Testo di Lodovica Bo
Foto di Ufficio Stampa Alta Badia
Alessandro Gilmozzi, “l’uomo del bosco”, quello che dalla montagna ha preso letteralmente l’essenza grazie a tanta ricerca e all’utilizzo di nuove tecnologie, capaci di trasformare i doni della montagna in prodotti scomposti di cui utilizza assolutamente tutto. Alessandro, chef stellato del ristorante El Molin (TN) è stato ospite di Sapori d’Autunno l’evento tenutosi in Alta Badia durante il mese di settembre.
Qui, insieme alla squadra del rifugio Utia Saraghes, ha ideato un piatto di Ossobuco di manzo in Pressknodel, misticanza selvatica e vegetali dell’orto. Alessandro ha collaborato con il produttore locale di carne del Maso Ciampidel, per valorizzare la valle e il territorio.
Come nasce la partecipazione all’evento e l’idea del piatto?
Dall’amicizia con questa valle, perché abitiamo in territori simili con tradizioni analoghe, che vanno dal canederlo alle erbe spontanee. Una famiglia come quella del rifugio Saraghes ha tutta la mia stima: hanno anche un’azienda agricola che produce carne e producono salumi. Non sapevano come fare l’ossobuco, così l’abbiamo inserito in un canederlo pressato, aumentando la morbidezza grazie all’albume montato a neve, perché assomigliasse un po’ di più a un sufflè, poi con il midollo abbiamo fatto una salsa molto ricca. Infine, ho messo il mio tocco grazie alle erbe di campo, che con la loro balsamicità sono riuscite a renderlo più fresco.
La tua filosofia?
Io interpreto il territorio con la botanica, sono abbastanza estremo (posso cucinare dal cuore di cervo, alle erbe selvatiche o la radice di liquirizia). A El Molin lavoriamo tanto con le cortecce, i licheni, le linfe. Usiamo il territorio a 360 gradi, attingendo appunto dalla botanica. Poi abbiamo una rete di produttori che ci aiutano con la parte agricola e tutto quello che usiamo è locale. Non mi fregio dell’uso estremo del km 0: quello che raccogliamo nel bosco è vicino a casa, ma il resto può venire anche da più lontano. La mia filosofia è prendere quello che il territorio mi dà di più difficile, cioè i profumi, e dar loro consistenza. Quando vai in una baita e si accende il camino con il fuoco, successivamente ti porterai dietro un profumo di fumo. Noi abbiamo riproposto questa sensazione lavorando la pigna per 7 passaggi, su un semplice risotto. Questo per me significa riuscire a interpretare il territorio con quello che la natura ci da. Facciamo circa 72 piatti nuovi ogni anno, lavorando sui prodotti, ma un prodotto non lo lavoriamo mai una volta sola, lo utilizziamo fino alla fine.
Qual è l’importanza del rapporto con il produttore?
È la voglia di far rete tra produttore e ristoratore; è la voglia di sensibilizzare il ristoratore a cercare la materia prima sotto casa, è la voglia di avere una filiera corta che ti permette di arricchire un territorio. Noi dobbiamo essere partecipi nel dare il valore aggiunto al contadino e all’animale ben allevato. Il consumatore va ancora educato, non c’è ancora sensibilità a tutto tondo. C’è tanta sensibilità sul vegetale, anche se si può far di più, ma sulla carne ce n’è meno. La gente guarda ancora la carne che si presenta meglio (rossa ma piena di amminoacidi), ma meglio comprare quella meno bella esteticamente. C’è ancora molto da lavorare. Noi andiamo a ricercarla dove rispettano l’animale, la sua vita e quello che producono. La mia cucina ha un forte valore di appartenenza al mio territorio trentino e da qui ne ricavo gli stimoli culinari. Oggi, ad esempio, io produco il mio sale che ho trovato nelle Dolomiti.
Come ti ha trasformato il mondo della gastronomia?
Io ho sempre rischiato tanto e ricercato tanto. Nel ‘95 sono andato a licheni, perché un maestro mi ha insegnato che se tu abbini un animale a quello di cui si ciba, l’abbinamento è perfetto. Cercavo gli ingredienti che non erano ancora considerati cibo ed ero visto in modo strano. Oggi quello che faccio è all’ordine del giorno grazie all’uso delle erbe spontanee e agli chef che le hanno portate in auge. Io mi sento un difensore del mio popolo, che storicamente è di raccoglitori. Sono andato avanti cercando sempre di più, in quanto appassionato di tecnica. La botanica è entrata di prepotenza nella mia vita grazie a mia zia. Oggi la mia speranza è che i miei allievi diano il loro contributo rispetto a quello che ho insegnato.