Testo e foto di Eugenio Signoroni
Ieri, 23 marzo, il ristorante Reale di Niko Romito ha riaperto dopo la pausa invernale. L’ha fatto con un menu degustazione totalmente vegetale a 170 euro. Un doppio messaggio fortissimo: da un lato la scelta di abbandonare carne e pesce (che resteranno invece tra le proposte alla carta) per concentrare la propria ricerca su un mondo in passato poco esplorato e oggi, invece, al centro della scena gastronomica mondiale contemporanea; dall’altro il mantenimento di un prezzo decisamente contenuto. Una scelta figlia della consapevolezza che solo in questo modo consente di avere alla propria tavola un pubblico giovane, curioso, locale; un elemento centrale (e spesso dimenticato) per la crescita di un ristorante e della cucina tutta.
Anche se l’attualità, quindi, spingerebbe in altre direzioni, voglio raccontare qui il menu degustazione che era in carta al Reale fino alla chiusura stagionale di gennaio. Perché è uno straordinario esempio di come avrebbe senso pensare i percorsi degustazione oggi, perché una seria riflessione su questi continua a mancare e perché, come dice il professor Nicola Perullo nel suo illuminante saggio Del giudicar veloce e vacuo (Edizioni Contemporanee), “criticare non è recensire né valutare ma ricercare e riflettere”. Non siamo ancora lì, ma è un tentativo di andare in quella direzione.
Uno degli elementi che più sta caratterizzando la vita dei ristoranti dopo il lungo periodo di chiusura è la presenza sempre più diffusa di menu degustazione più o meno obbligati. È una tendenza in atto già da diverso tempo, che negli ultimi dodici mesi ha subìto una decisa accelerazione. Si sta molto discutendo su quanto questa tendenza sia o meno opportuna e adeguata a questo momento storico. Personalmente ritengo che oggi più che mai la funzione del ristorante dovrebbe tornare a essere quella di ristorare, di far stare bene e di accogliere e questo significa innanzitutto lasciare la porta aperta ai desideri e ai gusti del cliente.
Se però menu degustazione deve essere, allora che ci sia una riflessione vera e profonda su come questo è costruito e pensato. Da parte dei cuochi, ma anche degli osservatori. Invece, gran parte dell’attenzione continua a essere rivolta al singolo piatto: ai rapporti di forza, agli equilibri, ai contrasti, alle tecniche; perdendo così di vista che in un menu degustazione ben concepito la portata dovrebbe affievolire almeno in parte il suo valore assoluto per diventare un tassello di un mosaico più ampio dove dimensioni, bilanciamenti gustativi e tecniche assumono significato in relazione a ciò che è venuto prima e a ciò che verrà in seguito. Non è sempre così e in molti casi – purtroppo nella maggior parte – i percorsi di degustazione continuano a essere nient’altro che sequenze ordinate di piatti presi dalla carta e serviti in dimensioni ridotte secondo lo schema classico che prevede prima gli antipasti, poi i primi, quindi i secondi e infine i dolci.
La riflessione sul menu non è faccenda nuova. Basti pensare, per esempio, allo straordinario lavoro portato avanti sin dagli anni Ottanta da Gualtiero Marchesi che per rappresentare la sua idea di percorso degustazione si fece aiutare dall’artista cinese Hsiao Chin con un’opera divenuta un’icona tanto quanto il Riso oro e zafferano o la Seppia al nero. Sette pennellate è un semplice disegno composto da sette tratti di pennello, uguali ma di colori diversi, posti in sequenza verticale a raffigurare tanto la continuità tra una portata e l’altra quanto le differenze e i contrasti che tra esse si generano. Nella mente di Marchesi il menu è un gesto libero che ha come obiettivo non tanto la sazietà del cliente – che alla fine comunque sopraggiunge – ma la stimolazione continua di curiosità e appetito. Il menu classico è così smontato e ricostruito in una successione inedita che porta Marchesi, alla fine degli anni Ottanta, a fare una scelta rivoluzionaria: spostare la pasta dalla sua inamovibile e quasi sacra posizione – tra i primi – a una collocazione terminale, ultima presenza salata prima dei dessert.
