Testo di Sara Porro
Foto cortesia di Horto
Qualche giorno prima dell’apertura – era il settembre del 2022 – da Horto arrivò il fotografo incaricato di realizzare gli scatti per i materiali stampa: l’attrazione principale del locale, che si trova all’ultimo piano del complesso The Medelan, era la terrazza con affaccio sulla Galleria Vittorio Emanuele. Queste altezze – un tempo riservate soprattutto alle case private dell’aristocrazia borghese di Milano – sono ormai appannaggio di molti locali pubblici aperti negli ultimi anni; eppure, quella di Horto è forse la più bella dell’intera città. La vista è solo una parte della sua attrattiva: del team di progettisti che ha curato l’apertura – lo studio di architettura Genius Loci Architettura (GLA) per gli spazi, Luisa Collina, Preside della Scuola del Design del Politecnico di Milano, per il coordinamento dell’ambiente – fa parte l’architetta paesaggista (e poeta, nei ritagli di tempo) Raffaella Colombo.
In continuità con le scelte di sostenibilità dell’intero progetto, Colombo ha scelto per la terrazza piante e fiori autoctoni, che non richiedano grandi quantità d’acqua né grandi sforzi di manutenzione, un ambiente naturale riconoscibile, generoso verso l’ospite. O, come la mettono loro: “un mondo vegetale totalmente disomogeneo, lasciato libero nel suo sviluppo vegetativo”. Così si può cenare scalzi sul prato e sulla terrazza si trovano numerose piante che, in quei giorni di fine primavera, erano cariche di frutta. Gli scatti fotografici avrebbero dovuto ritrarre quest’Arcadia: invece, quel giorno il team al lavoro trovò i rami tutti spogli. Gli operai, impegnati con gli ultimi lavori del cantiere, avevano colto la frutta e l’avevano mangiata come spuntino. Ci restarono tutti male, tranne Colombo, che ne fu felicissima, perché questo dimostrava la riuscita del suo intento: creare spontaneità nell’interazione con il giardino.
Come in un giardino botanico, il progetto di Horto ha una tale densità di concetti che ogni oggetto e ingrediente si gioverebbe di una targhetta di spiegazione: i materiali sono tutti “zero waste”, le pareti sono rivestite con intonaco di riso ottenuto dagli scarti della lavorazione del cereale; il parquet – che è a nido d’ape, occhiolino occhiolino – è realizzato con legno di recupero proveniente da vecchie acetaie. Ma Horto è, prima di tutto, un ristorante: i fondatori Osvaldo Bosetti e Diego Panizza ne hanno affidato la direzione strategica e organizzativa allo chef altoatesino Norbert Niederkofler, che ha portato in dote – in aggiunta alle tre stelle Michelin del suo St Hubertus, ormai chiuso – anche la stella verde della sostenibilità.
In cucina c’è lo chef Alberto Toè (che di Niederkofler è stato allievo) e in sala c’è il maître e sommelier Ilario Perrot. Horto si è dato un vincolo, che è al contempo un esercizio di libertà e creatività: lo chiamano “l’ora etica”. Versione evoluta del km0, prevede che tutti gli ingredienti trovino in un raggio di un’ora dal centro di Milano. Un esercizio che non è nuovo di per sé – il limite geografico è forse la lezione più incisiva della Nuova Cucina Nordica – ma che risulta interessante applicato a Milano.
Intanto per alcune dissonanze cognitive – per esempio, il caviale rientra – ma soprattutto perché racconta di una Lombardia agricola a breve distanza da una città cementificata e strutturalmente infertile. Ovvio, solo pesce d’acqua dolce (la trota, il gambero di fiume, il salmerino, lo storione e l’anguilla), tutto proveniente dal lago d’Iseo. Ha, invece, più a che fare con la sostenibilità la scelta di usare solo acqua filtrata direttamente dalla rete pubblica con sistema BWT, come in tutti i locali a cui sovrintende Niederkofler.
Una conseguenza più difficile da prevedere è che serve pazienza nei cambi di stagione: quando scoppia l’estate climatica, i pomodori in Lombardia non sono ancora maturi, e così le stagioni paiono trascinarsi. Il nostro pranzo, ormai quasi estivo sul calendario, era ancora molto primaverile nel piatto. I menu degustazione di Horto sono due: si chiamano Knowing e Savoring in ossequio all’esprit du lieu, a Milano ormai – com’è noto – si parla un’interlingua inglese. Knowing, il percorso più esteso (185 euro, sette portate) è dedicato al pesce d’acqua dolce: Tartare di Salmerino Marinato, Spaghetto con Trota, Zafferano e Caviale Affumicato, l’Anguilla con Kiwi Fermentato. Savoring (155 euro, cinque portate) si concentra invece sul vegetale. I piatti che proviamo sono un misto dei due percorsi: tante belle idee e anche qualche piatto con il potenziale di diventare firma; in questo caso, la firma apposta sotto una dichiarazione d’intenti.
Uno è il Risotto con erbe spontanee, fiori di campo e kefir: quest’ultimo ingrediente, deposto ghiacciato sul risotto, si scioglie come l’ultima neve da cui spuntano le prime erbe. Toè utilizza il silene, un’erba spontanea che raccoglie, spiega, sin da piccolo (quando questa attività non si chiamava ancora foraging). Un secondo è la Cagliata di latte vaccino nascosta da battuta di rapa rossa e caviale di storione, mentre gli ottimi Tortelli ripieni di trota e sormontati da minuscoli fiori di sambuco e uova di pesce, perfette sferette lucide, emanano una tale brillantezza e luce da sembrare destinati alla vetrina di una gioielleria. Il risultato finale è che la densità concettuale sostanzia (e non fa da ostacolo) al piacere gastronomico: non è questa la lezione di quelle mele colte in terrazzo?
Horto Restaurant Milano, The Medelan Hotel
Via S. Protaso, 5
20121 Milano (MI)
www.hortorestaurant.com