Testo di Ilaria Mazzarella
Foto cortesia di Elemento Indigeno
Big Diomede e Little Diomede distano meno di quattro chilometri l’una dall’altra, ma l’isola più grande è quasi un giorno avanti rispetto alla sua vicina più piccola perché si trovano su entrambi i lati della linea internazionale del cambio data che attraversa l’oceano Pacifico, all’altezza dello stretto di Bering, e segna il confine tra un giorno di calendario e il successivo. Perché racconto questo, penserà il lettore. Siamo così assuefatti da regolamentazioni artificiali che ci sembrano quasi normali. O meglio, naturali. Siamo letteralmente circondati di linee immaginarie che segnano convenzionalmente – e, ahimè, nettamente – il confine tra un territorio e un altro. Spesso si tratta di confini elitari che definiscono l’appartenenza a un determinato microcosmo, escludendo arbitrariamente tutto il resto. Un esempio? Pensiamo banalmente alle nostre DOC. Siamo nelle Langhe, qualche metro fuori dai confini del Barolo: nel 1980 è stata definita un’area di undici comuni nei quali è concesso produrre il rinomato vino. E se i vigneti di appartenenza fossero solo a pochi chilometri da questa frontiera? Un’occasione persa per qualcuno. Oppure una sfida per chi, come Alessandro Salvano, decide di trasformarla in opportunità, andando a scardinare dogmi consolidati in materia di denominazioni e approcciando il mondo del vino in maniera decisamente non convenzionale.
Alessandro Salvano
Alessandro Salvano nasce ad Alba ventisette anni fa e cresce a Montelupo Albese, nelle Langhe, qualche metro fuori dai confini del Barolo. La sua famiglia produce vino da tre generazioni di fronte ai terreni con valori di 5-6 volte le vigne di famiglia, poco importa se magari possano avere esposizioni peggiori. Il saggio ragazzo, anziché vivere un evento avverso con invidia, decide di sfruttarlo per raccontare una storia, affinché il vino possa rappresentare anche un messaggio di cambiamento. Ma andiamo con ordine: Alessandro respira aria di vino da sempre e sceglie di frequentare la scuola enologica di Alba, mentre in estate si mette a disposizione delle aziende vitivinicole limitrofe e partecipa a un paio di vendemmie importanti. Parte poi alla volta dell’Irlanda con l’obiettivo di imparare l’inglese e si approccia a un mondo che non conosce, il lavoro della sala di un ristorante. Torna in Italia per un’offerta di lavoro a Borgogno, nel mondo del Barolo, da parte della famiglia Farinetti con cui resta per alcuni anni facendo tesoro dell’esperienza acquisita in materia commerciale, di comunicazione e marketing. Nel 2019 conosce Fabio Torretta (oggi General Manager di Compagnia dei Caraibi) che gli fa un’offerta per entrare in azienda a occuparsi di vino. Siamo in un momento decisamente sui generis, nel 2020, qualche mese prima che scoppiasse la pandemia globale. Alessandro accetta la sfida e passa il primo anno del progetto che prenderà il nome di Elemento Indigeno, catalogo di vini naturali di Compagnia dei Caraibi, facendo ricerca assidua e raccogliendo dati con infinite degustazioni in call. D’altra parte le bottiglie di vino non mancavano, quelle sì che potevano viaggiare. In quello stesso anno decide anche di fare qualcosa di concreto nel mondo del vino con una produzione che conta poco più di un migliaio di bottiglie. Il nome del progetto è tutto un programma: Drink Wines, Not Labels.
Drink Wines, Not Labels
Dwnl® è l’acronimo di drink wines, not labels, progetto ideato e sviluppato da Alessandro a partire proprio dal 2019. Come intuitivamente trapela dal naming, si tratta di un’idea che nasce fuori dai confini, che rompe gli schemi precostituiti staccandosi dalle regole imposte. Un’interpretazione che esce dal disciplinare e va dritto all’essenza, facendosi portavoce della passione vitivinicola che non si lascia influenzare dal marchio e dall’etichetta. La stessa etichetta del brand racconta il vino da una nuova prospettiva: è minimalista, essenziale, elegante al tatto. Uno spazio tutto da interpretare come l’approccio dwnl all’universo del vino. Una pagina bianca per scrivere i propri ricordi.
“Quando escono i primi vini in commercio mi chiama Andrea Farinetti per assaggiare una bottiglia assieme. Oscar prende la bottiglia la guarda e dice: questa bottiglia mi ricorda un po’ il No Name dei nostri vini (la storia del No Name di Borgogno è quella di un’etichetta di protesta che vuole fare riflettere sull’eccesso di burocrazia riscontrabile spesso nei disciplinari del vino, ndr)”, racconta divertito Alessandro. Poi si fa più serio: la mia decisone è stata differente, non amo le etichette né i preconcetti. Il mio vino non ha una storia, quindi potevo scrivere la mia – continua – ecco: io desideravo che le persone assaggiassero il mio vino senza farsi condizionare da un disegno che veniva apposto sulla bottiglia. L’etichetta è bianca e recita in basso Drink Wines, Not Labels e lo declina in quattro lingue, in base alla referenza. La traduzione per l’ultima referenza della cantina è in giapponese”.
