Italia e Perù: una storia di migrazione, condivisione e integrazione
Testo di Jackelin Coloma
Illustrazioni di Virginia Giurlani
La cucina peruviana di oggi, sempre più riconosciuta a livello internazionale, è figlia di popolazioni indigene che nel corso dei secoli hanno vissuto in armonia con la natura, valorizzando la grande diversità climatica ed ecologica che caratterizza l’intero paese. Ma la cucina peruviana è anche figlia di numerose migrazioni, da diverse parti del mondo (Cina, Giappone, Germania…), inclusa l’Italia. Anche se numericamente limitata rispetto a Paesi come l’Argentina e il Brasile, l’immigrazione che dalla nostra penisola ha raggiunto il Perù ha portato già nel 1858 alla nascita della seconda comunità straniera a Lima, superata solo da quella tedesca.Alcune peculiarità l’hanno portata a integrarsi nella cultura peruviana, gastronomia inclusa: infatti, gli italiani hanno portato con sé un bagaglio ricco di tradizioni alimentari, lasciando in Perù una vera e propria eredità culinaria.
L’arrivo dei primi italiani in Perù: marinai, commercianti e proprietari terrieri
Già nel Cinquecento alcuni genovesi, veneziani e fiorentini erano giunti sul suolo peruviano per dedicarsi al commercio e alla navigazione. Ma solo tra il 1840 e il 1880 si è verificata la più significativa migrazione italiana in Perù, in concomitanza con due fattori: l’inizio dell’emigrazione italiana verso le Americhe e il boom del commercio di guano in Perù che spinse molti italiani a scegliere questo Paese come meta dove dar vita a nuove attività economiche.
Sulle coste del paese, stabilendosi principalmente nel nucleo urbano commerciale di Lima e Callao, arrivarono italiani principalmente dalla Liguria, gente di mare spinta dalla “cultura della mobilità” derivante dalle loro origini come marinai e commercianti e che già tre secoli prima li aveva spinti a raggiungere il Sudamerica. E seppure in quote minori, il Perù ha attratto migranti anche dal Piemonte, dalla Lombardia e dalla Toscana, ma anche dal Lazio, da alcune aree del Centro-Sud e dalle Isole.
Grazie alla vicinanza del mare e al loro forte spirito imprenditoriale, il Perù ha visto gli immigrati italiani dedicarsi alla pesca, alla gestione di ristoranti, bar, panifici e di numerose pulperías, empori con prodotti di vario genere (alimentari, liquori, abbigliamento, beni per la casa) che in seguito si sono spesso trasformati in moderni bar e ristoranti. Gli italiani sono stati anche proprietari di fabbriche, principalmente di pasta (nel 1878 erano già ben 12 nella sola Lima), cioccolato, vino e liquori. E nei dintorni di Lima, così come nelle principali città costiere e in aree più interne del paese (come Arequipa e Pasco), gli italiani hanno avuto un ruolo significativo anche nel settore agricolo, dedicandosi principalmente alla coltivazione di: uva, canna da zucchero, cannella, cacao, caffè, cereali, vari tipi di frutta.
L’influenza italiana sulla gastronomia peruviana: nuovi ingredienti e nuovi piatti
Insieme a un forte slancio commerciale, gli italiani hanno portato con sé in Perù anche nuove abitudini alimentari che da Lima si sono diffuse a livello nazionale. Se pensiamo agli ingredienti, i nostri connazionali hanno introdotto numerosi legumi freschi e verdure: spinaci, broccoli, cavolfiore, zucchine, melanzane, carciofi, basilico. Una menzione speciale va all’introduzione di nuove varianti di uva, come il Moscatello Bianco di Alessandria, conosciuto in Perù come uva Italia e con il quale si produce il Pisco Italia, nelle valli di Ica e Chincha, due città marittime dove già nel 1850 si era stabilita una solida comunità di immigrati italiani.
La pasta: un ingrediente chiave nella cucina italo-peruviana
Ma uno degli ingredienti italiani più importanti per la cucina peruviana si è rivelato la pasta, chiamata fideos (termine che probabilmente deriva dall’arabo-ispanico fidáwš, ossia “ciò che trabocca”, data la caratteristica della pasta di salire e quasi traboccare in cottura), che oggi troviamo non solo in preparazioni di origine italiana, ma anche in piatti nati da una fusione con la creatività peruviana. Un primo caso è quello dei tallarines – nome generico per la pasta lunga tipo spaghetti o linguine, derivante dal piemontese tajarin – utilizzati in due ricette di chiara matrice italiana: i tallarínes verdes (spaghetti con un pesto pressoché identico a quello ligure, ma in cui talvolta si aggiungono spinaci e i pinoli si sostituiscono con le noci); e i tallarínes rojos, conditi con ragù di manzo (tagliato al coltello o macinato) o di pollo. I due piatti sono all’ordine del giorno sulle tavole dei peruviani, che spesso li accompagnano con una preparazione di origine andina molto amata: la salsa a la huancaína, preparata con ají amarillo, formaggio fresco, latte, olio di mais, cipolla o aglio e sale. Questo incredibile abbinamento si trasforma in un’esplosiva combinazione di sapori e funziona, come dimostra la sua grande popolarità a livello nazionale.
