Testo di Claudia van den Berg Morelli
Foto cortesia di FéminAs e di Claudia van den Berg Morelli
Nel paradiso verde della penisola Iberica, a est della Galizia, sulla costa nord-ovest affacciata sul Mar Cantabrico, troviamo la regione delle Asturie. Un paesaggio dalla bellezza unica e punto di incontro di tradizioni ancestrali e tendenze di avanguardia. Più precisamente, siamo ne “Las Cuencas Mineras”, zona naturale protetta situata nel Bacino Carbonifero Centrale del Principato delle Asturie e area di forte industrializzazione legata al carbone e all’acciaio. È proprio qui che si è tenuta – dal 24 al 26 aprile – la terza edizione di FéminAs, congresso internazionale di gastronomia, donne e dell’ambiente rurale. Un evento itinerante con varie tappe, un vero viaggio alla scoperta del territorio e della cultura gastronomica asturiana, tra Mieres, Langreo, Laviana, Pola de Lena, Sobrescobio, e il Parco Naturale di Redes (Riserve della Biosfera UNESCO). Lo scopo di questi tre giorni era di rendere omaggio al lavoro delle donne nel settore dell’ospitalità, della cucina popolare e delle zone rurali della regione.
Ha inizio un bel lunedì mattina con una vera e propria full immersion nella zona in cui ci troviamo, con una visita alla miniera di El Pozo San Luis nella Valle del Nalón. Un trenino giallo ci porta nei tunnel sotterranei a 32 m di profondità – solo il primo di sei piani di scavi – dove sono ancora visibili resti di carbone. Continuiamo a piedi nel quasi-buio fino ad arrivare all’ascensore di risalita con sbocco al Pozo San Luis, monumento emblematico della cultura mineraria che è stato simbolo della potenza industriale fino alla sua chiusura nel 2002. E qui, si aprono le danze.
Tra le varie protagoniste del congresso, ci sono le guisanderas: cuoche asturiane che da anni sono a capo di “casas de comida” dove cucinano (e difendono) uno stile di gastronomia tradizionale e hanno poca attenzione mediatica. Emerge chiaramente il ruolo fondamentale delle nonne e delle madri nella trasmissione di una ricca eredità culturale e culinaria, e spesso fonte di ispirazione per le generazioni più giovani. Lo presentano le tre guisanderas Natalia Menéndez (Casa Chuchu, Turón), Sara López (Casa Telva, Valdesoto) e Noelia García (Los Pisones, Gijón) che ci presentano piatti tipici della zona mineraria: le cipolle ripiene di Natalia; le torte di mais con cavolo di Sara, fusione tra la cultura asturiana e quella indiana; e i crostini (torrijas) della nonna di Noelia, che non esita ad affermare che “la ricetta che si tramanda di generazione in generazione è preziosa”.
Esiste anche il Club delle guisanderas il cui obiettivo è proprio quello di salvaguardare le ricette tradizionali. Nei vari giorni del congresso, abbiamo avuto la fortuna di assaggiare diversi di questi piatti asturiani come la fabada,uno stufato a base di fagioli, che abbiamo degustato al ristorante La Consistorial (a Mieres), preparato da Ana Alonso e Javier Caneda; la cebolla rellena, una cipolla ripiena di tonno, preparata da Adela Alonso del ristorante Casa Adela (Lada); e l’arroz de pitu de caleya, riso con pollo allevato nella regione, servito da Natalia Menéndez di Ristorante Casa Chuchu (Turón).
Non ha dimenticato di citare i suoi predecessori anche Vicky Sevilla, la più giovane chef spagnola a ottenere una stella Michelin con il suo ristorante Arrels* (Sagunto – nella regione autonoma valenciana), che si ispira a ricette di famiglia tramandate da donna in donna. Infatti, il 90% delle sue basi sono guisos (stufati) tradizionali, a cui da un nuovo volto utilizzando tecniche moderne. Similarmente, la chef madrilena Pepa Muñoz (El Qüenco de Pepa, Madrid) ha evocato sua nonna Aurora mentre preparava delle migas (piatto tradizionale della cucina spagnola e portoghese a base di pane raffermo), per poi rivendicare il ruolo dei produttori nella “ruota gastronomica”. Strenua difensora delle materie prime, Muñoz ha assicurato che “dobbiamo capitalizzare la campagna, altrimenti finirà” e ha esortato gli chef a “promuovere i fornitori, siano essi agricoltori, coltivatori di funghi, pescatori o allevatori”.
