Testo di Claudia van den Berg Morelli
Foto cortesia di FeminAs e di Claudia van den Berg Morelli
Sarebbe uno sbaglio pensare che FeminAs sia stato “solo” un susseguirsi di presentazioni di cuoche e showcooking. Nei tre giorni di congresso, infatti, ci sono state una serie di tavole rotonde multidisciplinari con specialiste del settore gastronomico da tutti i campi, quindi con cuoche e produttrici ma anche direttrici di sala, educatrici ed esponenti del settore pubblico.
Il settore primario è stato rappresentato da giovani donne che sono diventate un punto di riferimento nazionale per i loro progetti. Come, ad esempio, la cantabrica Irene Rodríguez, enologa e proprietaria della Bodega Hortanza (Trebuesto, Cantabria), che dopo aver lavorato in alcune importanti cantine, è tornata nel suo piccolo paese di meno di 200 abitanti, dove la famiglia aveva terreni e ha deciso di iniziare a produrre vini bianchi (e solo bianchi) di qualità, facendo un blend 50/50 di riesling e gewurztraminer. Nel 2022 Ines ha ricevuto il premio per il miglior progetto imprenditoriale della regione.
Sulla costa Atlantica della Galizia invece, a Muros (in provincia di La Coruña), è stata la giovane María Maceiras a ricevere il Premio Nazionale di Gastronomia per Giovani Talenti della Spagna, a soli 22 anni. María è una raccoglitrice di molluschi e crostacei che attraverso i social media divulga informazioni sulla necessità di proteggere le risorse del mare. In molti dei suoi video, infatti, restituisce al mare crostacei che per un motivo o un altro non possono essere pescati, ad esempio quando hanno le uova. È stato proprio un video su TikTok improvvisamente andato virale che l’ha resa famosa in tutta la nazione. Coraggiosa e determinata, è l’unica donna tra i suoi “compagni di mare”, ma non si lascia intimorire e difende con orgoglio la sua passione per il lavoro.
A sinistra: Susana Casanova; María Maceiras. A destra: Irene Rodríguez; Susana Casanova; María Maceiras; Natalia Lobeto; Marigel Álvarez; Ana Vega
Nello stesso panel abbiamo trovato la giovane chef Susana Casanova, responsabile de La Clandestina a Saragozza e vincitrice del premio per la Miglior Tapa del settore alberghiero e della ristorazione spagnola all’ultima edizione di Madrid Fusion. Parlando della creatività e dello sforzo, Susanna racconta che il processo creativo è una serie di prove (ed errori) fino ad arrivare all’equilibrio ricercato.
Infine, il duo madre e figlia Marigel Álvarez e Natalia Lobeto ci ha raccontato del loro processo di recupero del Casín, un formaggio originariamente a base di latte di vacche razza Asturiana o Casina, che grazie agli sforzi di Marigel sono riuscite a far diventare una denominazione di origine protetta (DOP). Il queso Casín, infatti, è uno dei formaggi più antichi della zona, menzionato in documenti storici che risalgono al XIV secolo. Marigel iniziò a produrre formaggio perché voleva trovare un lavoro vicino a casa che le permettesse di passare tempo con i figli. In poco tempo si rese conto che essere casara, soprattutto facendo il formaggio Casín che richiede un processo di lavorazione complesso e lungo, era un lavoro full time. Oggi la figlia Natalia gestisce l’azienda e continua a promuovere questo formaggio storico, ricco di grassi (circa il 45%) e dal gusto forte e leggermente piccante.
A sinistra: Natalia Lobeto; A destra: il formaggio Casín
In un’altra tavola rotonda, mediata dalla giornalista gastronomica Nieves Caballero, abbiamo ascoltato le voci di quattro donne che si dedicano al mondo della ristorazione, ma non in cucina. Si muovono tra i clienti e hanno parlato di sala, topic molto importante e troppo spesso tralasciato. Troviamo Montse Serra, caposala di Miramar** (Llança, Girona), Noemí Martínez, caposala e sommelier di Trigo* (Valladolid), Iratxe Miranda, caposala e sommelier di Yume (Avilés), e Delia Melgarejo, caposala e sommelier di Monte* (San Feliz, Lana). Una cosa è chiara: c’è tecnica in sala, come in cucina e molta organizzazione. È fondamentale essere preparati e lasciare il minimo spazio all’improvvisazione – dice Montse Serra – per realizzare un servizio migliore. Iratxe Miranda porta una nuova prospettiva e sottolinea l’importanza del commensale: “Il cliente stesso ci indica la strada. Dobbiamo osservare e ascoltare. Non tutti i commensali sono uguali, sono loro che ti chiedono di cosa hanno bisogno e con loro si impara davvero giorno per giorno”.