Mi sono ritrovato a pensare a questa idea di menu, raffinata e ragionata, lo scorso dicembre mentre ero seduto al tavolo del Reale di Niko Romito. Quella che Niko propone, infatti, è come quella di Marchesi, oltre trent’anni dopo, una sequenza in cui ogni elemento pur mantenendo la propria identità ne acquisisce anche un’altra grazie alla sua collocazione. Niko costruisce il menu degustazione come fosse una sinfonia in quattro movimenti. Il primo e l’ultimo atto sono i più strutturati e si somigliano mentre i due centrali sono più brevi e lontani per composizione dal resto.
Nel menu degustazione del Reale le portate perdono ogni legame con i concetti di primo e secondo piatto e divengono ouverture, arie più o meno note e cantabili, intermezzi. Non ci sono né amuse-bouche né pre-dessert, elementi che disturberebbero la struttura e le toglierebbero potenza. Il primo movimento sembra quasi preparatorio e dedicato alle sensazioni gustative di base. L’apertura è affidata a un Infuso di sedano, carota e cipolla, un brodo caldo, limpido e freschissimo, reso confortevole e strutturato dalla cipolla e punteggiato da un accento quasi impercettibile affidato a una fogliolina di salvia. La portata successiva, Seppia e dragoncello, poggia sulla nota verde, erbacea e quasi pungente del dragoncello che fa da contrappunto alla consistenza allo stesso tempo croccante e fondente della seppia. Ostrica e cicoria è invece un accostamento ardito dove la forte nota iodata del mollusco – la cui percezione è aumentata da una textura tenace che prolunga la masticazione – si contrappone alla profonda sensazione amara della cicoria. La Verza arrosto (un grande classico della cucina di Romito), infine, chiude il movimento con le sue note dolci e le sue aromaticità solo punteggiate.
Il secondo movimento è brevissimo, composto da due soli “brani”: il Pane che perde il suo classico ruolo di companatico per diventare portata a tutti gli effetti e poi la Costina di agnello con maionese di patate che grazie a una cottura al vapore e a una leggera affumicatura non segue la facile via della golosità, ma ne cerca una più complessa e nascosta volta a valorizzare la morbidezza delle carni, la loro profondità e purezza.
Un brodo, stavolta di bosco e di grande intensità, punteggiato da Ravioli ripieni di una luminosa purea di mandorle, apre il terzo movimento. Un atto di nuovo breve costruito su quelle che appaiono come due variazioni sullo stesso tema: prima una Trota – dalla carne delicata e consistente grazie a un lavoro di stratificazione dei filetti – avvolta da un estratto di alloro e di mandorla; balsamico e amaro il primo, morbido e vellutato il secondo. Poi una Pancetta di maiale, di nuovo sottoposta a una cottura leggera e servita con finocchi rinfrescanti e con una gelatina di latte.
L’ultimo movimento è il più complesso e ampio: potrebbe essere un pasto a sé stante, sintesi ed esplosione insieme di quanto anticipato fin qui. Di nuovo un brodo a introdurre la progressione, stavolta un’Estrazione quasi in purezza di cavolo nero. Poi Ravioli di zucca, essenziali e millimetrici in ogni elemento. A seguire Anatra fredda e acqua affumicata (quasi una reinterpretazione per sottrazione del canard à la presse) con la carne servita in modo di nuovo inusuale: fredda e accompagnata da un estratto delle sue ossa non ottenuto per concentrazione, ma per infusione per donare al palato solo le note più chiare e volatili. Una direzione, questa, che appare una costante del lavoro di Niko sulle carni che evita le scorciatoie e le facili grassezze, bruciature e caramellizzazioni per cercare un gusto nuovo, meno ancestrale. Infine, il Cavolfiore gratinato, altro classico della casa, dove in un gioco delle parti, i trattamenti normalmente attesi per le proteine animali sono messi a disposizione del vegetale per arricchirlo e dargli un nuovo slancio.
L’unica concessione classica alla costruzione del menu è data dai due bocconi dolci finali rappresentati da un inebriante e goloso Pane e cioccolato e poi dalla presenza quasi nostalgica della Frutta, elemento finale immancabile nei pasti di un tempo oggi presente solo in qualche vecchia osteria di paese.
Casadonna Reale
Contrada Piana Santa Liberata
67031 Castel di Sangro (AQ)
Tel: +39 0864 69382
www.nikoromito.com/reale