Testo Barbara Marzano
Foto di cortesia di Matì e di Luca Mucci
“Non sfido gli chef, ma le nonne”. Se non è una sfida questa, di cosa stiamo parlando? Matteo a 26 anni apre Matì, insieme ai soci Arjuna Ullrich Rimbotti, Daniele Ionni e Laura Muccini, per mettersi in competizione con le stelle della gastronomia, quelle che hanno farcito i nostri ricordi di odori memorabili, perché a quanto pare il piacere di Matì parte sempre e solo dalla memoria. “La domenica aspettavo sempre il mio maritozzo dolce, era il premio della settimana, ma arrivava solo se fino all’ultimo fossi stato bravo. E intendo fino alle 7 della domenica mattina, perché poi alle 7.30 tutti in chiesa! Matilde, mamma, ovviamente era affezionata all’unica chiesa che apriva all’alba”.
Il presente traduce il passato. Non c’è stata levataccia, rimprovero o rinuncia, che Matteo non rivivrebbe oggi. Se Matilde lo ha allenato per il futuro, Matì segue Matteo nel presente. È proprio da lei che nasce l’insegna del piccolo angolo nel centro di Milano, oggi tempio del maritozzo. Dolce? Sì, ma soprattutto salato. E se è vero che qui tutto nasce dalla memoria, il datterino in acqua di mare lo racconta in un ricordo. “Quando uscivo dall’acqua di mare, mia madre mi dava sempre un frutto. Avevo questa sensazione di dolcezza data dal frutto, ma anche di sapidità sulle labbra. E quella sensazione oggi torna nel nostro pomodorino: una dolcezza estrema trattenuta nell’acqua di mare microfiltrata che riporta a quella sapidità. Un prodotto della memoria in pratica”.
Sulla carta d’identità c’è scritto Poli (Ro), ma nel cuore batte la Sicilia. Un amore giovanile, come biasimarlo, per l’isola d’Italia che conquista. È nella punta dello Stivale che fonda Elphood, l’azienda di prodotti siciliani di cui è socio, produttrice dei datterini in acqua di mare, dei filetti di acciughe del Cantabrico, e tanto altro. Un progetto di business, o forse una buonissima scusa che lo reclama in Sicilia quando più lo desidera. È lì che respira l’aria di casa, il benessere, quello che fa bene alla fantasia. Da Matì non c’è la minima neutralità, ogni gusto è coraggioso, deciso, anche se non perde occasione di giocare con la mente, come per Meditarraneo, un battuto di pomodoro confit, olive taggiasche, acciughe siciliane, accompagnato da mozzarella di bufala, peperoncino e olio EVO. Un ritratto di Sicilia che sa il fatto suo, eccede in qualità e sdogana le emozioni. E in un attimo è mare. È il carattere del Sud, è comfort che rasserena, caos che scuote. La pasta non è la base, ma la dama che accompagna e sposa gli altri ingredienti senza prevalere né scomparire, con il sacrosanto compito di ripulire il palato fin dal primo morso per invitare al secondo. Terzo, e quarto.
Farcia e pasta si aiutano l’un l’altra per permettere un percorso di degustazione, senza inciampare nella monotonia del gusto, ma piuttosto sollevarsi in leggerezza. I maritozzi di Matì, da 15, 30 o 50 grammi, sono leggeri. Non è utopia, ma il risultato di un percorso durato sei anni, tra ricerca e tante prove. “Mi dicevano: Vai a snaturare un prodotto come il maritozzo, sei pazzo. L’ho presa come una sfida. Così ho passato sei anni per trovare il grammo che facesse la differenza nell’impasto, l’equilibrio che mancava alla versione classica, golosa ma eccessiva”.
E il risultato c’è. Merito di un impasto che rinuncia al lievito di birra e sceglie una lievitazione 100% lievito madre, con una selezione di 4 farine differenti. Un percorso che termina poi con il burro di Normandia, unico prodotto forestiero, perché l’italianità per Matì è tutto, ma se la qualità lo richiede, vale la pena discostarsi dalla penisola per selezionare ciò che serve appena fuori dal confine. Ma sorge spontanea una domanda. In una città come Milano, golosa ma sempre attenta alle tendenze, questo prodotto gourmet, finalmente leggiadro, non meriterebbe anche la sua versione vegana? “Non ho nulla contro i vegani, ma non scendo nemmeno a compromessi. Se dovessi produrre un maritozzo adatto alle loro esigenze, andrei contro ogni principio. Sarebbe possibile, certo, basterebbe usare della margarina, nota anche come prodotto di scarsissima qualità e super economico, di cui ovviamente non sono fan. Qui contiamo su una produzione a lungo termine, che faccia tornare le persone, anche solo per un attimo di felicità”.
Un’attenzione maniacale per l’ingrediente e le sue origini. E non solo. La polpetta che riempie uno dei suoi cavalli di battaglia pesa esattamente 7 grammi impastati tutti a mano. Polpetta è stato il primo maritozzo, quello che ha unito in un boccone la salsa della mamma e la polpetta della nonna. “Nonna non era bravissima a fare le polpette. Cioè, erano buone, ma fin troppo fritte. Invece, mamma è sempre stata forte sulle salse. Così ho arricchito e gestito la salsa, ma ho utilizzato esattamente l’impasto della nonna, con carne di vitella e Mortadella Favola, la sua preferita. La scoprì durante un viaggio a Bologna e se ne innamorò. E come potevo tradirla?”. Un cuore di polpetta spolverato da una grattata di parmigiano, rigorosamente senza sale, perché alla sapidità ci pensa il mix di acciughe del Cantabrico e olive taggiasche che riposa all’interno. Da Matì la Sicilia si sente, ma anche Roma non scherza. La memoria di Matteo torna volentieri alle domeniche romane, quelle avvolte dal tepore del lesso cotto in casa per ore. A quando inspiegabilmente la carne avanzava, veniva sfilacciata a mano, stufata con cipolla, alloro e pepe nero, e ripassata nella salsa di pomodoro fino a diventare un trionfo di morbidezza. Tradizione, o meglio, Picchiapò.
“Picchiapò mi riporta a casa, alle domeniche più belle, con un ricordo fisso: in tv c’era sempre Linea Verde e in sottofondo il camino acceso. Immaginatevi la classica famiglia di giù, pasta fresca, due primi fissi, brodo con quadrucci e un ragù semplice con una bella spolverata di parmigiano. E poi il lesso, ovvio”. Matì è questo. È Matteo che racconta la leggenda che c’è dietro al maritozzo, il panino di frutta secca e uvetta con all’interno l’anello di fidanzamento che i mariti regalavano alle loro donne prima di chiederle in sposa. È la ricerca e l’impegno del peschereccio di Elphood che esplora il mar Cantabrico per pescare le acciughe, lavorarle entro le 3 ore successive alla pescata, pulirle, abbatterle e metterle sottovuoto per poi spedirle in Sicilia e invasarle. Matì è scoprire i viaggi della nonna di Matteo, ma anche il rigore di mamma Matilde. Perché da Matì c’è una cosa da tenere bene a mente: qui la moda la fa la memoria.
MATÌ
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