Un nuovo menu a rafforzare il corso maturo di questo ristorante nell’iconico Hotel di Roma
Testo di Lorenzo Sandano
Foto di Alberto Blasetti
Oltre alla vista, e al curriculum, c’è di più. Provo a prenderla dritta come d’altronde è filata, in maniera esemplare, la mia cena al Ristorante Imàgo dell’Hotel Hassler di Roma: ormai da un po’ gestito sotto il polso virtuoso dello chef Andrea Antonini. Attacco così, perché quando si parla di questa struttura e dei cambi di regia in cucina in generale (lo storico cuoco precedente qui era Francesco Apreda) è facile scivolare nel limbo dell’ovvietà. Certo, potrei sciorinare lettere sulla veduta mozzafiato della Capitale apprezzabile solo da questa posizione, tra le più instagrammabili in circolazione. O ancora, tessere lodi sull’atmosfera cristallizzata negli arredi di questo lussuoso albergo, che non accenna a perdere smalto. Rientrando però nella fortunata cerchia di chi non si sedeva all’Hassler per la prima volta, penso sia più interessante parlare delle nuove direzioni che si respirano in questo luogo. E anche mentre rivolgo l’attenzione all’artefice principale di tutto ciò – Andrea Antonini appunto – non mi soffermo manco troppo sulla sua formazione stellare, per il giovanotto romano classe ’91 quale è (Fusco, Caceres, Dacosta, Roca, Crippa). Il motivo? L’aspetto che più mi ha colpito di questo chef si riassume in una sua frase concessa a fine serata: “Scusatemi se non mi trattengo troppo, ma ho lasciato staccare i ragazzi in brigata appena terminato il servizio e ora ho l’ansia per il timer del pane che devo mettere a lievitare per domani. A costo di farli riposare e star bene, preferisco rimanere io qualche ora in più a sistemare certe cose”.
Maturità, raziocinio, una visione ampia del contorno e un alto rispetto direzionato a collaboratori, colleghi, clienti e naturalmente alla fiducia riposta in lui dal titolare Roberto Wirth, sempre vigile nell’organico attivo del ristorante. Dovrebbero essere doti comuni, ma vi assicuro che in questo settore non lo sono affatto. E per Andrea la politica di accortezze attitudinali non si arena di certo alla panificazione notturna: spiega con padronanza rara di numeri e linguaggio quel che significa far quadrare un budget; motivare un team reclutato su misura; definire un food cost su più livelli dopo aver innestato la propria identità culinaria ripartendo da zero; confrontarsi con il mondo complesso dell’hotellerie e cercare di svecchiare quel che per lui appare migliorabile senza però causare alcun torto al folto bagaglio che si ritrova tra le mani. Insomma, per chi continua a idealizzare la figura del cuoco stellato in una struttura alberghiera a mo’ di un bimbo euforico in un negozio di balocchi, ci voleva un punto di vista (quello di Antonini) così retto e cosciente per tirare un sospiro speranzoso rivolto al futuro di questo mestiere.
“I cambiamenti non sono mai semplici da affrontare, come il menu che ho sviluppato negli ultimi mesi. Ci ho messo un po’ a entrarci davvero in confidenza, ma finalmente riesco a riconoscermici e a trarne le dovute soddisfazioni. Certo, se mi guardo intorno negli ambienti della sala non nego che mi piacerebbe apportare qualche modifica che snellisca l’estetica senza snaturare in alcun modo quel che già si trova qui. La fretta però non mi caratterizza e sono sicuro che, come per la parte gastronomica, anche il resto avrà modo di evolversi e stabilizzarsi con i giusti tempi. In fine dei conti, anche la bellezza capitolina che ammiriamo proprio qui davanti ai nostri occhi non è stata mica costruita al volo”.
Intensità, tatto & appartenenza: il percorso di Antonini all’Imàgo
Una sterzata d’ironia, a stemperare quel suo temperamento fin troppo maturo, che ci traghetta giocondi nel balzo cronologico scandito dai piatti provati in menu. Affrontando dunque la degustazione – al contrario delle descrizioni dribblate in precedenza – qui mi soffermo per spendere complimenti smisurati al servizio di Marco Amato e della sua squadra tutta. Un registro di accoglienza, movimenti misurati, intuizioni nel wine-pairing e tempistiche calibrate al millimetro che ti rammentano quanto sia fondamentale l’esperienza e la professionalità in chi regge l’onere di far da tramite tra la cucina e l’ospite seduto a tavola. Fuoriclasse veri, dall’inizio alla fine.
