Testo di Andrea D’Aloia
Foto cortesia di Ristorante L’Arcade
Questa è una storia che arriva da lontano. Entra in simmetrie nascoste, stravolge comfort zone, cambia prospettive senza mai avvitarsi su se stessa e arriva al nocciolo di una piccola magia. A qualcosa che, da qualsiasi angolazione e prospettiva la si osservi, è una cosa bella. L’Arcade di Nikita Sergeev ha appena compiuto 10 anni e concepire un menu che riunisca assieme i migliori piatti di ciascun anno della decade è un ottimo modo di mettere ordine alle cose: è vedere tutto lucidamente, riassumere il viaggio, condensare punti coerenti tra loro e coagularli in un’unica traiettoria che ci porta fin qui, a quella sensazione che tutto si sia messo al proprio posto.
Quello che è accaduto nel mentre è il racconto dell’impatto di una forza di volontà, della scintilla che lo chef s’è portato addosso un sacco di tempo e che tutto a un tratto ha deciso di esplodere: sarebbe potuta detonare a qualsiasi latitudine del mondo, è accaduto sul lungomare di Porto San Giorgio, nel posto in cui lui ha capito che il futuro sarebbe arrivato, e che avrebbe potuto aspettarlo senza paure. Ma è soprattutto la cronaca dei modi in cui si sono definiti standard, misurate minuzie, completate sequenze di senso e inventato percorsi che, risalendo in superficie, son diventati evidenti, concreti, ed efficaci.
Perché il ragazzo venuto da Mosca, alla fine, s’è dovuto guadagnare ogni cosa: nessuna scorciatoia, nessuno sconto. Ha costruito sé stesso e la sua identità di cuoco un pezzetto per volta, ha superato incomprensioni e diffidenze, creato una clientela nuova dove ancora non ne esisteva una. Tanta salita, poca discesa, ogni sacrificio messo in conto. Percorrendo tutti i gradini alla fine si è imposto. Lo ha fatto senza alcuna tradizione culinaria russa a cui guardare con nostalgia, senza assecondare quel che tanti si sarebbero aspettati da lui: Sergeev ha connesso prima se stesso ai luoghi nuovi che aveva scelto di chiamare “casa” e alle persone che li animano, con la coerenza di chi le Marche a un certo punto ha iniziato a farsele scorrere nelle vene. Poi s’è rimboccato le maniche, ha studiato sodo, ha girato lo stivale per comprenderne le sfumature, “tarato” il palato e costruito il suo gusto. “È che proprio non riuscivo a saziarmi dalla voglia di comprendere”, confessa lui.
A un certo punto ha visto l’Adriatico e ci è rimasto secco: la gioia fa parecchio rumore e quell’urlo l’ha sentito dentro, come trovare il capo di un filo e da lì iniziare a districare i nodi in cui s’era ingarbugliato. Ha riflettuto, smussato, compreso e corretto passi falsi, programmato. Soprattutto: ha saputo attendere. E rivendicando tutta la propria libertà ha calibrato il suo percorso, ed evoluto una cucina orgogliosamente italiana: non di quelle interpretate o di rimandi, ma autentica, colta, armoniosa.
Nel 2020 ha acquistato lo chalet dove ha mosso L’Arcade e lo ha tirato a lucido, ci ha riversato tutta la bellezza che ha sognato, lo sforzo dell’eleganza, i brividi che ancora cerca. Ci alterna dentro spinta, velocità, baricentro. Tra opere d’arte ed elementi di design incrocia gesti e sincronia con il suo alter ego in sala – Leonardo Niccià – con cui condivide (da nove dei dieci anni) la visione di ricercatezza, ordine, linearità. Tutto funziona a meraviglia, ogni microscopico dettaglio rasenta la perfezione.
La sala poi lascia senza fiato: di giorno è pura luce, sfavillio che poggia su ogni cosa, ci arrivi invece al tramonto e dalla grande vetrata vedi il mare inghiottirsi via il sole, il blu della notte dipingersi di fresco, le onde che arrivano a infrangersi sotto la tovaglia. Vien voglia di togliersi le scarpe, abbandonarsi, mentre tutto intorno si crea un mondo dove c’è ancora posto per la meraviglia: questo è un modo bellissimo di abitare un momento e di sintetizzare uno spazio.
I riverberi del mare arrivano forti e chiari nei piatti e nei calici, dialogano con gli elementi della terra tutt’intorno (è il caso delle Trippe di rana pescatrice e lumache di vigna in insalata: un piatto davvero fuori di testa), riempiono e completano il tuo cerchio sensoriale, ti ci fanno fluttuare dentro.
Il Percorso Nikita (questo il nome del menu del decennale), ha il ritmo dei ragazzi in sala e in cucina: calibrato, sicuro. Ne comprendi – nitide – le idee, ci leggi il percorso, ne diventi parte. Non è una sequenza di portate giocata tutta all’attacco, neanche un ottovolante con cambi improvvisi di velocità e direzione. È il moto dell’onda: sincronizza classicismi, contemporaneità e sguardi avanti in un unico gesto continuato. Balli sulle evoluzioni, nei piatti concepiti più addietro e realizzati con la sapienza e la bravura di oggi.
È il caso, ad esempio, dell’ottima Ostrica poché cotta a vapore nel suo guscio (piatto del 2017) il cui sapore metallico è accentuato da una stratificazione di freschezza e acidità sovrapposte: quella del caviale, del gel di pomodoro verde, della foglia ostrica; così come dal sedano rapa che racchiude un Battuto di mazzancolle, ricoperto da una lussuriosa crema di crostacei e la salsa Tom Kha Gai a base di latte di cocco; è da caderci dalla sedia. Balli sulle idee, quando a tavola arrivano i Tortelli à la minute di ricotta e ruta (piatto affascinante, del 2020). Un equilibrista che cammina a grandi altezze su un filo sottile: la sfoglia tirata al momento, e l’evidente lavoro sulle note amaricanti del vegetale, che donano una riuscitissima complessità. Oppure la golosa Capasanta alla Rossini: piatti che vale davvero la pena di essere degustati.
La cucina di Sergeev è intensità, gesto ribelle: parla il linguaggio delle cotture, delle temperature di servizio, di complementarità e contrasti tra ingredienti. Traccia una linea e mette a nudo intenzioni. Urla il sincero “Questo sono io, questo è l’Arcade” dello chef e i suoi ragazzi. Perché in qualsiasi giorno dopo che verrà, la rivoluzione è essere sé stessi. Sempre.
Ristorante L’Arcade
Lungomare Antonio Gramsci 315
63822 Porto San Giorgio (FM)
Tel: +39 0734 675961
www.ristorantelarcade.it