Testo e foto di Raffaella Prandi
Niente di più sbagliato: preparare il bagaglio per Lanzarote tarandolo sul gelo della Pianura Padana. Guai a non considerare le temperature miti di quest’isola delle Canarie non a caso una delle mete predilette del turismo invernale dal nord Europa: inglesi, irlandesi, tedeschi… tutti in ciabatte e magliette a godersi il tepore di un dicembre graziato anche dalla forza dei venti che per il resto dell’anno battono costantemente e senza pieta l’isola. Non sono in nostro possesso elementi decisivi per il confronto diretto con Marte, ma tutto porta a dire che il paesaggio di Lanzarote gli si avvicini.
Scenario primordiale, drammatico, lavico, lunare con una sequenza impressionante di vulcani non più in attività (l’ultima fatale eruzione iniziata nel 1730 cancellò interi villaggi cambiando radicalmente la conformazione del suolo). L’Africa, il Marocco sono a poche miglia marine e il Sahara è li davanti. Contagioso. Su quest’isola non piove mai, solo tre quattro volte l’anno le precipitazioni possono considerarsi tali. Sulla costa vi sono impianti di dissalazione che pescano l’acqua dall’Oceano e quest’acqua salmastra è l’unica disponibile. Peccato sia adatta solo in parte all’irrigazione, dunque le uniche piante a resistere sono le palme che rendono lussureggiante una parte dell’isola.
La mancanza d’acqua, l’assenza quasi totale di vegetazione (palme e cactus a parte) non hanno però impedito uno sviluppo urbanistico esplosivo, conseguenza della domanda turistica in crescita che sta mettendo a dura prova la sostenibilità dell’intero sistema. Non poteva dunque esserci location più interessante e suggestiva per l’avvio della prima edizione del Congresso Internazionale di cucina e dei sistemi vulcanici se non, come sede dell’auditorium, la grotta vulcanica formatasi durante l’eruzione del vulcano La Corona. Los Jameos de Agua è un set indescrivibile creato dalla natura e dall’artista César Manrique nel suo progetto di arte totale inserita in spazi naturali (imperdibile il Mirador del Rio e la sua casa di Tahiche, odierna sede della Fondazione dedicata al suo lavoro). Si deve peraltro al suo progetto urbanistico se a Lanzarote tutte le abitazioni sono uniformemente bianche e basse.
Il Congresso, che vive dunque nel ventre della terra, è un momento di incontro di tutti i territori vulcanici di tre continenti con la partecipazione di esperti vulcanologi e di chef che lavorano in aree vulcaniche. Territori singolari, con comunità che sono esempi di resistenza e creatività. Il Congresso ha anche il compito di mostrare la singolarità di cucine nate all’ombra dei vulcani.
L’esplosiva chef italiana Viviana Varese, nata ad Amalfi – a 30 km dal Vesuvio – lavora oggi nelle campagna di Noto, al Villa Dorata Country, a 40 minuti di strada dall’Etna. “Tre quarti delle coltivazioni siciliane – dice – sono vicine al vulcano e risentono per texture e sapore della fertilità di questi suoli”. Va da sé che nel resort Viviana abbia creato la “zona del fuoco”, con un forno a legna, un barbecue gigante, due barbecue giapponesi, una stufa a legna e un menu degustazione di 13 piatti: cotture espresse, cucina a fuoco diretto di cui anche al Congresso ha portato la dimostrazione pratica.
Quattro i piatti preparati da Viviana Varese: Calamaretti spillo (sporchi, ovvero con le interiora) cotti alla brace tra due foglie di limone. Accanto, una patata cotta nella cenere e condita con limone fermentato, polvere di foglie di limone e olio al limone. Sgombro cotto nelle foglie di fico con il ficu (un formaggio di capra che fermenta all’interno delle stesse foglie). Sopra allo sgombro peperoni confit bruciati prima alla brace, pelati, tagliati a listarelle e saltati con olio, limone, aglio e timo. Ancora, la tartare di vacca ragusana mescolata con il diaframma scottato alla brace e midollo. Sul fondo maionese alla senape e cipolline rosse. Infine, Gambero rosso cotto in una pentola di ghisa con un impasto di sale carbone e albume e sistemato tra due foglie di arancio. Il gambero è servito con insalata di pomodori e cactus (nopales). Le pale del fico d’india le più tenere si pelano e vengono tagliate e salate in modo che buttino fuori la bava gelatinosa, poi sciacquate.
Lo chef cantabrico Chele González, trasferitosi dalla Spagna al Gallery by di Manila, nelle Filippine, alle falde del vulcano Mayon, sostiene che le migliori verdure provengono da un suolo vicino al vulcano Taál situato sulla costa est dell ‘isola di Luzon Chele si è concentrato sul principale prodotto della geografia vulcanica dell’arcipelago asiatico, le foglie di taro.
Liko Hoe, chef in Waiahole Poi Factory a Kaneohe alle Hawaii ha raccontato come le foglie e le radici di kalo y poi (kalo golpeado) sono un mezzo di sopravvivenza anche per la gente di queste isole. Il kalo, meglio conosciuto come la pianta del taro, da tempi immemorabili è stato l’alimento principe di queste popolazioni. Liko ha dato una dimostrazione a effetto della lavorazione della radice con un pestello di pietra lavica evocandone tutta la ritualità, canti compresi.
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