Testo di Luca Sessa
Foto di Antico Forno Roscioli e Maurizio Camagna
“Il 26 febbraio del 1972, esattamente 50 anni fa, nostro padre ha aperto il forno in via dei Chiavari. Una data dal duplice valore, perché è anche il suo compleanno, ma conoscendolo sarà stata solo una coincidenza. Papà ha un modo tutto suo di gestire la parte romantica e affettiva della vita”. La saletta interna del Caffè Roscioli è il luogo scelto da Alessandro e Pierluigi per raccontare una storia lunga e spesso sofferta, che attraversa cinque decadi ed è stata scandita da momenti significativi per una delle insegne più importanti del panorama gastronomico italiano, ma anche per una famiglia, quella dei Roscioli per l’appunto, che hai vissuto tra i banchi e i forni del loro primo locale gran parte della propria vita.
“Da un paio d’anni a causa di problemi di salute nostro padre Marco non segue più l’attività, ma ci piacerebbe organizzare una grande festa per questa ricorrenza, chiudendo un tratto di strada per riprodurre per quanto possibile l’atmosfera che ha caratterizzato gli anni della nostra adolescenza, quando questa parte di Roma era poco più che un paese”. Pierluigi ha iniziato a bazzicare nel forno a 11 anni, nei primi anni ’80, vivendo momenti irripetibili, rappresentativi di un modo di vivere e di relazionarsi forse perduto per sempre: “Il sabato pomeriggio questa strada diveniva un vero e proprio centro commerciale a cielo aperto. Dinanzi al nostro forno c’era una jeanseria frequentatissima e i clienti in attesa di poter entrare acquistavano la nostra pizza. Nelle sole 4 ore di quel pomeriggio riuscivamo a vendere lo stesso numero di pizze che ora coprono un’intera giornata di lavoro”.
Altri tempi, altre abitudini, altre persone. Sembra d’ascoltare storie di chissà quale epoca lontana, eppure basta girarsi indietro per poterne sentire ancora l’eco: “Il negozio chiudeva alle 13.30 e riapriva alle 16, e in quel lasso di tempo papà cucinava per tutti. Sulle ceste del pane venivano adagiate le tavole della pizza e il menu prevedeva sempre e solo conchigliette o ditalini con il sugo finto (solo pomodoro e soffritto) oppure l’amatriciana. Eravamo una vera e propria armata Brancaleone: Papà aveva creato uno staff rinforzato per il venerdì e sabato, che comprendeva Ciro er monnezzaro, Marcello l’autista dell’Atac che lavorava in divisa d’ordinanza, Er Capoccione che era il cartolaio di zona. I diseredati venivano ad arrotondare, era un periodo complicato per tutti e papà ha sempre cercato d’aiutare chiunque si presentasse alla nostra porta. Alessandro era al banco, io invece ero una sorta di rider d’altri tempi, prendevo 50 lire a pizza ma alla fine non mi pagavano mai”. Uno scenario dai contorni Pasoliniani fatto di personaggi a volte semplicemente in cerca del pranzo e di chi voleva riscattarsi: “Spesso lavoravano con noi anche persone che dovevano reintegrarsi nella società dopo aver scontato una pena, come Gianni Er Fissa (poiché si concentrava su determinati modelli di auto…), preso in affidamento da papà. Avevamo uno stile di vista che non prevedeva compromessi, sopravvivere era la priorità per tutti”.
La mattinata scorre veloce grazie ad un racconto appassionante e appassionato, nel quale spesso ricorre la parola “fortuna” utilizzata in una moltitudine di accezioni, perché una vita così intensa ha bisogno anche di quelle fortuite coincidenze che permettono di indirizzare il destino di una famiglia. Ma la fortuna da sola non basta anzi, per poter rappresentare un valore aggiunto deve trovare terreno fertile, una componente umana di enorme spessore che meritava una buona sorte avendo guadagnato il successo con l’enorme sacrificio: “Papà fino a 11 anni ha fatto il pastore, veniva dalla povertà vera. Poi è venuto a Roma ed è finito alla Marranella di Pasolini, nel forno di zio, crescendo in un ambiente sempre al limite ma pieno di umanità, che può distruggerti o arricchirti. Anche noi siamo cresciuti in un contesto di questo tipo, che ci ha segnati anche dal punto di vista imprenditoriale non facendoci mai diventare brutali e questa scelta ci ha lasciati bottegai, ancora oggi. Il nostro è un modo di fare impresa oramai anacronistico, alcuni dei 120 dipendenti di Roscioli sono con noi da quasi 40 anni mentre al giorno d’oggi non si riesce più ad instaurare un tipo di rapporto di questo tipo” ci confida Alessandro, che aggiunge “Siamo burberi e difficilmente ci avviciniamo alle persone ma ci riconosciamo la capacità di entrare in sintonia con tutte le persone, siamo pronti a dare tutto e questo ci viene riconosciuto”.
