Testo di Cristina Ropa
Foto cortesia
Da materia che costantemente accompagna e mette in rilievo i continui cambiamenti socioculturali, a catalizzatore di convivialità, piacere, essenza della vita, il cibo è da sempre il perno su cui girano numerose questioni di ordine sociale, filosofico, economico, culturale, e così via. “Un fondamentale indicatore per analizzare e comprendere intere civiltà” ha riassunto Francesco Zanot, direttore artistico della Biennale di Foto/Industria 2021 inaugurata il 14 ottobre a Bologna e organizzata dal MAST (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia). Il tema quest’anno si concentra proprio su ciò che è per eccellenza le fondamenta, il motore, del nostro vivere quotidiano. Il Food appunto. “Il cibo è linguaggio – prosegue per introdurre il Photo book/Ricettario, un catalogo fuori dal comune che affianca ricette alla descrizione delle opere – Come la fotografia, gli alimenti incorporano e diffondono messaggi”.
In un rimando continuo tra profonde analogie, fotografia e cibo, si rivelano così nuovamente due linguaggi universali che riflettono tradizioni, radici identitarie in grado di narrare le civiltà dal loro interno, in modo intimo e autentico. Zanot crea un’affascinante unica narrazione che attraversa un secolo di storia, dagli anni Venti a oggi, proponendo undici artiste e artisti, che da varie differenti angolazioni raccontano tematiche sull’industria alimentare e il suo impatto sul territorio, collegandovi la questione demografica, il cambiamento climatico e l’urgenza di adottare produzioni e consumi sostenibili.
Si parla di promuovere la salvaguardia di antiche varietà di semi, intese come vere e proprie unità viventi di storia e di cultura, in Palestina e in tutto il mondo, con l’artista e ambientalista Vivien Sansour che con Palestine Heirloom Seed Library, in esposizione a Palazzo Boncompagni, propone diversi media per accompagnare gli spettatori e le spettatrici in un percorso multisensoriale alla scoperta dei progetti promossi dalla Palestine Heirloom Seed Library, fondata da lei nel 2014. Un percorso di video e immagini che diviene un’investigazione su scala locale di un fenomeno globale quale l’importanza di preservare la biodiversità e le tradizioni locali. In questa esposizione lo fa valorizzando inoltre il potere trasformativo dell’agire insieme, riscoprendo il piacere delle cose autentiche e semplici come il condividere un pasto sano e sostenibile in mezzo alla natura.
L’alimentazione come espediente che unisce individui appartenenti a un gruppo è il messaggio che traspare anche dalla mostra Favignana di Herbert List a Palazzo Fava. Una “fotografia metafisica”, come lui la definisce, che raffigura un suo viaggio nell’ isola siciliana durante il 1951. Al centro del lavoro svetta il processo di lavorazione del tonno e soprattutto la mattanza, tradizione locale che List immortala in tutta la sua cruenta realtà.
E di tradizioni parla anche Lorenzo Vitturi in Money Must a Palazzo Pepoli, realizzato nell’ambito di una residenza a Lagos su invito della African Artists Foundation. Vitturi ha fotografato uno dei più grandi mercati al mondo a Balogun in cui si può acquistare qualsiasi cosa, tra cui il cibo naturalmente, e dove ha raccolto materiali diventati poi ingredienti di sculture e nature morte realizzate nel suo studio. La mostra risulta come la narrazione di un ecosistema fragile e sconfinato, dove la tradizione si confronta con l’economia globale.
Un incontro tra diversità seppur su un piano di indagine comune è la ricerca di Takashi Homma M+TRAILS, allestita al Padiglione dell’Esprit Nouveau. L’artista, cogliendo il simbolo di quella che potrebbe essere definita la supremazia alimentare ma anche culturale americana, mette a confronto le facciate di una serie di negozi McDonald’s in diverse parti del mondo, soffermandosi sia sulle loro differenze sia sulle innumerevoli somiglianze che rimandano alla standardizzazione del cibo stesso. Trails invece mostra le tracce di sangue lasciate da alcuni cacciatori di cervi tra le montagne in Hokkaido. Al centro del discorso viene di nuovo messa la relazione con il territorio, ma dalla scala globale del fast food si passa alla dimensione locale della caccia. Dopo McDonald’s, che rappresenta per emblema la distanza tra il consumatore e l’origine del cibo che sta mangiando, il sacrificio dei cervi viene messo al centro delle immagini. Come per List la cruda realtà della vita e della morte ritorna anche qui.
