Testo e foto di Gabriele Stabile
Identità Golose: due termini che oggi sembrano appartenere a epoche diverse. Identità: niente di più sacro, pensate alle nostre nuove e sacrosante pratiche di autodeterminazione (esempio, per chi come Han Solo ha vissuto negli ultimi 5 anni in una vasca criogenica, le identità di genere). Golose: autoindulgenti, dunque, niente di più estraneo a questo biennio impestato. Da cui per la verità ci si augurava di riemergere nuovi, equilibrati, virtuosi, consapevoli e centrati. Ma quando mai, siamo golosi. Anzi, siamo come eravamo prima, perché l’uomo si adatta a tutto ma non cambia per niente e quindi è tutto diverso solo nelle parole dei romantici idealisti (incluso me, Marco) che ci sperano con tutto quel che hanno da metterci.
Eppure, si va con scarpe comode e pronti a riflettere su quel che si dice “il senso del mio viaggio”, perché è ovvio che se sei scemo come sono io e hai passato la vita a fare l’outsider, occasioni di networking ce ne sono pochine, ed è difficile guardare negli occhi e farcisi guardare. Insomma è già intricato trovare il cielo in una stanza, (alla mia età quasi impossibile) figurarsi in una fiera affollata. Mi esprimo subito sull’unica insufficienza: l’assenza di uno stand del caffè. Sia chiaro che esprimo un sentimento comune: eravamo in tanti un po’ con lo sguardo perso ad aggirarci per il padiglione ancora semi deserto alle 10:30 si mattina (il clou è stato prevedibilmente a pranzo), cercando qualsiasi cosa, non dico un super acido congolese filtrato da una tizia cool e tatuata, anche un estratto all’alluminio nel bicchierino di plastica o un Nescafé. Nada.
Dopodiché ci si perde un po’ tra le eccellenze, Pastificio dei Campi, San Pellegrino, Longino & Cardenal, Olitalia, Principessa, Roboqbo, Salumi Bettella, Berlucchi, Terra Moretti, 1895 by Lavazza Coffee Designers per elencarne alcune in ordine decisamente casuale.
Tra incontri inaspettati ma facilitati dalla editor più rock della scena italica con alcuni grandi nomi presenti (la ciliegina: Carlo Cracco che le chiede: ci vediamo dopo, ed Anna: non lo so.) e altri “giovani turchi” pronti a prendersi la scena a tegliate di pasta al forno (con il buon Bolasco che incorona Ziantoni dicendogli: sei grande, stacce).
Ci si trova a fare surf tra uno stand e l’altro incluso il tempio del Parmigiano Reggiano, che onestamente sembra un po’ la morte nera quando è ancora in costruzione, con le impalcature a giorno. Io ho amato Spigaroli, che rimane umano con il Berlucchi accanto, con il fotografo dell’evento che si spara un tagliere di affettati sullo sfondo, le due Nikon ai fianchi come un cowboy di Sergio Leone.
Ma se è vero che non puoi fidarti di un uomo che mette sia le bretelle che la cinta qui il rischio è quello di rimanere soli o essere condannati alla chiacchiera con l’interlocutore che ogni tanto ti butta un occhio dietro la spalla per vedere dove sono i veri vips.
Altra nota positiva: la nuova editoria, alcune giovani coraggiose, alcune macchine fotografiche curiose il giusto. Tanti ragazze e ragazzi giovani. Il neologismo del giorno per me è: “croccare” cioè rendere croccante, ma per chi non è di Roma è facile fare ironia e si perde il sotto testo della “crocca”, la pizza in faccia, il cazzottone ma anche bonariamente la botta che ti cambia.
Ecco, se però ci sforzassimo tutti, come si faceva noi, i figli illegittimi di Bourdain, di togliere il glamour dallo chef e restituirlo al culatello e alla giovane culatta, vivremmo meglio. Perché lo dico? Perché la sera prima c’era la riunione mensile di Trivial contro Pizze, il mio amatissimo dining club. Siamo in cinque, Rodrigo, Tommy, Daniel, Carlo e me: si mangia, ci si racconta un po’ di vita, Rodrigo sceglie i vini, siamo cavie consenzienti. Ieri sera era da Trippa (eravamo tutti già stati diverse volte, ma vale sempre la pena) e mi sono trovato a sbranare buona parte dell’apparato riproduttivo della mucca, con obbligatorie escursioni nelle interiora. Non so se il sesto quarto esista come esiste il sesto senso, ma ieri l’ho cercato bene.
Insomma, mentre chef ci faceva vedere come divorare un utero in umido (delizioso e senza fronzoli come anche la cipolla, il crostino e le lumache) ho pensato a quante bugie siamo disposti a raccontarci e a raccontare agli altri per puro marketing. Quando invece le nostre storie più efficaci sono semplici, dirette: Appennino, strada, casa, Fiat Panda, vimini, norcineria, Diego Rossi.
La parola d’ordine di questa nuova stagione sarà positività e rimboccarsi le maniche, lanciarsi innamorati in progetti nuovi, che il mondo ha ripreso a girare, un po’ affaticato, con un po’ di tensione sulle spalle, eppur si muove. E io preferisco parlarvi di noi che ci amavamo tanto e che non vedevamo l’ora di condividere un pasto insieme: fondate dining clubs in tutta Italia! Arriva l’inverno, ma torneranno quei giorni, sarà maggio di nuovo, presto.