Ma l’elemento che davvero contraddistingue ogni istante di questi 50 anni è sicuramente quello rappresentato dal valore dei legami familiari: “Nostra madre ha saputo tenere in piedi la famiglia, è entrata in collegio sulla Casilina e una volta uscita a 15 anni ha incontrato papà. Ha rinunciato a tutto per far funzionare la loro storia: due persone diverse, due destini apparentemente diversi, che hanno saputo dar vita a un rapporto che dura ancora oggi. Lei è proprio una mamma nell’accezione più piena del termine, ha cresciuto tutti quelli che sono passati nel forno. Inoltre, anche se nostro padre è un infaticabile lavoratore, il supporto di nostra mamma è stato decisivo per dare ordine ai conti del forno” sottolinea Pierluigi. Ogni decennio ha avuto la sua importanza, ma quello relativo agli anni 80 tornò continuamente nelle parole dei due fratelli: “Il decennio degli anni 80 è stato significato e formativo, un periodo in cui non avevamo paura di nulla.
Vendevamo anche detersivi e surgelati, papà prendeva tutto ciò che non aveva scadenza o quasi. Inoltre, il nostro forno era messo a disposizione per le cotture dei ‘pranzi della domenica’, questa zona di Roma poteva esser considerata alla stregua di un paese: c’erano anche i bagni esterni, si facevano cotture in conto terzi. Ci chiamiamo forno proprio per questo motivo, poiché avevamo una licenza diversa da quella di un semplice panificio”. Gesti romantici e ripetuti, una quotidianità quasi romanzesca con i suoi inevitabili aneddoti: “Tanti clienti portavano a cuocere le patate al forno e Alessandro ne mangiava sempre qualcuna. Essendo un periodo difficile tanti contavano le patate prime di consegnarcele e quindi capitava sovente di vedere tornare qualcuno che urlava er figlio der fornaro se magna ‘e patate! con tutte le conseguenze del caso” racconta divertito Pierluigi.
Una vita vissuta nel forno di famiglia, ma con qualche piccola pausa: “L’anno di servizio militare l’abbiamo svolto nei Vigili del Fuoco, una sorta di vacanza dai ritmi di lavoro imposti da nostro padre. Solo che combinare le due cose (nelle ore libere dovevamo comunque dare una mano) ci ha stravolti al punto che una volta Pierluigi si è confuso e, vestito da vigile e con la camionetta d’ordinanza ha iniziato a far le consegne del pane. Inutile dire come è andata, tra posto di blocco, telefonata al comandante e conseguente ramanzina”. Un episodio che pur riguardando i ragazzi racconta in realtà l’instancabile opera di un padre che non si è mai perso d’animo: “Una volta ci ritrovammo con molte rosette avanzate, e papà decise di farcirle con la mortadella.
Le caricò sul furgone, mi chiese di accompagnarlo e mi lasciò all’entrata dell’Olimpico, sotto un vero e proprio diluvio, dicendomi di tornare a casa solo dopo averle vendute tutte. Se ripenso a quei momenti ora mi viene da ridere, ma a prescindere dall’approccio di nostro padre, ciò che ci ha trasmesso è la forte etica del lavoro” ci confida Alessandro, che racconta di un genitore spinto dalla voglia di rivalersi sulla forte povertà economica, affettiva e culturale da cui proveniva. Una persona molto concreta a cui sono sempre sembrate strane le nuove idee dei figli, “anche se siamo sicuri che sia molto fiero di noi, non ce lo dice direttamente, ma lo confida a nostro zio e quindi indirettamente lo scopriamo”.
Una storia così lunga deve necessariamente sapersi rinnovare, e nel corso del tempo hanno quindi assunto grande valore alcune persone “che hanno saputo incastrarsi nel nostro mondo”, le compagne di vita e alcuni collaboratori che si sono legati alla famiglia anno dopo anno. Figure divenute di supporto nei momenti difficili, quelli legati ad esempio al rapporto di papà Marco con l’alcol, una sfida vinta grazie al prezioso intervento di Alessandro e Pierluigi, fratelli cresciuti assieme e legati da un rapporto di rara intensità. “Siamo sempre stati quelli che si sono scambiati l’affetto reciprocamente, perché abbiamo sempre creduto in ciò che volevamo fare, il tutto in un ambiente che non hai mai esplicitato l’affetto. Il nostro è un rapporto tra due fratelli veri, che si vogliono bene, ma è anche vero che proveniamo dalla generazione delle urla e della rigidità, e quindi stiamo cercando di cambiare anche con l’aiuto delle nuove generazioni”. E proprio le nuove generazioni sono ora al centro dei pensieri dei Roscioli: “Sinceramente ho paura che i miei figli possano dirmi di voler continuare sulla nostra strada, perché richiede troppo sacrificio. È un modo di vivere che richiede un determinato background che ti consenta di affrontare anche gli schiaffi, e le nuove generazioni, per fortuna, ora hanno altre opportunità. Magari potrebbero portare un nuovo approccio più imprenditoriale ma voglio che si sentano liberi di vivere la vita che preferiscono” confessa Alessandro.
