Testo di Lorenzo Sandano
Foto cortesia di Bentoteca e di Lorenzo Sandano
“Guardare troppo lontano è un errore.
Se uno guarda lontano, non vede quello che ha davanti ai piedi e finisce per inciampare.
Ma anche concentrarsi troppo sui piccoli dettagli che si hanno sotto il naso non va bene.
Se non si guarda un po’ oltre si va a sbattere contro qualcosa.
Perciò è meglio sbrigare le proprie faccende guardando davanti a sé quanto basta,
e seguendo l’ordine stabilito passo dopo passo.
Questo, in tutte le cose, è il punto fondamentale”
Kafka Sulla Spiaggia – Haruki Murakami
Una Milano ritinteggiata dal clima primaverile appare quasi irriconoscibile, lucidata dal sole che rimbalza tra palazzi, asfalto e vetrine dei negozi. Quasi capace di farti scordare la pandemia e che – peggiore delle notizie – questa tonalità di soleggiata rinascita sta per esser convertita in un pantone arancio piuttosto antipatico e deprimente. Ci sforziamo di non far ristagnare i pensieri mentre varchiamo la soglia della Bentōteca, durante uno dei suoi ultimi servizi pre-DPCM. Il colore che domina qui è un bel verde speranza. Il locale è pieno di clienti distanziati a norma, con uno Yoji Tokuyoshi pronto a far capolino dal bancone sfoggiando una chioma biondo platino. Forse un tentativo di fissarsi imperterrito – anche nel cuoio capelluto – di quel punto di giallo che ha concesso un periodo di respiro alla ristorazione meneghina tutta. Eppure, a dispetto delle bad news, il suo sorrisone schermato dalla mascherina è quello di un manga giapponese dagli ideogrammi positivi.
Un super sayan dei fornelli (abbonatemi la deriva NERD), pronto a sfidare qualsiasi ondata energetica multicolore senza lasciarsi affliggere dal flusso ingovernabile di questo periodo. Di Yoji e del suo Tokuyoshi ne avevamo già scritto su queste pagine – giusto per rinfrescarvi le idee – ma il nostro cuoco giappo-italiano ha tramutato il suo ristorante fine-dining in un locale POP devoto alla formula nipponica del bento. Un concept/idea di restyling della sua insegna che già gli ronzava in testa e che è riuscito ad attuare in abiti vincenti proprio durante il moto singhiozzante di aperture-quarantene-chiusure di quest’anno, guardando avanti quanto basta per innescare il passo giusto, con una dose considerevole di audacia e lungimiranza in divenire.
UN BENTO TRA GIAPPONE & OCCIDENTE
Non pensiate che mettere in pausa il proprio ristoro principale, dimezzare il team e ricostruire da zero un’offerta pensata anche per asporto o delivery sia roba da ridere. Tokuyoshi San però, con la tempra salda di un ronin, ha mobilitato le sue skills combattive per dar vita a un format inattaccabile. Predisposto all’adattamento, saldo e mutevole come, ahimè, il cambio cromatico delle regioni, i decreti e il contesto critico della ristorazione nazionale. Partendo dalla schiscetta nipponica per eccellenza, il bento – sunto armonico e ordinato di un pasto – ha traslato la sua visione di cucina giappo-occidentale in una chiave rispettosa ma drasticamente più libera e duttile dello stile precedente. Levatevi dalla testa le caricature fusion o le contaminazioni incastrate a forza per giustificare un legame tra due culture distanti anni luce. Yoji ha preferito tradurre sé stesso e le sue esperienze di vita, ammorbidendo le aspettative e le velleità che troppo spesso erigono vincoli espressivi nell’approccio dei cuochi. Ci sono prodotti italiani di nicchia – pescati da tutto lo Stivale, ma con un occhio di riguardo ai suoi trascorsi modenesi – la tecnica rigorosa ereditata dal Giappone; il metro ludico, scenografico che lo ha sempre accompagnato nell’estetica e nelle geometrie dei suoi piatti.
E poi? Poi ci sono sapori tanto netti, prominenti e accesi da prenderti a sberle di goduria mentre stai appollaiato sul bancone. Una visione restaurata di leggerezza e divertimento che si ritrova stampata in volto anche nei suoi ragazzi: perché mentre la brigata è per necessità ridotta nei volumi, molti di loro hanno trovato nuovi sbocchi (a rotazione) esportando il format di Bentoteca su binari itineranti. Basta scrollare le pagine social o il sito del ristorante per osservarli mentre reggono cartelloni con impresse le tappe dell’insegna in tour per l’Italia, coinvolgendo gli elementi della squadra in prima persona nelle trasferte di questo modello di proposte in estensione nazionale.
Regole semplici, agili, efficaci: ogni settimana vengono aggiornate le date e le città dove si potranno ordinare (fino alla mezzanotte del giorno precedente) le portate del menu, consegnate in porzioni sottovuoto con le istruzioni per rigenerarle e assemblarle in casa. Torino, Bergamo, Brescia, Bologna, Aosta, Biella, Firenze, Verona, Vicenza, Modena, Genova, Pavia, Parma e molte altre in successione. “A Roma vi stiamo antipatici?” Lo provoco scherzando, mentre mi affaccio al banco. “Abbiamo tanti amici a Roma quindi ci stiamo organizzando” mi risponde prontamente reggendo un esemplare ultra-marezzato di tonno in mano. “Non è un tuo problema però, ora pensa a mangiare. Qui vige il relax e il divertimento, anche con l’arancione alle porte”.
