Testo di Letizia Gobio Casali
Foto cortesia di Incuso
Più etica, meno estetica. Sembrerebbe un imperativo adatto ai tempi e a certa parte della gastronomia e dell’alta ristorazione, in cui all’effetto wow, al piatto o al prodotto instagrammabile, si accompagna una modalità di lavoro non sempre rispettosa delle persone.
Invece Pasquale Bonsignore, 40 anni, fondatore di Incuso, è riuscito più che a invertire i termini ad abbinarli e a fare prodotti esteticamente accattivanti e al contempo etici. La sfida di Incuso – che è stata illustrata da Bonsignore nel corso di una serata in cucina alla chef’s table del ristorante di Giancarlo Morelli – è stata quella di porre attenzione al processo con cui si arriva al prodotto più che al prodotto in sé, individuando tuttavia modalità di coltivazione, lavorazione e logistiche tali da rendere il risultato finale tanto buono quanto bello.
Certo, la kalokagathia, l’unione di bello e buono non è esattamente un concetto nuovo. E Bonsignore, nato in una Sicilia ex territorio greco, lo sa benissimo. Ma la novità del suo approccio sta nell’aver saputo rimodernare questa idea tenendo conto anche del fattore economico. “L’incuso” ci spiega, “era il simbolo che, battendo con il martello sull’incudine, veniva riportato sul retro delle monete coniate dalle ex colonie greche quando si emancipavano dalla madre patria greca”. Prendere a simbolo questo lato B del conio significa dunque voler rovesciare la classica prospettiva imprenditoriale e – anziché mirare al massimo profitto “spremendo” i dipendenti – ottenere un guadagno anche per i lavoratori, ridando valore al loro operato. È stato questo, infatti, il punto di partenza di Incuso, una realtà nata nel 2011 per rimediare all’abbandono dei terreni agricoli in una Regione, come la Sicilia, flagellata dalla disoccupazione.
Il primo ambito di produzione ha riguardato le olive del territorio nativo di Bonsignore, il Belice, che vengono messe in salamoia con tre diverse modalità di fermentazione, oppure, qualora si tratti di nocellara, diventano olio. Incuso ne produce di due tipi: l’Etichetta Nera, classificato con un fruttato medio, da olive raccolte tra il 10 e il 20 ottobre, e il Mozzafiato, più raro perché con una resa sotto il 10%, che nasce dalla raccolta e lavorazione ancora più precoce. Tutto si svolge infatti il 27 settembre, compleanno di Pasquale, e la conseguenza di questo anticipo è un olio che ha un gusto più deciso, piccante e verde, che ha conquistato, con le sue bottiglie in vetro, i migliori ristoranti italiani. A latere del mondo legato alle olive, Incuso trasforma anche vari tipi di pomodoro proveniente dalla Campania e capperi e uvetta da Pantelleria.
L’azienda non possiede terreni ma, come una cooperativa, assorbe integralmente la produzione di alcuni agricoltori che hanno dato fiducia al progetto, accettando di integrare la loro sapienza con tecniche moderne, a condizione di contare su servizi di supporto alla produzione e nuovi protocolli di lavorazione. Incuso, infatti, non mitizza il passato, rimpiangendo le buone cose di una volta: tutt’altro.
“Se fai una cosa come l’hai sempre fatta perché è buona, a me non basta. Io voglio capire perché la fai così” dichiara Pasquale. In linea con questa impostazione che rispetta la tradizione, ma in realtà la vaglia e semmai perfino la migliora, tra una portata e l’altra di un menu basato su prodotti Incuso (e composto da una delicata Pappa al pomodoro, un’Animella capperi, acciuga e levistico, Risotto con limone capperi e caffè, un morbido Agnello arrosto e un godurioso dessert con Cioccolato, olive e olio) Bonsignore ha annunciato due nuovi progetti.
Il primo è la creazione di un centro di ricerca, a Milano, i cui lavorino di concerto gli esperti delle varie fasi produttive e il mondo della ricerca scientifica, così da mettere letteralmente “a terra” le più avanzate conoscenze scientifiche sulle qualità degli alimenti e sulle tecniche agricole. Il secondo è la realizzazione di una scuola di conduzione agricola, in Sicilia, per chi già lavora la terra nell’alveo del progetto, in modo da fornirgli le competenze richieste dal contesto attuale. Incuso vuole conservare la bontà traghettandola nel presente, elevando i margini di guadagno di chi produce cibo, ma anche il valore percepito dei prodotti in vendita.
Tra marketing, design e un approccio disincantato alla tradizione, Incuso mira a operare una piccola rivoluzione alimentare e politica. La cartella stampa attesta che le “conseguenze di tale visione saranno il rilancio della produzione agricola, nuovamente attrattiva per le persone giovani; la tutela della densità abitativa dei nostri paesi e dei territori periferici, promuovendo la restanza e la salvaguardia e la cura del paesaggio agricolo e antropico e della sua varietà”. Chi scrive ammira l’ambizione di questo programma e si augura che il citato rinnovamento socio-economico avvenga. Forse, come sosteneva Mao Zedong, la rivoluzione non sarà un pranzo di gala, ma non è detto che non possa avvenire portando in tavola prodotti buoni ed eticamente corretti. Anzi, dato l’acume di Bonsignore, potrebbe proprio andare così.
Incuso: www.instagram.com/incuso_lab