Testo di Luca Sessa
Foto di Pesce Norvegese (Pagina Facebook)
La seconda edizione della manifestazione Roma Baccalà, svoltasi nel quartiere Garbatella dal 9 al 12 settembre, ha nuovamente sottolineato l’importanza di questo prodotto nella tradizione culinaria del nostro paese. Un ingrediente protagonista di ricette storiche di alcune regioni italiane (dalla Sicilia al Veneto, dalla Campania alla Liguria e al Lazio naturalmente) che per giungere a noi compie un viaggio lungo quasi 4000 km. Tutto ha infatti origine da una particolare varietà di merluzzo atlantico norvegese, lo Skrei, la cui principale zona di riproduzione è sulle isole di Lofoten e Vesterålen. Skrei significa “vagabondo”, in riferimento al viaggio di 1000 km che questo pesce compie ogni anno dal mare di Barents fino alla costa della Norvegia settentrionale. La sua stagionalità è compresa tra gennaio e aprile.
Ma come è giunto il merluzzo norvegese in Italia? Pietro Querini, nobile mercante veneziano partito nel 1431 da Malta, dopo una tempesta e la rottura del timone vide la propria nave andare alla deriva. L’equipaggio si divise su due imbarcazioni, una scialuppa di cui non si seppe più nulla e una lancia che giunse sull’isola di Røst nel 1432 con Querini e alcuni uomini del suo equipaggio. Accolti dagli abitanti dell’isola, i naufraghi rimasero circa quattro mesi a Røst prima di fare ritorno a Venezia portando con sé lo stoccafisso, il merluzzo essiccato, che ebbe successivamente un grande successo per la sua bontà e per la facilità di conservazione e di trasporto. Della permanenza il Querini scrisse una relazione per il Senato di Venezia ancora oggi conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana.
Da quel primo viaggio il baccalà e lo stoccafisso hanno poco alla volta conquistato un ruolo da protagonista nella nostra tradizione culinaria, grazie anche a un motivo particolare, legato a questioni religiose. Il baccalà ha avuto così tanto successo nel mondo cattolico grazie a una tradizione che risale al Medioevo, quando il Papa decretò che i Cattolici dovevano mangiare pesce al posto della carne durante il periodo di Quaresima; da allora i Norvegesi esportano baccalà ai Cattolici di tutto il mondo. Questa benedizione papale è però solo uno dei tanti motivi per cui la Norvegia è diventata il più grande fornitore di merluzzo salato ed essiccato al mondo. Importare un pesce salato ed essiccato dalla Norvegia si rivelò un successo: grazie alla resistenza per lunghi periodi e all’eccellente qualità che lo caratterizzavano, il baccalà era perfetto per soddisfare quella domanda.
Differente dallo stoccafisso per il metodo di lavorazione – il baccalà attraversa un processo di salatura e successiva stagionatura mentre lo stoccafisso è merluzzo essiccato – il baccalà è conosciuto nel mondo con vari nomi. Se l’italiano riprende il nome portoghese bacalao, in inglese il baccalà è chiamato clipfish, ma è anche noto semplicemente come merluzzo salato ed essiccato. Il nome originale, tuttavia, è in un certo senso ancora più descrittivo: la parola “clip” deriva dall’antico norvegese “kleppr”, che si riferisce a un tipo di formazione rocciosa comune sulla costa del Paese (l’etimologia del termine è simile a quella dell’inglese “cliff”, scogliera). Nella tradizione, era su queste rocce che il pesce (principalmente merluzzo, ma anche altri pesci bianchi) veniva piegato, salato ed essiccato.
Salatura ed essiccazione sono tra i metodi più antichi per conservare carne e pesce. Il sale estrae l’acqua e satura il contenuto liquido rimasto nel pesce, in un processo di maturazione che richiede solitamente diversi mesi. Durante la produzione del baccalà, il pesce viene salato varie volte: la prima volta il sale si dissolve, lasciando il pesce immerso in una sorta di salamoia. Quando la maggior parte dell’acqua è stata estratta, il pesce viene sciacquato e asciugato, quindi salato di nuovo. Tutto ciò avviene in un ambiente freddo per impedire lo sviluppo di batteri. Dopo aver trascorso diverse settimane sotto sale, il pesce viene nuovamente pressato per rimuovere ancora più acqua. A questo punto viene salato nuovamente, prima di essere finalmente lasciato a essiccare. Negli ultimi anni, questo processo si è spostato al chiuso per offrire risultati ancora migliori. Quando il contenuto d’acqua del pesce essiccato scende al di sotto del 48% può essere chiamato baccalà.
La filiera produttiva del baccalà è tra le più sostenibili dell’attuale scenario alimentare mondiale: le quote della pesca sono basate sulla ricerca scientifica e sul controllo dei pescherecci e dell’industria e la produzione ed il trasporto comportano una bassa emissione di CO2 (la quantità di energia necessaria per l’essiccazione e il successivo trasporto corrisponde solo al 23% del peso del pesce fresco), tutto questo per un prodotto 100% naturale dai valori nutrizionali benefici (circa l’80% di proteine e un basso contenuto di grassi). In umido, fritto in pastella, in guazzetto con olive e patate, mantecato, alla Vicentina: il baccalà proveniente da una terra lontana è divenuto la pietra miliare della cucina regionale italiana.