Testo di Lodovica Bo
Foto di Ufficio stampa Alta Badia
Udine si trasferisce in Alta Badia per un giorno grazie a Fabrizia Meroi, la chef del ristorante Laite a Sappada (UD) che vi abbiamo raccontato su Cook_inc. 29. L’evento Sapori d’Autunno, terminato in Alta Badia il 26 settembre, ha ospitato chef stellati in diversi rifugi locali, per unire il territorio con i suoi prodotti. È così che Fabrizia, ha puntato sul farro, valorizzando un piccolo produttore locale di grano (Terra Vitae) e dando vita a un piatto che sa letteralmente di montagna e che arriva al palato in modo determinato e ben definito. Ospitata presso il rifugio Utia Pralongià, mette a fuoco un piatto che ben si amalgama con il territorio circostante: Farro, abete, tè verde, latte d’asina e bacche di goji. Fabrizia, amante della precisione e della ricerca di sapori, porta in tavola quello in cui crede e che vuole trasmettere, colpendo per la sua estrema pulizia di gusto.
L’importanza di un evento che unisce chef, territorio e produttori locali?
L’iniziativa mi è piaciuta da subito, perché portatrice di uno spirito vero, senza tanti fronzoli. Questo l’ho apprezzato un po’ perché mi rispecchia, un po’ perché questo periodo è stato utile per dare spazio ai piccoli artigiani/produttori che stanno facendo investimenti sul loro territorio. Questo processo crea quindi unione con i luoghi e rispecchia la storia del mio ristorante, dove se si può essere squadra è meglio. È stato importante non lavorare sempre con i soliti prodotti usati in montagna come carne e formaggio. Perciò mi interessava rendere protagonista un cereale locale, poco usato.
Qual è stata l’ispirazione del piatto?
Dare importanza a una materia prima solitamente usata in altro modo. Siamo quindi partiti escludendo l’accompagnamento di carne, pesce e uova. Così è nata l’idea di usare un sapore amaro molto erbaceo, che dà un’impronta forte. Poi ho unito il latte di asina che mi è piaciuto molto, ed è anche raro. Se lo assaggi da puro è molto dolce e digeribile. Noi lo amalgamiamo con una piccola percentuale di burro ed estragone (dragoncello). Infine arrivano le bacche di goji per compensare l’acidità. Ah dimenticavo: l’olio di abete è l’elemento che dà una sterzata.
L’importanza per la terra e i produttori?
Io non lavoro solo con prodotti km0. Se ne vale la pena sì, ma se trovo una cosa buona altrove non mi faccio problemi a comprarla. Poi se si possono aiutare i piccoli produttori ben venga, credo sia molto importante! Il territorio per me è tutto, lo vivo sempre, il territorio, per me, è come l’aria.
Come ti ha trasformato il mondo della gastronomia?
Ho cominciato negli anni ‘90, ero giovane, con delle esperienze e sbagli ancora da fare. Nel percorso ti accorgi che affini uno stile e percorri situazioni che non avresti mai pensato. Questo lavoro ti mette in diretto contatto con le persone: inizi in un modo e poi cambi, ovviamente, diventando consapevole che se anche ti succede di tutto lo puoi superare. Io penso che quest’aspetto il mio cliente lo percepisca anche nei piatti. Poi in questo tipo di carriera, vai oltre al fatto di essere dipendente da opinioni, vai avanti per conto tuo, senza seguire mode, ma sempre sull’attenti. Io ho la fortuna di avere un’ottima squadra formata da persone giovani, con mentalità diverse e idee nuove. Noi ce la mettiamo tutta, perché è la passione che ci smuove, ma da parte del cliente, dev’esserci anche voglia di aprirsi perché altrimenti il nostro lavoro arriva fino a un certo punto.