“Sarebbe anacronistico crescerli come è stato fatto con noi, e inoltre da un altro punto di vista dare una nuova impronta manageriale alla nostra impresa rischierebbe di snaturarla e non me lo auguro. Per fortuna (ecco che ritorna…) siamo rimasti bottegai per 50 anni!” aggiunge Pierluigi. “Non voglio spingere i ragazzi verso l’unico tipo di educazione che abbiamo conosciuto. Questa azienda ci assomiglia, e quando sento che si ha successo per questo motivo, capisco che sarebbe difficile proseguire sulla stessa strada perché voglio che i nostri figli possano crescere in un altro ambiente, dove non c’è paura di mostrare l’affetto. Il nome Roscioli è legato fondamentalmente alla qualità dei rapporti umani e il nuovo modo di fare impresa difficilmente si coniuga con le nostre idee e la nostra natura. Oggi c’è cannibalismo su tutto, il lavoro viene trattato come una merce, la merce come un lavoro, quando si dovrebbe continuare a partire dalla credibilità delle persone. Il cliente è diventata l’ultima cosa, noi non ci ritroviamo più in questo tipo di ragionamento, di approccio, non riusciamo più a relazionarci come accadeva prima e quindi non vogliamo fare determinati passi perché significherebbe non rispettare più il nome Roscioli”.
Ma in realtà le nuove generazioni sono già entrate in contatto con il ‘mondo Roscioli’, poiché accanto a Alessandro e Pierluigi è subentrata anche Maria Elena, la giovane sorella (“la figlia della tranquillità, arrivata oltre 20 anni dopo noi due”) che dopo la laurea in psicologia (“la prima in famiglia a laurearsi, alla sua seduta se semo addormentati”) prima ha lavorato 2 anni al forno e ora è al ristorante. “Ha il nostro Dna, è una grande lavoratrice, ma al tempo stesso non ha vissuto il nostro passato e quindi ha un modo di approcciarsi diverso, ma altrettanto valido. Anche se ci sono tanti anni di differenza (19 con Pierluigi, 23 con Alessandro) siamo in piena sintonia: ci accomuna l’educazione con cui viviamo il lavoro, anche se apparteniamo a generazioni diverse ragioniamo allo stesso modo, ma lei avendo vissuto meno in strada ha uno stile suo, sicuramente più moderno” racconta Pierluigi alle cui parole seguono quelle di Alessandro “Dopo la laurea pensavamo volesse fare un tirocinio e invece ci ha detto di voler lavorare con noi. La cosa ci ha sorpresi ma anche inorgogliti perché ha dimostrato che i valori della nostra famiglia resistono al trascorrere del tempo. Noi pensiamo al nostro lavoro ancora come artigianato vero, vogliamo continuare ad essere artigiani e vedere che Maria Elena riesce a donare continuità alla nostra identità, con il supporto di nuovi strumenti e un modo di pensare moderno, è il nostro più grande successo”. Maria Elena, con il suo stile, sottolinea un passaggio fondamentale che ha contraddistinto il suo approccio al lavoro: “L’amore per il lavoro e il valore del sacrificio sono i più grandi esempi che ci ha dato nostro padre. Non pensavo potesse appartenermi quest’etica, e invece sin dal primo giorno al forno ho capito che ero anche io una Roscioli”.
Un lungo racconto durato oltre due ore, che si chiude con un nuovo riferimento alla fortuna, perché anche la migliore delle idee imprenditoriali ha bisogno in alcuni casi di buona sorte: “La nostra è una storia di fatica nella quale c’è stata tanta fortuna, ma non quella casuale: la nostra fortuna ha un volto, quello di nostra madre, che ha tenuto in piedi il tutto. Ma poi la fortuna è tornata anche sotto altre forme, come l’aver aperto sotto il balcone di Stefano Bonilli che ha subito intuito il potenziale del nostro progetto, divenendo al tempo stesso il nostro primo critico ma anche il nostro più grande promotore. Ha iniziato a portarci i grandi nomi della gastronomia mondiale, da Ducasse a Pierangelini, ci ha convinti a coltivare ancor di più le nostre passioni e il nostro progetto, grazie alla mia curiosità verso l’alta ristorazione e all’amore per il bello da parte di Alessandro” sottolinea Pierluigi “Ci ha rimproverati quando era necessario, ci ha insegnato molto, forse tutto, sulla ristorazione di un certo livello. Ha fisicamente aperto lui la salumeria perché noi eravamo come bloccati dal timore di non riuscire a fare ciò che volevamo”.
Giunti alla fine della narrazione, entrambi vogliono sottolineare un passaggio importante della filosofia dei Roscioli: “Siamo convinti che con il nostro approccio umano e professionale si possa costruire un rapporto che duri nel tempo: in 50 anni di attività non abbiamo mai avuto una vertenza sindacale; ciò che trasmetti arriva, il valore dei rapporti umani viene prima di ogni cosa, è in questo modo che un’attività imprenditoriale ti rappresenta davvero. Lavorare in un ambiente che ti somiglia è la cosa che più ci gratifica” ci dice Pierluigi, che chiude la nostra chiacchierata nel suo stile: “Ti abbiamo raccontato tante cose e altre potremmo raccontartene di incredibili. Come quella volta in cui Alessandro non riconobbe Lou Reed…”.
Roscioli
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