inventare ed evolversi è nella natura umana ed è legittimo esaltare l’alta cucina seppure in un contesto di disuguaglianze. In questo senso la città di Sao Paulo è un esempio. Qui va infatti crescendo il numero di ristoranti che contribuiscono a esaltare e interpretare la culinaria brasiliana e la sua biodiversità. Ci sono la Casa do Porco degli chef Jefferson e Janaina Rueda con la sua venerazione per il maiale e la cucina di avanguardia caipira, inteso come gruppo etnico originario dello stato di Sao Paulo.
C’è sicuramente il Maní di Helena Rizzo che con la sua cucina contemporanea brasiliana reinterpreta piatti tradizionali come la feijoada. E poi i nuovi come l’Evvai del paulistano Luiz Felipe Souza che mette sullo stesso piano ingredienti brasiliani e italiani in quella che chiama “cucina oriunda”.
Eventi come il congresso Mesa sono senza dubbio opportunità che permettono di stimolare turismo ed economia e di mettere in luce il patrimonio gastronomico brasiliano a cominciare proprio da una città come Sao Paulo. Eventi che al contempo forniscono delle chances, come nel caso della denuncia di Petrini, per mostrare le carte e istigare un dibattito che metta in moto un nuovo processo di presa di coscienza. E che magari sposti gli influencers a parlare di più del dramma della fame o dell’inserimento dell’educazione alimentare nelle scuole piuttosto che di premi, stelle e classifiche. Il tema dell’evento è d’altronde la cucina dell’abbraccio che secondo il curatore Georges Schnyder deve condurre l’ambiente gastronomico a usare la cucina come arma per contrastare le logiche del liberismo economico che privilegiano solo i ricchi. Una visione necessaria dove, con un abbraccio tra sapori e contraddizioni, si possono frullare insieme immagini di prelibatezze con le difficoltà quotidiane di milioni di persone.