LAST SERVICE? MANCO PER SOGNO
Lo spirito di pacatezza e sollazzo è innegabile: lo scorgi dalle movenze gioviali e accomodanti del super team di sala, lo ritrovi poi sfogliando la carta, dalla quale ordineresti tutto in un raptus famelico. Giunge immediato però il sopra-citato Tonno a placare gli appetiti irruenti, matchato in abbinamento cromatico e palatale con un prosciutto riserva Galloni affettato al momento dalla Berkel rossa fiammante che domina il bancone. Rosso rubino anche nel piatto che vira al rosa purpureo della Ventresca di un esemplare limited edition trattato con ikejime qui in Italia (solo per la Yoji Crew). Grassezze animali e ittiche a confronto, in un ton sur ton finalmente fuori da zone cromatiche pericolose: si gode tanto, in scioltezza, col minimalismo materico che non lascia spazio a seghe mentali.
Il gioco è un altro ingrediente segreto (manco troppo) di Bentōteca: ce lo ricordano due Bao soffici e paffuti sagomati a forma di panda, da irrorare (ancora caldi) con una crema spalmabile di burro, acciughe e mascarpone. Teatralità visiva forse, ma senza sottrarre un sol grammo di profondità a quel burroso mantecato di gioia. E se non siete ancora convinti di questo timbro contaminato, appellatevi ai Gyoza piastrati di maiale e gamberi con salsa di porcini fermentati, soia e peperone crusco. Ineffabili nello strattonarvi con estasi da qualsivoglia perplessità: un look che ammicca alle decadenti chele di granchio da pizzerie trash, rivelando un’impronta papillare a dir poco fotonica.
Tokuyoshi l’ha presa davvero a cuore questa storia di vedermi rilassato, arrivando quasi al punto di imboccarmi: sfiora il tenero gesto, mentre avvolge Gamberi rossi crudi in foglia d’alga con riso, salsa ponzu homemade e una spremuta massiccia del carapace dal medesimo crostaceo. Altro che relax, qui rischio di ribaltarmi dallo sgabello! Segue una doppietta di ormai-signature del locale (imposti sul podio in brevissimo tempo per la loro immorale bontà): il Katsu–sando (proto-tramezzino nipponico) imbottito con cotoletta fritta di lingua, salsa all’aglio e zenzero, cavolo viola, maionese verde e spinaci; poi il Midollo alla brace con shiokara (calamaro fermentato) arricchito da peperoncino, erba cipollina e due fette tostate di shokupan (pane morbido giapponese) ove drappeggiare il tutto.
Due trampolini di lancio, in fibrillante connessione identitaria Tokyo-Milano, pronti a proiettare i sensi sull’esosfera del piacere. Lo Yakitori di anguilla laccata e pollo ficatum (da alimentazione etica a fichi) marinato nel koji ti regala nuove consapevolezze sul mondo animale: ovvero che un pescione strisciante potrebbe razzolare in allegria anche lungo un’aia di pennuti, o viceversa. Glissando i miei deliri, parliamo di un sodalizio fenomenale di lipidi, texture e cotture tra ecosistemi opposti.
Binomio ripreso con medesimo risultato nell’Anatra cotta nel dashi con trota marinata sotto sali bilanciati, daikon, cipolla di Tropea e tuorlo d’uovo crudo. Mescoli, azzanni e scovi inedite similitudini inebrianti. Dal capitolo ramen, emerge un corroborante Brodo di pollo e maiale, con pancia di maiale, verza piccante, uovo morbido dal quale risucchiare gomitoli di noodles con fragore gaudente. Il vero knock out però lo assesta il “piccione ubriaco” prima del dolce. “Lo avete rapito al Duomo?” sibila un giullare in background (il sottoscritto). Goliardia sì, ma torniamo un attimo seri, perché l’esercizio lo esige di brutto: Piccione marinato nel sakè, cotto alla griglia e pittato con una sontuosa salsa al fondo di piccione e sardella (bianchetti piccanti in conserva). Se mi illudevo di aver scovato tutti i collanti terra-mare contemplabili qui, l’assetto aromatico, succoso e fine di questo volatile dall’accento calabro sbaraglia ed eleva (con felicità) ogni mia suggestione. WOW!
Ci si sposta in un’adorabile saletta a scomparsa, rivestita da opere d’arte, per affondare il cucchiaio nella Cheesecake ai fagioli rossi, composta ai frutti di bosco, yuzu candito con gelato all’acqua di koji latto-fermentato: pungente, sofisticata e immediata all’unisono. Manco a dirlo buonissima come il pranzo nella sua interezza. “Ti sei placato o hai ancora fame? Vuoi un cucchiaio di risotto al radicchio e salsiccia?” È Yoji stavolta a tentarmi bonariamente, mentre conclude il servizio condividendo lo staff meal lungo il tavolo conviviale della sala. Sono quasi le 18 e uno degli ultimi servizi di Bentōteca sembra volgere al termine, virando già su colori emotivi più cupi. Ma è solo una falsa impressione, viziata dagli umori instabili di questa pandemica epopea. Il giallo rimane acceso e nitido nello spirito di questa formidabile insegna e nelle sue tentacolari applicazioni. Come il sole che scolpisce Milano in primavera. Come la chioma scintillante del mitico Tokuyoshi San.
Bentōteca
Via S. Calocero 3
20123 Milano (MI)
Tel: +39 340 8357453