Testo di Barbara Marzano
Foto cortesia di Maison Ruinart
Instagram. Bacheche intrise di influencer pronti a contagiare i nostri neuroni. Viene da chiedersi se al tramonto del 2021 abbia ancora senso parlare di muse ispiratrici, oppure se la questione possa risultare del tutto anacronistica. La risposta sincera è Maison Ruinart, musa dal 1729. Artisti contemporanei come Liu Bolin, Vik Muniz e David Shrigley, per non parlare di quelli dei secoli scorsi, sono le menti creative che hanno perso la testa per l’anima della Casa realizzandone una propria visione. Un legame artistico che fa da liaison con la sottile arte della creazione dello champagne della Maison, che fin dagli esordi decide di utilizzare il raro vitigno Chardonnay per produrre le sue Cuvée.
Come una musa elegante, pura e raffinata, oggi la Maison scivola verso sud, oltrepassa i confini francesi e seduce l’Italia con la sua art de vivre in un’esperienza immersiva, “Petit R”, parte del progetto Maison Ruinart 1729: un piano di comunicazione che corre di anno in anno sulla cartina europea, ma soprattutto il modo più autentico di ricreare in ogni dove l’essenza della Casa. Come è successo lo scorso fine settimana, 19, 20 e 21 novembre, nell’hub internazionale di Identità Golose Milano, palco della danza onirica tra il savoir-faire secolare e il carattere contemporaneo di Ruinart, che ha preso forma in un percorso su tovaglia bianca, animato in virtual reality. Un videomapping in 3D dell’artista giapponese Kanako Kuno, un’esplorazione dei quasi 300 anni di storia della Maison raccontata su una tela fluente tra una portata e l’altra.
Petit R., andata in scena a Milano con un trittico di cene riservate a 12 ospiti a serata, più che un dîner, è stato un appuntamento a tu per tu con la meraviglia, una conoscenza approfondita garantita dalla narrazione visiva dell’artista e dalla sua azione di dribbling tra le cuvée di Ruinart cullate nei calici. Un’esperienza che rintraccia i connotati della più antica maison di champagne, portatrice di innovazione nonostante l’insita secolarità, con una performance artistica surreale.
Si è trattato di una meraviglia momentanea, per quanto straordinaria, che però ha trovato un seguito nel modus operandi di Ruinart con la stupefacente second skin: un packaging eco-concepito, in carta bianca 100% riciclabile, che preserva l’integrità del gusto fino alla degustazione. Lei, immaginata per richiamare il gesto con cui il maître avvolge il tovagliolo bianco attorno al collo dello champagne, ritrae l’abbraccio tra la memoria della Maison e un’avanguardia sostenibile, un’istantanea di un presente in cui la sostenibilità non deve essere presa in considerazione ma piuttosto intrapresa.
E in questo caso, la cover etica parla anche a nome della tradizione, quella delle Crayères, le storiche cantine della Maison di Reims, dichiarate patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO dal 2015. D’altronde la texture è un evidente richiamo agli 8 km di gallerie in gesso che corrono silenziose sotto la città di Reims, a 38 metri di profondità, dove lontano da ogni tipo di vibrazione esterna riposano silenti le Cuvée di casa. Una raccolta di bollicine ancestrali che accompagna le tre degustazioni meneghine, una de lo chef Denis Pedron, Corporate Executive Chef del gruppo Langosteria, e due de lo chef Giuseppe Mancino de Il Piccolo Principe di Viareggio, aperte e studiate insieme alla resident chef di Maison Ruinart, Valérie Radou, protagonista assoluta della cena immersiva.
Ogni portata del menu di Valérie, come degli altri, è stata pensata per essere oggetto di una e una sola cuvèe. La freschezza ittica dell’Ostrica, infatti, si schianta in bocca con quella del Ruinart Blanc de Blancs, uno spasmo palatale a cui segue il Rombo di Bertrand Mure con crema di cavolfiore, nelle sue varianti verde, arancio e bianco, in giostra sulla rotondità dello Chardonnay. I contrasti continuano con la Faraona con zucca, finferli e succo di liquirizia adulati dal Ruinart Vintage 2011, che lusinga dolcemente anche il formaggio Chaource, con uva e granola. Chiude il sipario la pera infusa con ibisco, pompelmo e rosa, come a richiamare la freschezza gemella dell’entrée, accolta questa volta dal perlage persistente del Ruinart Rosé, una cuvée rosa granato.
Dunque, forse non servono immagini o hashtag sensazionali per stimolare l’ispirazione e promuovere la novità. Senza troppo rumore, Maison Ruinart ispira il futuro e si lascia ispirare dalla memoria, consapevole di quanto il passato abbia bisogno di storia e di quanto il futuro abbia sete di storie sempre nuove.