I vini dwnl® nascono da vigneti coltivati nel rispetto dell’ambiente, senza l’utilizzo di diserbanti e concimi chimici, le cui uve sono fermentate e vinificate con un approccio che riporta agli scenari della Borgogna: grappolo intero, lieviti indigeni, nessuna chiarifica o filtrazione e basse quantità di solfiti. Una tecnica produttiva capace di creare vini dalla grande bevibilità, ideali per un mercato giovane che è sia quello contemporaneo che quello del futuro. “Ho una grande passione per i vini francesi vinificati a grappolo intero e desideravo sperimentare l’utilizzo del tralcio sulla produzione del Nebbiolo. Sono stato soggetto a numerose critiche fin dal principio, mi dicevano che il vino sarebbe stato troppo tannico, astringente e sulle tonalità del verde. Ma forse proprio per questo ho deciso di andare avanti col progetto”. E in fondo ha fatto bene.
Il vino che rappresenta al meglio la filosofia di Alessandro è Outside. Prodotto secondo il disciplinare del Barolo, ma fuori dai confini dei comuni di produzione per la denominazione e quindi non definibile come tale in etichetta, esprime l’approccio rivoluzionario di dwnl®, teso a dimostrare che i fattori che rendono un vino di qualità non hanno nulla a che fare con una linea geografica tracciata oltre 40 anni fa. Outside sarà disponibile da Marzo 2023, dopo i 38 mesi di affinamento previsti dal disciplinare (riferimento provocatoriamente riportato in etichetta). “Desidero che questo vino possa far parte di una batteria alla cieca per vedere in quanti scorgono il Barolo della DOC. Ma il mio obiettivo non è cambiare i confini né cambiare la storia, vorrei solo contribuire affinché le persone diano un valore al prodotto, senza considerarne il nome o la denominazione”. Dopo il Nebbiolo, anche il Dolcetto e lo Chardonnay sono stati realizzati a grappolo intero e sono andati sold-out in 12 ore con una semplice comunicazione su Instagram. “Vorrei che tutti i confini facessero un Outside: è semplice giudicare la fortuna di qualcuno senza provare mai a cambiarne il contesto. È rischioso sì, ma finché non ci mettiamo in gioco come possiamo saperlo?”
Elemento Indigeno
Il progetto dwnl® si inserisce in modo rappresentativo all’interno del catalogo Elemento Indigeno, il progetto di Compagnia dei Caraibi dedicato ai vini internazionali, con il quale condivide valori e approccio al mondo del vino. Entrambe le realtà, infatti, partono dalla volontà di offrire nuove interpretazioni e portare nuovi confronti nel mondo della viticultura e dell’enologia, mettendo al centro il racconto che lega ogni produttore al proprio territorio. Compagnia dei Caraibi, azienda leader nell’importazione, sviluppo, brand building e distribuzione di distillati e altre realtà premium, è cresciuta considerevolmente sia in fatto di numeri che di progetti di successo: negli ultimi quattro anni è stata quotata in borsa, si è trasformata in società Benefit e ha aumentato considerevolmente il fatturato. Negli ultimi anni lo sviluppo aziendale ha portato ad aprire nuove sedi in Spagna, Germania e Stati Uniti.
“Elemento Indigeno è nato come una ricerca, un diario di viaggio, un raccoglitore di scoperte e la possibilità di bere senza pregiudizi. Nasce come figlio del progetto Spirits di Compagnia di Caraibi. Sono presenti oltre 400 etichette provenienti da 27 Paesi, Armenia e Georgia, Turchia, Marocco, Libano, Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Sudamerica, Stati Uniti e il Vecchio Mondo – racconta Alessandro – Inizialmente è stato un po’ trascurato il reparto Italia per lasciar scoprire delle aree enologiche meno conosciute. Ci sono delle zone che grazie al riscaldamento globale sono diventate sorprendentemente più adatte alla produzione di vino, mentre quelle tipiche che storicamente danno grandi prodotti iniziano a soffrire un po’. Ad esempio, il sud del Regno Unito ha iniziato a produrre delle bolle che si avvicinano molto allo champagne in una degustazione alla cieca”.
Il trend si sta spostando da anni sempre più verso il vino biologico e artigianale, ci sono delle realtà che non possono permettersi la certificazione per motivi economici, difficile per una piccola cantina star dietro a tanta burocrazia. Ma il vino non deve mai essere uno strumento di divisione, non si devono creare fazioni tra chi beve naturale e chi no. Certo è che l’assaggio non mente: se un vino non è costruito o artefatto non ha bisogno che in etichetta venga indicato assolutamente nulla. Il catalogo di Elemento Indigeno desidera raccogliere queste realtà e farle conoscere, attraverso i propri canali, a più persone possibili.