“Il cibo può far emergere ripetuti e costanti collegamenti tra percezione e memoria, e quando viene fotografato, si trasforma analogamente in una rete di simili connessioni e relativi ordini simbolici” afferma la scrittrice Susan Bright, citata nel Photo book/Ricettario (p. 12).
Fotografia e cibo hanno anche un legame con la tecnologia. Se per una si tratta dell’origine della sua esistenza, la camera oscura, per l’altra rappresenta lo strumento che le ha permesso di evolversi in una direzione all’inizio vantaggiosa, ma nel tempo, come stiamo assistendo, distruttiva. In Fisheye, in esposizione al Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Bologna,il fotografo Maurizio Montagna esplora il passato e il presente della Valsesia, tra le principali valli alpine piemontesi, un luogo che si è modificato nel tempo sia per cause naturali sia per l’intervento dell’essere umano che ha impattato in modo negativo sull’ambiente, alterando il corso dei fiumi, la vita delle specie autoctone che li abitano e inevitabilmente, quella delle persone che le introducono nella propria dieta.
ANDO GILARDI
Giovani donne portano zucche sulla testa. “Le zucche, d’estate sono mangime, d’inverno cibo”. Quando il gallo canta a Qualiano, ampia fotoinchiesta di Gilardi sulla sindacalizzazione dei braccianti agricoli, in questo paese particolarmente sentita. Qualiano (Napoli), ottobre 1954. © Fototeca Gilardi
La tecnologia però ci ha permesso anche di realizzare prodotti innovativi che hanno allietato la vista e il palato. Come i dolci fotografati da Hans Finsler, realizzati dalla fabbrica di cioccolato e dolciumi Most. Con Schokoladenfabrik in mostra nella suggestiva biblioteca di Genus Bononiae, ex chiesa di San Giorgio Poggiale, Finsler – in una sospensione tra comunicazione pubblicitaria e riconoscimento di autentici valori scultorei – ha realizzato una serie di immagini di piccoli piaceri alimentari all’apparenza privi di significato ma che a un occhio attento si impongono in tutta la loro “effimera perfezione” come afferma Zanot. E continua “Cioccolato e marzapane sostituiscono il marmo e il bronzo dell’antichità. Imitazione e realismo, che governano il sogno della fotografia stessa, continuano a essere concetti chiave” (Food, p. 258, Zanot, Melilli).
VIVIEN SANSOUR
Preparazione della Molokhia per il progetto Home a Dar Jacir, Betlemme / Cooking mloukheyeh for the “Home” project at Dar Jacir in Bethlehem 2018
© Vivien Sansour. Palestine Heirloom Seed Library
La fotografia, quindi, descrive anche il rapporto ambiguo con la realtà e al contempo, in questa Biennale, si mostra anche come strumento di sorveglianza che caratterizza la società contemporanea.La sicurezza, nota Zanot, “è un altro concetto fondamentale nel rapporto dell’uomo con il cibo. Al World Food Summit del 1996 è stato affermato che “La sicurezza alimentare esiste quando tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti che garantiscano le loro necessità e preferenze di cibo per una vita attiva e sana” (Ibidem, p. 13-14).
BERNARD PLOSSU
Parigi, Francia 1972
© Bernard Plossu
Con Food, realizzato tra il 2011 e il 2013 e allestito per questa Biennale a Palazzo Paltroni, il fotografo Henk Wildschut si concentra proprio sulla tematica dell’industria alimentare, aprendo una vasta ricerca nell’ambito delle più avanzate tecnologie del settore nate per aumentare in modo esponenziale, e quasi non più controllabile, la produzione e introducendo così il tema dell’igiene e della sicurezza. Il risultato sono immagini che smuovono nel profondo. Dagli allevamenti con migliaia di animali ammassati e in condizioni prive di dignità, alle sterminate serre create per accelerare la crescita delle piante. Una lente di ingrandimento sulla spasmodica rincorsa alla produzione di massa, origine di quanto possiamo comprare sul mercato. Una presa di coscienza forte che non può lasciare indifferenti.