A proposito di leadership al femminile, in una conversazione sulla situazione del mondo agroalimentare, quattro protagoniste dirigenti (con le p***e) ci raccontano molto schiettamente come stanno le cose. “La disuguaglianza è evidente. Possiamo vederla più o meno, ma esiste e nelle campagne è accentuata. L’invisibilità delle donne nel settore primario è un classico” dice Teresa López, presidente della Federazione delle Donne Rurali FADEMUR e vicepresidente della Fondazione ACODEA. Esther Cueli, amministratrice delegata dell’azienda asturiana Aguas Fuensanta (Nava), aggiunge che è difficile trattenere i talenti nelle zone rurali e che le donne incontrano vari ostacoli nello sviluppo di una carriera professionale. Laura Morcillo, consulente gastronomica e fondatrice della scuola multidisciplinare di gastronomia e turismo MOM Culinary Institute, condivide questa opinione, aggiungendo che “nel processo di selezione c’è ancora molto pregiudizio silenzioso. Si dà per scontato che gli uomini siano ambiziosi per una posizione manageriale e che siano in grado di assumere tutte le funzioni, mentre le donne devono ancora dimostrarlo”. A questo proposito, la proprietaria della Bodega Victoria Ordóñez & Hijos (Malaga), Victoria Ordóñez, confessa che anche se “il 40% dei vini che beviamo in Spagna sono prodotti da donne enologhe, abbiamo meno visibilità perché ci vendiamo meno, dato che le donne del vino non lavorano a partire dal loro ego, ma dalla loro visione o dal concetto di un progetto”. Tutto questo riferito al contesto spagnolo in cui queste dirigenti si muovono, ma che sono sicura abbia molta validità anche oltre i confini iberici.
Con il background delle colline Asturiane, dopo un pranzo a Ristorante Casa Adela, il cuoco e imprenditore Chema Isidro ci ha presentato il suo progetto sociale Gastronomia Solidaria. È una ONG il cui obiettivo principale è il reinserimento, attraverso la formazione in cucina e nella ristorazione, di giovani a rischio di esclusione. Il tutto parte dalla storia personale di Chema, che da giovane stava prendendo la strada sbagliata e che, grazie all’incontro con una figura che poi diventerà il suo mentore, è arrivato in cucina ed è riuscito a ricrearsi una vita. Con un tasso di successo dell’80%, Gastronomia Solidaria sta aiutando giovani ragazzi e ragazze ogni giorno a raggiungere l’indipendenza economica e a dimostrare che con volontà si può fare tutto. Il processo di formazione è difficile e lungo, con giovani che arrivano da mondi diversi, senza struttura e a volte anche senza casa, ma che con tempo riescono ad appassionarsi e dedicarsi al mondo della ristorazione.
Il congresso FeminAs si è concluso con la frizzante e dolce Valentina Álvarez, chef della scuola di ristorazione Iche (San Vicente, Ecuador). Ci presenta un trabiccolo sconosciuto: il forno Manabita, ci ha spiegato che è il fulcro della cucina Manabíta, cioè di Manabí, una provincia costiera nella regione occidentale dell’Ecuador. “Non è solo un luogo per cucinare, è un legame con i nostri antenati, una ricchezza culturale e un trasmettitore di conoscenze”, dice Valentina. Occupa circa il 40% della cucina di una casa rurale (pensate più a un bancone quadrato che a un “forno” come intendiamo noi), e ha ben 16 tecniche di cottura e conservazione di alimenti: un fornello per arrostire o friggere, una zona per affumicare o una zona per cucinare seppellendo il cibo nella cenere della brace. Alimentato esclusivamente a legna e gestito dalla donna padrona, che ha quasi una relazione simbiotica con il suo forno. Le ricette e tecniche sono tramandate da donna in donna in maniera orale, lavorando insieme intorno al forno, perché “Quando il forno è acceso, si attiva la memoria”.
Come le guisanderas asturiane, il forno Manabíta è simbolo della conservazione di una ricca cultura gastronomica che rischia di essere persa se non valorizzata e protetta. A fine presentazione, Valentina Álvarez annuncia che donerà il “mini” forno Manabíta (che ha portato con 100+ chili di valigia in aereo e assemblato per il congresso) al club delle guisanderas, simbolo di questo gemellaggio e legame tra tradizioni culinarie diverse.
Leggi il primo articolo di FeminAs qui.