Testo di Annalucia Galeone
Foto di cortesia Edizioni Ampelos
La Bibbia è il libro più venduto al mondo con oltre cinque miliardi di copie. Oltre a essere un testo religioso è il trattato di enologia e viticoltura più vecchio conosciuto e pervenuto sino a noi. Si tratta di una chiave di lettura il più delle volte trascurata e ignorata giunta alla ribalta con Il vino nella Bibbia, l’autore è Jabier Marquinez, un enologo spagnolo. Nelle 184 pagine suddivise in 20 capitoli sono menzionati tutti i riferimenti al vino, alla vite, all’uva e ai vigneti, solo l’acqua e il pane sono richiamati più spesso.
“Questa originale e interessante opera letteraria raccoglie tutte le citazioni in riferimento al vino e alla vigna presenti nel Sacro Testo – scrive nella prefazione il Cardinale Vicario Angelo De Donatis – Sono disponibili tutte le allusioni a riguardo della viticoltura, le sue forme, i suoi componenti, il tutto analizzato da una prospettiva enologica. Quindi si fa riferimento al vignaiolo, ai contratti di lavoro, alle sofisticate tecniche di innesto, al controllo delle piaghe e delle malattie, ai processi di vinificazione e invecchiamento, inoltre una lunga lista di annotazioni legali, politiche ed economiche relazionate alla coltura”.
Ad esempio, il passo Osea 10 recita: “Seminate per voi secondo giustizia e mieterete secondo bontà; dissodatevi un campo nuovo perché è tempo di cercare il Signore, finché egli venga e diffonda su di voi la giustizia”. La tecnica rammentata è il maggese, strategia ancora ampiamente utilizzata ai nostri giorni per tenere a riposo un terreno, era già comune ai tempi della Bibbia e anche se all’epoca non si conoscevano ancora le ragioni eroiche di tale pratica, si era perfettamente consapevoli dei vantaggi. Da questi versi deriva l’attuale obbligo di lasciare la terra incolta un anno su sette per produrre vino kosher.
Nell’Esodo 23 si legge: “Per sei giorni farai i tuoi lavori, ma nel settimo giorno farai riposo, perché ne possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero”. Qui troviamo un prototipo di un contratto di lavoro collettivo, sei giorni di attività e uno di riposo settimanale, anche per gli schiavi. “Potrebbero quindi aver avuto anche i sindacati? – sostiene Jabier Marquinez – Probabile, abbiamo infatti notizia del primo sciopero registrato nell’antico Egitto intorno al 1166 a. C. Alla luce di tutto ciò, come possiamo dunque noi, con arroganza e ignoranza, presumere che i popoli antichi fossero degli sprovveduti?”.
Il volume offre numerosi spunti di riflessione, antico ma sempre attuale, non importa se si è credenti o meno. Marquinez propone una visione laica e priva di pregiudizi, si esime dall’approccio teologico, non gli interessa. È un tecnico che ha fatto ricerca e ha approfondito gli usi, i costumi e le consuetudini del mondo antico per la produzione di una bevanda che è intrisa di numerosi significati allegorici e che da sempre accompagna la scelta nelle decisioni importanti che sono spesso prese attorno alla tavola.
La lettura è scorrevole, a tratti impegnativa, ma le tante note di approfondimento alleggeriscono la comprensione. Lo scrittore, per evitare di cadere in errore, non trascura i riscontri con i grandi classici come Catone il Vecchio, Plinio il Vecchio, Virgilio e Tito Flavio Giuseppe. Ricca e variegata l’iconografia che accompagna il testo nell’edizione italiana, sono 40 le illustrazioni riprese dai calendari medioevali, un’invenzione dell’epoca. I mesi di marzo e settembre erano solitamente dedicati alla vitivinicoltura. Non a caso si dice che un’immagine valga più di mille parole.
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