Testo di Barbara Marzano
Foto di Jacopo Salvi e Stefania Zanetti
Estate 2019, Onest, Milano: avvistate sfornate notturne e chili di caffè impacchettati sottobanco. Un traffico clandestino spopola da Onest, l’enoteca con cucina che, con l’intento di staccarsi da questa etichetta apre il suo spin off nel 2023: “Clandestino non esiste”. A capo della banda sempre loro, Lea Pedrinella e Lorenza Licciardello, che con l’aiuto di Matteo Andreotti, Laura Onofrio e Lorenzo Sordini avviano questo secondo progetto.
Ma torniamo a qualche anno fa, quando Onest si presentava come un’enoteca con cucina, un biglietto da visita che, senza darlo a vedere, si evolve man mano in una proposta più ampia ma mai dichiarata, dove la panificazione e la produzione di caffè si prendono sempre più spazio.
Lea Pedrinella: “Era un contrabbando di merce autoprodotta. Vendevamo pacchi di caffè graficati da Nico189, lo stesso illustratore che ha poi dipinto i muri di Clandestino. C’era il timore di sbandierare questa produzione, quella del pane e delle brioches, che avvenivano quando la serranda dell’enoteca era tirata giù. È stata questa l’origine di Clandestino, come una risposta alla necessità di parlare di qualcosa che avveniva, che c’era, che piaceva e meritava d’essere vissuto da tutti.”
Nel 2021 l’idea era nell’aria e il secondo lockdown, anziché rarefare questo pensiero, stimolò l’apertura di un laboratorio in cui tutto questo potesse succedere, Clandestino non esiste. Un nome che è provocazione, che richiama una verità scomoda che, anche se preferiamo non riconoscere, vive nel nostro quotidiano. Oltre a dare finalmente un’identità all’attività di panificazione notturna e alla produzione di caffè, quest’insegna vuole essere un invito a riflettere o a discutere davanti a una tazza fumante, a un bicchiere di vino, o una tiepida fetta di pane, di tematiche che riempiono le nostre giornate.
Lorenza: “Chi fa tappa qui riconosce una realtà totalmente diversa dalla semplice proposta di quartiere, più vicina alla visita domenicale dalla nonna per tornare a casa con qualcosa di buono. È una bakery di quartiere dentro 12 metri quadri aperti alla chiacchiera, dove i clienti si salutano per nome. Come a casa.”
È nato prima il pane di segale o la segale? La risposta è ovvia, ma esprime anche il manifesto della produzione bakery di Clandestino non esiste. Non si parte dall’idea “facciamo quel tipo di pane”, ma da una materia prima che arriva dal piccolo produttore in ottica di un’evoluzione. Qui il pane 100% segale non viene impastato con acqua pura, ma con quella in cui il seme di segale viene lasciato in ammollo a germogliare, fino a che non dà vita a un infuso di segale. Solo quel liquido, aggiunto alla farina del cereale, riesce a permettere la propria evoluzione, il pane. Questo, come la Pagnotta Clandestina (un pane di campagna fatto di farina 0, tipo 2 e integrale), il pane con patate fermentate (quello ottenuto dalla fermentazione dell’avena) e tanti altri, scrivono il cosiddetto calendario dei pani, un planner delle uscite settimanali da Clandestino non esiste. Tutto gira attorno alla farina e al suo destino, dolce o salato che sia, senza che venga mai aggiunto alcun prodotto raffinato, uova o altro elemento tecnico. Tanto è vero che per la parte dolce, il tipico burro per sfogliare viene completamente bannato dalla cucina e sostituito da quello di affioramento, in attesa dei risultati ancora inediti che può offrire.
Clandestino è sostenibile nella produzione giornaliera nata in base all’offerta del produttore, ma anche in quella del secondo turno. Alla sfornata del mattino, segue infatti quella del pomeriggio, impastata con tutto ciò che non è andato sold out qualche ora prima. E su questo filone scorre anche la Merenda, una proposta che trasforma i left overs mattutini in maritozzi, brownies di pane di segale e ciabattine al “caffè home made”. Ma da Clandestino non esiste, di cosa parliamo quando parliamo di caffè?
Lorenzo Sordini: “La differenza è principalmente a livello culturale: diamo per scontato che l’espresso sia il caffè, ma il caffè non può avere un solo gusto. Dipende da un’infinità di variabili, come succede per il vino. Dal metodo di estrazione, dalla cottura, dalla terra d’origine. Quelli che trattiamo qui hanno una propria sostenibilità, tutte miscele arabiche, produzioni molto piccole, provenienti da tutto il mondo.”
Qui viaggiano solo coffee specialties, 100% tracciabili e sostenibili, crudi selezionati uno ad uno, ciascuno con il proprio profilo di tostatura, scelto insieme a Tommaso Bongini di Gearbox Coffee. Il caffè a marchio Clandestino, acquistabile secondo stagione, è una qualità che ha viaggiato in Brasile, Etiopia, Kenya, e oltre, con note di ciliegia, vaniglia, caramello e tante altre. Non cerca di reggere il paragone con il “nostro espresso”, ma lo scosta con il suo carattere anticonvenzionale. Rompe con l’immaginario del caffè, prevede una somministrazione in purezza, senza zucchero, in tazza grande e con un’estrazione in doppio espresso (quindi con una bevuta più lenta e più lunga). Per chi non la pensa così, l’invito – sempre cortese – è quello di andare nel bar dietro l’angolo, ma per chi dà retta alla curiosità, e all’immaginazione, si apre un punto d’incontro necessario a scoprire cosa c’è dietro, nascosto, che guida verso la scoperta, consapevole che chi sogna arriva prima di chi pensa.
Clandestino non esiste
Via Conte Rosso, 18
20134 Milano (MI)
www.instagram.com/clandestinononesiste/