La diffusione della pasta però con il tempo ha superato i confini delle preparazioni di origine italiana e ha dato vita a nuovi piatti realizzati con ingredienti tipicamente peruviani, per esempio: la sopa seca (letteralmente “zuppa asciutta”), nata dalla creatività degli afro-peruviani di Chincha, che hanno trasformato il pesto tradizionale in un condimento per gli spaghetti preparato con basilico frullato con brodo, soffritto a base di cipolla, aglio, cumino e ají panca, una varietà di peperoncino poco piccante alla base di molti piatti peruviani; i tallarínes a la huancaína, conditi con la sopracitata salsa.
La presenza della pasta in Perù non finisce qui: gli spaghetti o i capelli d’angelo non possono infatti mancare in alcuni brodi e zuppe, come il caldo de pollo (un rinvigorente brodo di pollo) e la sopa a la minuta (un’aromatica zuppa di manzo speziata con l’ají panca).
I principali piatti di origine italiana, fra tradizione e innovazione
I migranti italiani hanno portato con sé anche vere e proprie ricette, come la Torta pasqualina genovese, che è diventata il Pastel de acelgas, una torta salata con bietole e pesto. Il mondonguito a la italiana, a cui nel tempo si è aggiunto l’ají amarillo per renderlo più speziato, nasce dalla trippa alla fiorentina o, come ritiene Gastón Acurio, dalla trippa alla genovese. Il minestrone è diventato il Menestrón e si è arricchito con i vegetali locali, pasta corta (principalmente penne o rigatoni), carne di manzo o frutti di mare. Gli italiani hanno portato anche il già menzionato ragù, che tuttora mantiene una ricetta in gran parte fedele alla versione italiana, a differenza di quanto è accaduto in altri Paesi con immigrazione italiana. E con un processo che potremmo chiamare “ritorno del mais alle sue origini”, gli italiani hanno portato con sé anche la polenta, guarnita con ragù di manzo, stufati o verdure.
Con l’apertura di panifici italiani si aggiungono alla lista di ricette anche la focaccia ligure, la pizza con pomodoro e mozzarella e il pandolce genovese, chiamato anche panettone genovese, che però fin dagli inizi del Novecento fu superato in termini di popolarità dal panettone milanese.
Il panettone: un nuovo simbolo del Natale in Perù
Il panettone milanese ha trovato in Perù una seconda casa, dove già agli inizi del Novecento è diventato uno dei dolci più apprezzati dai locali durante le festività natalizie, superando i confini di Lima fino a diffondersi in tutto il Paese. E non si tratta solo di un dolce, ma di una vera e propria tradizione che unisce generazioni e che non può mancare durante le celebrazioni nelle case peruviane (magari abbinato a una tazza di chocolate caliente), proprio come accade in Italia.
Un grande merito della diffusione del panettone va all’azienda D’Onofrio, fondata a Lima dal casertano Pietro D’Onofrio nel 1897. Nata come produttrice di gelati, grazie agli eredi del suo fondatore l’azienda si è ampliata con la costruzione di una fabbrica di cioccolato di alta qualità (1929), per poi produrre anche caramelle, biscotti e altri prodotti dolciari. La crescita è stata tale che, negli anni Cinquanta, l’azienda ha firmato un accordo con la milanese Alemagna, acquistando la sua formula per la produzione del panettone e il diritto a utilizzare la confezione tipica dei suoi prodotti, che rappresentava il Duomo di Milano con una A (D’Onofrio sostituì la A con una D).
E come si presenta il panettone oggi? Dalla versione tradizionale con uvetta e canditi sono nate numerose varianti di questo dolce, che non di rado includono ingredienti più locali come i canditi di papaya, la banana, il camote (patata dolce), le noci pecan, la farina di patate, di quinoa o di mais viola. Non mancano le versioni anche per chi non ama i sapori tradizionali o la frutta candita, come il panettone ripieno di crema al pistacchio, di cioccolato o persino di gelato, ideale per il Natale estivo peruviano.
Il risultato dell’incontro gastronomico fra Italia e Perù
Il contributo degli immigrati italiani, che con impegno e tenacia si sono integrati nel tessuto nazionale peruviano, è tuttora significativo. Oltre a lasciare in eredità piatti, ingredienti e abitudini alimentari, hanno creato un vero e proprio legame tra la cucina italiana e quella peruviana, nato in tempi lontani, ma ancora forte. I peruviani hanno oggi un debole per la cucina italiana, amano i ravioli, le lasagne e la pizza, creano piatti fusion come il quinotto (risotto dove la quinoa sostituisce il riso) e versano a pioggia il parmigiano anche in piatti con origini tutt’altro che italiane.