Testo e foto di Paolo Bosca
Pochi momenti raccontano il valore simbolico del cibo come il pranzo della domenica. Un pasto familiare in senso ampio, in cui si lascia scorrere il tempo tra chiacchiere e piatti che spesso raccontano la tradizione locale e la storia della famiglia stessa. A Torino, in occasione della rassegna Buonissima, non poteva mancare questo appuntamento, domenica 30 ottobre: il nella splendida cornice del Castello di Rivoli, sede di uno dei più importanti musei d’arte d’Europa, nei locali dello storico ristorante stellato Combal.zero di Davide Scabin, gli organizzatori hanno allestito un pranzo all’insegna della tradizione culinaria regionale. A interpretarla osti e ostesse storici: Gemma Boeri (Osteria Da Gemma), Renza Veglio (La Terrazza da Renza), Filippo Giaccone (Filippo-Oste in Albaretto) e Daniele Rota (Antiche Sere); gli chef Davide Palluda (All’Enoteca), Alessandro Mecca (Ex Spazio7) e Fabio Ingallinera (Il Nazionale) e lo storico Caffè Mulassano di Piazza Castello. Ognuno di loro si è confrontato con l’ingrediente più prezioso: la Storia.
La sala era elegante, semplice e incredibilmente luminosa, con una vista mozzafiato su Torino. All’arrivo degli ospiti il primo piatto era già servito: al centro di ogni tavolo dei Tramezzini di pane bianco molto leggero, farciti con le tradizionali acciughe al verde. Mentre i primi cominciano ad assaggiare, arrivano i vini. Il primo è un Roero Arneis 2021 Val di Tana, Fontanafredda, fresco, profumato, delicato ed elegante. Ogni piatto e ogni vino è accompagnato da una breve introduzione di Paola Farinetti, Luca Iaccarino e Stefano Cavallito, gli organizzatori della manifestazione. Coi tramezzini si comincia da una delle tante controversie che riguardano il cibo: l’origine di questo piatto. Veneto? Piemonte? “Torino – afferma Iaccarino – proprio al Caffè Mulassano, dove una donna di ritorno dagli Stati Uniti aveva portato il pane in cassetta agli inizi del ’900”. Una storia lunga cent’anni. Il nome, si sa, è opera di D’Annunzio.
I due antipasti inaugurano il tandem tradizione-innovazione che continuerà coi primi. La Terrina di carne cruda alla piemontese arriva dalle mani di Renza Veglio di Castiglione Falletto, mentre i Peperoni in salsa da Davide Palluda, di Canale. A proposito di tradizione è bello che alla domanda “Qual è il segreto della tua carne cruda?”, Renza Veglio risponda col nome del proprio macellaio. Lo chef infatti, anche il più sperimentale, non è mai un individuo isolato ma il custode e veicolo di una rete che coinvolge un intero territorio e tutti i suoi attori. “Pranzo della domenica” significa cultura e cultura significa conoscenza dell’ingrediente, fiducia e ricerca. Tra le due facce dell’antipasto piemontese – i peperoni di Palluda incredibilmente delicati, con un inaspettato contrasto di cotture e marinature di peperone nel piatto – c’era perfetta armonia.
Come gli antipasti, anche i primi rappresentano due lati della ristorazione piemontese. I Tajarin più famosi delle Langhe, quelli dell’Osteria da Gemma, che in decenni di attività ha stirato kilometri e kilometri di pasta; e il Risotto al Castelmagno di uno dei ristoranti più longevi della regione, Il Nazionale di Vernante, in attività dai primi decenni dell’800. Chi è passato per l’albese non può non aver sentito parlare di Gemma Boeri, l’anima dell’omonima osteria di Roddino, paese alle porte dell’Alta Langa. I suoi Tajarin al ragù, serviti nella classica terrina, sono quel che si dice un’istituzione, una buonissima istituzione. Un’istituzione è anche Il Nazionale di Vernante, albergo-ristorante nella valle occitana Vermenagna che la famiglia Macario possiede e gestisce almeno dal 1896, anche se fonti attendibili vanno indietro fino ai primi dell’Ottocento. Fabio Ingallinera, classe ’86, viene da Ragusa e guida la cucina stellata del ristorante. Per questo pranzo si confronta con uno dei formaggi più preziosi della regione: il Castelmagno, nello specifico quello del 2019. Il risotto è perfetto e incredibilmente saporito, reso ancora più gradevole dall’aggiunta di polline e fieno. La bocca è una festa e ai tavoli si chiacchiera sempre di più, mentre nei calici si muove questa volta un Dolcetto D’Alba La Lepre 2020, sempre Fontanafredda.
Il Bollito misto alla piemontese è già un pasto in sé. Un insieme di sapori e di consistenze, di salse e di contrasti che sono il sapore dell’autunno piemontese. Il bollito è un piatto da condividere, e rinvigorisce. Alessandro Mecca, ex-chef del ristorante Spazio7, ha restituito un’immagine pura e complessa di questo piatto. Tanti tagli di carne, ognuno col suo sapore netto e cottura ottima, poi le verdure, le tre salse e infine il brodo, che viene giustamente presentato come uno dei protagonisti del piatto stesso. Anche per questo piatto le terrine vengono poggiate a centro tavola e poi condivise tra tutti i commensali. Il “Pranzo della domenica” di Buonissima fa onore al suo nome. Al tavolo i sommelier servono un Nebbiolo Grappo Intero Ebbio del 2021, un abbinamento che non ha bisogno di commenti.
Due osti si dividono i dessert: Filippo Giaccone di Filippo – Oste in Albaretto ad Albaretto Torre e Daniele Rota, della Trattoria Antiche Sere di Torino. Panna cotta e Zabaione con torta di nocciole, semplicemente perfetti, accompagnati dal Moscato d’Asti Moncucco 2021 che addolcisce e fa sorridere il palato. Il pranzo si chiude lasciando in bocca un sapore inconfondibile per chiunque abbia dei ricordi di pranzi in famiglia in questa regione e ora anche per molte altre persone provenienti da tutta Italia e dal mondo. Un’autentica esperienza di condivisione. Al termine del pranzo si continua a parlare a lungo ai tavoli, perché anche gli sconosciuti hanno avuto modo di conoscersi (magari passandosi le terrine dei piatti, o concedendosi un bis) e ora hanno qualcosa da condividere. La convivialità è il nocciolo del pranzo della domenica e Buonissima ha senz’altro saputo metterla al centro.