Coinvolgere nelle proprie opere le innovazioni tecnologiche è ciò che ha fatto anche il fotografo Mishka Henner con In the belly of the beast allestita a Palazzo Zambeccari. Questa volta una tecnologia non come centro della ricerca ma come mezzo, supporto, per descrivere anche qui il rapporto tra uomo e animali, in un processo incessante fatto di consumo, digestione e scarto. Una carrellata, questa mostra, di progetti realizzati da Henner, definito il principale sperimentatore del linguaggio fotografico contemporaneo: Feedlots, serie di gigantografie realizzate attraverso la combinazione di centinaia di immagini di Google Earth raffiguranti enormi allevamenti di bovini; Scopes, montaggio di video reperiti su YouTube di animali che ingeriscono fotocamere e videocamere; The Fertile Image, un’accumulazione di oltre 300 immagini generate automaticamente da un softwar nutrito dall’artista.
Per uscire da questo forte scossone sulla realtà si passa a una fotografia più poetica, che si sofferma sui minimi dettagli di vita quotidiana, con Factory of original desires del fotografo francese Bernard Plossu in esposizione a Palazzo Fava. Frutto di una selezione all’interno del suo archivio, Plossu pone la sua attenzione sul legame che il cibo ha con le tradizioni locali, i gesti di ogni giorno e il paesaggio ordinario. Un viaggio intorno al mondo, un sussurro incentrato sui particolari e al contempo, uno spunto sui grandi temi globali come lo sviluppo della società capitalista.
MISHKA HENNER
Feedlots, Tascosa Feedyard, Bushland, Texas
2013
© Mishka Henner. Courtesy of the artist and Galleria Bianconi, Milano
Una fotografia narratrice di epoche è anche quella di Ando Gilardi con Fototeca in esposizione al MAST. Nel 1959 fonda la Fototeca Storica Nazionale che arriva a contenere circa 500.000 immagini. Un pionieristico archivio sugli usi e le funzioni sociali della fotografia. Zanot descrive così questa mostra: “Gilardi attraversa la Fototeca utilizzando il tema dell’alimentazione come parola chiave e allinea i risultati secondo le tipologie risultanti: figurine della Liebig e di altre aziende alimentari, incarti degli agrumi, santi che brandiscono tozzi di pane, pubblicità, erbari e album di famiglia sono alcuni tra gli esempi principali di ciò che emerge. La storia dell’uomo si interseca con quella del cibo che si interseca con quella della rappresentazione”. (Ibidem, p. 44)
HANS FINSLER
Senza titolo / Untitled
1928
Courtesy Fondazione Rolla, Bruzella
Al MAMbo, Museo d’Arte Moderna, si trova infine Jan Groover con Laboratory of Forms. Nata come pittrice, ispirata da Cézanne, Morandi e i minimalisti, la sua ricerca è incentrata nel fotografare oggetti nella cucina della sua abitazione, combinando sensibilità compositiva che rimanda a quadri rinascimentali con l’eco delle istanze politiche e sociali del femminismo. Celebrato in una mostra personale al MoMA di New York nel 1987, il suo lavoro prosegue fino al 2012 con uno studio continuo sulla forma degli oggetti e il loro potenziale visivo.
HERBERT LIST
Gli uomini tirano lentamente le reti cantando un’antica canzone, Favignana, Italia / The nets are raised slowly, while the men are singing an old song, Favignana, Italy
1951
Collezione MAST. Courtesy of The Herbert List Estate / Magnum Photos
La Biennale è accompagnata da un programma di eventi a ingresso gratuito: visite guidate con gli artisti, talk, workshop di fotografia, performance, proiezioni, tavole rotonde, attività didattiche si susseguiranno fino al 28 novembre. Un vivace fermento artistico che ogni anno avvolge tutta la città e che nuovamente conferma quanto la cultura sia il cuore pulsante di uno sviluppo interiore e collettivo, il veicolo universale per far prosperare le civiltà.