Testo di Letizia Gobio Casali
Foto cortesia del ristorante Le 4 ciacole
Un-heimliches. Si intitola così il saggio firmato da Sigmund Freud nel 1919: un termine che traduciamo dal tedesco con l’aggettivo “perturbante”. Qualcosa cioè che turba perché risulta contemporaneamente domestico, familiare (heim è la casa) ma anche sconosciuto, strano (il prefisso un-). La cucina de Le 4 ciacole, novella stella Michelin a Roverchiara (VR) è così: insieme casalinga e inedita, riconoscibile eppure sorprendente. Lo è perché lo chef – i cui caposaldi in cucina sono lo spiedo e le erbe aromatiche, cresciute in una serra con 100 tipi di piante differenti – ha volutamente concepito piatti che sembrano nostrani e “alla buona”, ma che stupiscono al primo assaggio. E questo senza ricorrere a tecnologie avveniristiche o complicate trasformazioni, bensì a una cottura, quale quella dello spiedo, che è il grado zero di lavorazione del prodotto. Memore del pollo allo spiedo del pranzo della domenica, Francesco Baldissarutti non si affida neppure a un impianto alimentato a legna come quello di Etzxebarri, il monostellato virtuoso della griglia che ad Axpe, un villaggio a un’ora da Bilbao, abbina a ogni piatto uno specifico mix di legni, come un organista adatta i registri alle partiture. Nella cucina a vista de Le 4 ciacole, infatti, domina un impianto a gas, che permette una cottura lenta e uniforme delle materie prime che ne vengono esaltate, ma possiede meno versatilità. Eppure, Baldissarutti ha scoperto le potenzialità dello spiedo mentre lavorava come sous-chef di Giancarlo Perbellini al Ristorante Perbellini di Isola Rizza (VR), dove ha ottenuto una stella Michelin. “Tuttavia, allora usavamo lo spiedo principalmente per la carne e per qualche pesce – ricorda – la folgorazione è arrivata sotto forma di un favoloso foie gras allo spiedo che gli arriva nel piatto in una cena da Carlo Cracco. Nasce da lì una sequela di esperimenti che fortunatamente incontrano la generosità del suo attuale patron, che gli compra il costoso impianto di cottura “perché bisogna offrire alle persone un valore aggiunto, se devono venire a Roverchiara”.
Il contesto è rilevante anche nell’elaborazione dei piatti: Baldessarutti deve tenere presente che almeno la metà della clientela proviene dalla regione e quindi propone le sue novità ammantandole di un aspetto falsamente rassicurante. Se Freud argomenta che nel perturbante riconosciamo qualcosa che abbiamo rimosso e che appartiene alla nostra infanzia, qui la cucina tesse imboscate gustative, getta scompiglio dove ci si aspetta la tradizione, ricorda sapori del passato dopo averne sovvertito le consistenze.
Il benvenuto della cucina, per dire, è un Bignè di broccolo napoletano cotto allo spiedo e glassato con umeboshi che nel sapore rivisita il binomio broccoli e acciuga, ma lo propone in versione adatta anche ai vegetariani. E tra gli antipasti ne compare perfino uno che “crepita” in bocca, “poiché contiene lo stesso zucchero peta-zeta che un tempo contraddistingueva le bustine effervescenti Frizzi Pazzi”.In questa briosa rilettura dei classici, ecco che tra imust dello chef si annoverano l’ingannevole Come un sushi tiepido di polpo, un pezzo forte dell’era a Isola Rizza, che si rivela un falso piatto di matrice giapponese; un Risotto travestito da pizza marinara; un secondo, cioè Pollo e patate, camuffato da primo (trattasi infatti di tortelli ripieni di cremoso di patate in un brodo di pollo allo spiedo), e un secondo che sembra una crema: una indimenticabile Costina di mora romagnola, marinata per 48 ore, cotta sotto vuoto un giorno e terminata per 40 minuti allo spiedo, dalla morbidezza tale che il cliente è libero di mangiarla con il cucchiaio.
“Anche quando riprendo piatti del territorio, il mio obiettivo è l’effetto wow” ci spiega lo chef, che per 7 mesi ha lavorato al Celler de Can Roca acquisendo ivi la libertà di scegliere gli ingredienti migliori di cui necessita senza limitarsi ideologicamente a quelli locali. L’attenzione ai gusti della clientela si estrinseca inoltre nella volontà di contenere i costi anche dopo la stella (“il menu degustazione parte da 60 euro che adesso forse saliranno di una decina”, ipotizza lo chef), per allargare la platea, come pure nella decisione di offrire piatti alla carta, dal costo contenuto, nei giorni infrasettimanali. Uno è il Risotto con il tastasal dove, al posto dell’impasto del salame, il sugo consiste in muscolo di cinghiale. La tipica salsa pearà, che in Veneto accompagna il lesso, anziché con il pane classico, è fatta con quello di segale, e accompagnata da cappuccio rosso fermentato e spalla di daino allo spiedo, mentre l’immancabile piatto di porchetta e radicchio che secondo lo chef è “diffuso in ogni bar trevigiano”, si reincarna in tortellini ripieni di porchetta allo spiedo con brodo di radicchio grigliato e scorza di parmigiano affumicato. “Ricorrendo a materie prime povere, conteniamo i costi e sfatiamo il pregiudizio che dagli stellati si paghi tanto e mangi poco” precisa lo chef. “Non a caso anche sui social insistiamo sulle porzioni e suggeriamo che nei piatti ci sia sostanza, non solo la forma. Ma rassicurare il cliente non vuole dire ripetere sempre le stesse ricette”. Di qui il continuo straniamento: sembra di avere davanti un piatto che si conosce bene e in bocca si scopre un sapore inusitato, con un twist. Cenare a Le 4 ciacole è come aprire la porta di casa e scoprire un labirinto. Il casalingo è diventato estraneo, il noto qualcosa di estraneo, di perturbante. Superando così una della convinzione di chi scrive: che l’un-heimliches, il turbamento legato al riapparire in forma estranea di qualcosa di rimosso, a tavola si verifichi solo quando “torna su” la peperonata della sera prima.
Le 4 ciacole
37050 Roverchiara (VR)
Tel: +39 0442.685115
www.le4ciacole.it