Da sinistra: Vicky Sevilla; Pepa Muñoz
Ma FéminAs non è solo una celebrazione di cucina locale, c’è anche una forte presenza internazionale. Il rispetto per il prodotto è condiviso anche dall’altra parte dell’Atlantico, come dimostra la cilena Pilar Rodríguez. Questa chef gestisce il ristorante Food&Wine, situato a Colchagua, una regione due ore a sud di Santiago del Cile, legata alla regione vinicola di O’Higgins, dove Pilar applica il concetto di terroir alla cucina, come unione tra clima, suolo e tradizione. “Nell’ambiente rurale le tradizioni sono vissute in modo molto radicato; io cerco di attualizzarle, dando loro un’impostazione più moderna, ma sempre rispettando l’origine per realizzare una cucina paesaggistica in cui il rapporto con il produttore è fondamentale. Noi chef siamo la piattaforma per dare loro visibilità e per contribuire alla perpetuazione della ricchezza locale”, ha commentato.
Anche la danese Kamilla Seidler ha fatto un grande lavoro sul prodotto locale. Una globetrotter per eccellenza, prima di iniziare la scuola alberghiera non sapeva distinguere il prezzemolo da altre erbe. Dopo un periodo formativo al ristorante Mugaritz (San Sebastián), nel momento in cui iniziava il movimento della Nuova Cucina Nordica, lei decide di prendere un’altra strada. Atterra a La Paz, in Bolivia, come chef di Gustu, ristorante e progetto sociale. Il suo scopo è capire la cucina locale con umiltà e adattarsi a cucinare a quasi 4000 m di altitudine dove il pane non lievita. Mentre in Danimarca i suoi colleghi richiedono il cavolfiore perfetto di 10 cm (e non mezzo millimetro di più), Kamilla impara a utilizzare quello che trova localmente.
“Uno non si può lamentare della misura esatta di una verdura quando c’è gente che a malapena riesce a mangiare” racconta. Questa esperienza le vale il titolo di Miglior Chef Donna per i Latin America World 50 Best nel 2016. Oggi la ritroviamo in Danimarca, nel suo ristorante Lola a Copenaghen, dove i concetti fondamentali sono l’inclusione e l’uguaglianza; dove non si parla di una persona, ma di una squadra; dove la cucina non ha gerarchia e i piatti sono creati insieme giocando con le influenze culinarie e le specialità di ciascuno, in una sorta di fusione creativa unica. In un momento di grande crisi nel mondo della ristorazione, lei ha capito che è importante avere una vita anche fuori dal lavoro, infatti le ore di lavoro sono limitate, i giorni di riposo multipli.
Soffermiamoci ancora un attimo a La Paz, su altre due protagoniste di questo congresso: Ana Lía Rodrígues e Dora Magueño, in rappresentanza delle Cholitas, un gruppo di donne indigene, povere e dedite alla cura della casa e della famiglia. Molte delle cholas (o cholitas) lavoravano come cuoche di montagna mentre i loro compagni, facevano da guide andine, accompagnando gli scalatori sulle vette boliviane.
Il cambiamento è avvenuto quando un gruppo di loro ha deciso di lasciare le pentole e di iniziare a scalare. Esempi coraggiosi e modelli di ispirazione, non solo per le comunità indigene e per il loro patrimonio culturale e gastronomico, ma anche per “le donne di tutto il mondo, per la nostra forza e il nostro potere e perché dobbiamo renderci conto di tutto ciò che siamo in grado di fare”, dice Ana Lía Rodrígues, mentre riceve il premio Guardiane della Tradizione di FéminAs. Alle sue parole ha fatto eco la madre, Dora Magueño, cuoca di montagna da oltre 25 anni, che ha riconosciuto con umiltà che “amo cucinare” e si è sentita onorata di poter far conoscere le sue zuppe e i suoi brodi tradizionali oltre i confini nazionali. Dora ha anche speso qualche parola per “tutti gli uomini che sostengono le donne”, congratulandosi con loro per aver abbracciato questa comunanza per la parità.
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