All’assaggio, il know-how dello chef emerge nitido e inconfondibile. Diciamocelo, sul piano tecnico e di rigore estetico, Andrea è uno che picchia duro senza risparmiarsi. Appare altrettanto chiara però la sua volontà stilistica (e acuta, azzardo io) di scollarsi da stilemi o composizioni effimere che prevalgano sulla concretezza degli esercizi. Sin dal pirotecnico benvenuto iniziale, infatti, si rintraccia una sorprendente assonanza tra manipolazioni visive e densità palatale. In parole semplici: forma e concentrazione di gusto combaciano come di rado accade. Lo grida forte e chiaro lo Spicchio di meringa di pizza (che supersonico timbro evocativo di cornicione cotto in forno a legna!); il Bon-bon all’amatriciana o la detonazione salmastra del Riccio di mare ricostruito su scale d’alga, nero di seppia e pecorino. Lo ribadiscono, sempre a tono voluminoso, l’elettrizzante foglia di Lattuga Viva (condita come una Caesar Salad); la squisita Micro-rosetta ripiena di mortadella o la Focaccia inoculata di ricotta con guanciale e timo limonato (droga!).
Magnetico e ritmato il Crudo misto di mare. Portata multipla che rivolta la polverosa accezione di questa entrée marinara lungo una staffetta galvanizzante di piccoli bocconi iodati: carpaccio di tracina con olive, capperi e mandarino; calamaro cacio e pepe; cannolicchi di mare in guisa di pennete mantecate (brillante) e anche un propulsivo revival del cocktail di scampi dai rimandi ‘80s. Pura ode a una romanità ingentilita si agguanta nel Carciofo – turgido e impettito dall’olio-cottura – ripieno d’animelle, spuma d’aglione e un regale side-dish di coratella con cipolla in agro e menta. C’è poi un intervallo dedicato al pane (proprio quello sopra citato da Andrea) che viene cotto al momento con venature inebrianti di rosmarino e una doppietta di burri aromatizzati in accompagnamento. Visto il risultato, direi che le ore spese in prima linea dal cuoco nell’arte bianca valgono ogni minuto extra pur di arrivare a un prodotto così valido.
Devastante – per intensità, manifattura e persistenza – il Raviolo farcito di crema di scampi con limone fermentato, cime di rapa e il loro brodo arricchito con il nettare estratto dalle teste dei crostacei. Pillole di salinità, dolcezza e fibra amaricante condensate a puntino nel mio miglior piatto della cena. Segue una virata decisa di gola – tanta e a tratti quasi eccessiva vista la sua spigliata rotondità – nel Risotto alle nocciole in più consistenze, spugnole, fegatini di pollo, polvere di cacao e caffè. Piatto dall’elevato potenziale godereccio, che latita solo in un accenno di freschezza/acidità a bilanciare il quadro di contrappunti. Chiusura ludica invece quella del Pollo alla Cacciatora: che si pone l’obiettivo in più servizi, satelliti e preparazioni di riabilitare un ingrediente snobbato dalle cucine fine-dining, chiamando all’appello anche l’uso disinibito delle mani (del cliente) per spolpare sino all’osso la succulenta aletta laccata dell’animale da cortile.
Tarte tatin con crème fraîche e camomilla (impeccabile) spalleggiata da una peccaminosa sequela di petits-fours (impressionanti le Ciambelle fritte da pucciare nella crema) mettono a tacere l’ipotesi di un interrogativo sul tenore di Andrea: qualsivoglia aspetto, anche il reparto scientifico della pasticceria, viene affrontato con un grado di minuzia, coinvolgimento e precisione a dir poco ammirevole. Da suo coetaneo, sbracato sulla seggiola a fine pasto, mi viene quasi da sentirmi in difetto. Poi però mi riacchiappo, consapevole che il mio ruolo ha il dovere e la possibilità di raccontare tutto il bello di questo nuovo corso dell’ Imàgo all’Hassler. Già consolidato e ancora in volata da costruire.
Imàgo all’Hassler
Piazza della Trinità dei Monti, 6
00187 Roma (RM)
Tel: +39 06 6993 4726
www.hotelhasslerroma.com/it/ristoranti-bar/imago