Testo di Letizia Gobio Casali
Foto cortesia del ristorante Sine
Quattro mani, un ingrediente e una sfida: dimostrare la versatilità del baccalà. Questo l’obiettivo del pranzo organizzato per la stampa da Sine (il ristorante gastrocratico di Roberto Di Pinto) preparato dallo chef di origine napoletana insieme ad Andoni Arrieta, chef spagnolo già detentore di una stella Michelin. Si tratta infatti di lavorare una materia prima al top della qualità: Giraldo, marchio spagnolo distribuito in Italia da Longino & Cardenal, che deve la sua unicità a un peculiare metodo di lavorazione e dissalazione.
Pescato all’amo nelle acque islandesi Fær Øer e lavorato direttamente a bordo, il baccalà Giraldo viene portato entro 12 ore negli stabilimenti di salatura, dove viene immerso in acqua e ghiaccio, poi passato in salamoia e infine nel sale secco. E qui viene il bello: per liberare il pesce dalla sua corazza di sale si utilizzano vasche di acqua ferma e ghiacciata anziché invece che lasciarlo sotto acqua corrente. La dissalatura può durare anche 12 giorni; solo in questo modo la gelatina del pesce – ovvero l’allumina che compone la sua parte grassa e che ne determina il pregio organolettico – non si disperde e grazie alla bassa temperatura dell’acqua, anche la carica batterica rimane immutata e permette di non aggiungere additivi di conservazione.
Una curiosa coincidenza accomuna questo processo di dissalazione di Giraldo a quello, più popolare, effettuato dal nonno paterno di chef Di Pinto, che “di mestiere faceva il venditore di baccalà e stoccafisso. Era il re del mercato di Fuorigrotta” ci racconta il talentuoso chef. “Anche mio nonno lo dissalava in acqua ferma, ricordo le bacinelle in cui era immerso, ma non so se lo facesse per risparmiare sull’acqua corrente o per salvaguardare il sapore”.
In più lo chef ricorda di aver vinto due settimane di showcooking su una nave da crociera con Mauro Uliassi grazie a dei ravioli di baccalà: una ricetta scelta “perché è un derivato dal merluzzo che trovi in tutta Europa” precisa. Nonostante questa “storica” vicinanza con il baccalà, Di Pinto ha lasciato al collega Arrieta la facoltà di scegliere quali portate preparare e si è messo “in secondo piano” e il pranzo ne è risultato una sequenza di delizie. Così, Arrieta ha preparato un antipasto, una Lamina di baccalà crudo con crema di pane, pomodoro e olio d’oliva, trippa di baccalà cotta con cipolla, zucchine e carote, con l’aggiunta di funghi – dalla consistenza incredibilmente gelatinosa – e un Taco di baccalà con guazzetto di molluschi e taccole.
Di Pinto ha ribattuto con un Bignè craquelin con baccalà mantecato, limone candito, caviale e oro, una sfiziosità in equilibrio tra dolcezza e sapidità che dà dipendenza e con la Mescafrancesca con fagioli, miso e crudo di baccalà. “È un omaggio alla mia napoletanità” ci spiega. “La mescafrancesca era la pasta cruda avanzata, messa nel cassetto finché se ne accumulava una quantità sufficiente per un pasto. L’ho cotta in un miso di fagioli cannellini che ha reso superfluo il sale e ci ho aggiunto il baccalà crudo in tartare condita con olio e succo di limone. Infine, ecco il sublime Baccalà, limone nero e acqua pazza, secondo una ricetta popolare nata con l’acqua di mare per evitare la tassa sul sale, che, appunto, ne evita l’aggiunta. Mancherebbe il dolce a tema, ma Di Pinto assicura che il binomio cioccolato bianco e baccalà funziona e, dato il pregresso, c’è da fidarsi. La missione di attestare la poliedricità del pesce ritenuto povero, insomma, è stata perfettamente compiuta. Ma è stato raggiunto anche il secondo obiettivo di chef Di Pinto: far mangiare bene le persone.
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