Nessun posto è neutro, ma solo se conosci qualcuno che ci ha vissuto o ci vive diventa un luogo.
Può, cioè, parlarti con uno slancio e un’inflessione che riconosci nel tempo. Da qui, deriva la sensazione che alle persone di carattere corrispondano, necessariamente, luoghi d’elezione o legati alle proprie origini che hanno un’indole molto simile. L’estensione reciproca tra luogo e persona porta, nei casi felici, alla scoperta di un “capoluogo di persona”. In questo caso, Keti Mazzi può aspirare a tale definizione. Ancor più, oggi, che ha escogitato un tour, intitolato A casa mia, dove vita e azione, ricordi e business si alimentano a vicenda.
Piccolo passo indietro. Dieci anni fa, nasceva a Hong Kong Certa, il progetto di distribuzione di grandi prodotti italiani, ponendo le basi per un ponte di conoscenze e incontri tra l’Italia e l’Asia. Sottolinea Keti Mazzi:
“L’idea non poteva che evolversi da vetrina a corso permanente di formazione, di educazione al gusto italiano, attraverso l’incontro diretto con i suoi protagonisti, creando i presupposti per un ideale, concretissimo, viaggio di andata e ritorno. Ogni ritorno a casa rappresenta sempre uno stimolo a fare bilanci e a trovare nuove strade. Quella che mi è balenata davanti ritrovandomi, ad Arezzo, la mia città natale, dopo aver passato lunghi anni all’estero, è stato il desiderio impellente di condividerne il cibo, il vino, la storia, l’altissimo artigianato: luoghi e persone che hanno segnato la mia visione lavorativa e il mio approccio alla vita”.
Ed è proprio Keti Mazzi, in tutto quello che leggerete qui sotto, a raccontarci, quella casa sua in un viaggio Hong Kong – Arezzo, tratta inversa dei prodotti Certa.



Sentire è il verbo chiave
Come? Organizzando, puntigliosamente, un viaggio in Italia, per tutti ma non da tutti, che aggiunga all’esperienza diretta dei prodotti che presentiamo sul mercato asiatico, la possibilità di avvicinarsi alla fonte, di incontrare l’aria di casa che li ha visti nascere. Sentire è il verbo chiave, il mantra, onesto e irrinunciabile, per abbracciare la possibilità di essere al posto giusto nel momento giusto, vivendo non da estraneo, ma da italiano la storia che ci circonda. Nulla è caso e se vuoi capire di chi e cosa stiamo parlando bisogna mettersi a cercare e risalirne le radici. Certificandone, per così dire, la dignità, la verità intrinseca.
A casa mia si rivolge, in primo luogo, a un centinaio di membri, affiliati al Wine Club Certa, a chi, non solo per affari, aspira a diventare un futuro esperto di italianità.
Il lusso delle cose reali
Si tratta, in fondo, di una ridefinizione di turismo dove la misura è data da piccoli gruppi, coesi, in cerca di un’esperienza non omologabile, schietta, coinvolgente, dove il lusso sta proprio nel fatto che si tratta di cose reali, inaspettate, ma non per questo improvvisate. Anzi, proprio il contrario, perché quei marchi sono emersi, venuti al mondo, con immensi sacrifici e gioia. Il vino, la pasta, il tonno che hai assaggiato nella nostra casa di Hong Kong, hanno un indirizzo, un capoluogo di persona corrispondente in Italia.
Poterlo verificare, reagendo come reagirebbe un italiano, senza diaframmi, genuinamente, in un viaggio tra amici, dove le buone, care abitudini sono la posta in palio, dà l’esatta misura di cosa possa essere ancora, oggigiorno, un privilegio: replicare ciò che t’innamora con le persone giuste, in luoghi che riscopri familiari.


Travel with Certa mescola un incoming professionale – selezionatissimo – a una mappa personale, collezionando, nell’arco di otto giorni, ventuno occasioni per conoscere le quinte di un paesaggio umano tra Arezzo, Siena, Montalcino, Cortona e la Val d’Arno.
L’itinerario suddivide le tappe per argomenti, secondo la regola – liberamente scelta – che la vera felicità ha a che fare con la quotidianità. Ci sono le cantine, con quattro protagonisti; l’ospitalità con altrettante mete d’affezione; undici ristoranti, noti fin dalla giovinezza; nove tra eventi, luoghi d’arte e artigianato.
Il Sangiovese secondo me
Senza fare torto a nessuno perché tutti i convocati per A casa mia sono la mia prima e spesso unica scelta, vorrei almeno citarne alcuni. E comincerei da Luca e Rocco Saintjust, che fanno vini a Petrolo in Val d’Arno. Avevo da sempre il desiderio di lavorare per loro, finché, senza mai smettere di bere Petrolo, non ci siamo trovati. Posso sottoscriverlo, questo è il sapore del Sangiovese di casa, sempre a tavola, che gustavo con i miei. Stessa ammirazione per Stefano Amerighi, vignaiolo in Cortona, principe del Syrah che ne precede la fama, produttore di vini biodinamici a Poggiobello di Farneta.



Per me, Stefano è l’esempio vivente del produttore partito da zero e diventato un punto di riferimento. Stargli accanto ti apre il petto, respiri più a fondo anche solo a vedere il padre nutrire le sue chianine per poi sederti in cucina, davanti a una pasta al ragù.
Il rifugio del buon cibo
Sì, potrei anche definirli dei rifugi, dei pezzi d’intimità, sipari di ricordi, che danno un senso al passato. Tra i prescelti, farei un cenno alla Capannaccia, un posto rurale solo a qualche chilometro da Arezzo che non ha mai abbandonato lo stile della gestione familiare. Una grande casa dove si andava la domenica. Giorno comandato o per il pranzo dai nonni o fuori porta, alla Capannaccia.
Ricordo, con timore reverenziale, la donnina addetta alla griglia, quasi minuscola di fronte all’enorme focolare dove gestiva un centinaio di comande contemporaneamente. Continuo a ordinare e a commuovermi per l’onesta bontà delle pappardelle al ragù, del risotto ai funghi e del coniglio arrosto, il mio preferito. L’altro porto sicuro, speculare, perché in via Mazzini, all’interno della cerchia cittadina, è senz’altro L’Agania, l’antica osteria dei memorabili fegatelli, con la fila fissa dei clienti in attesa ieri come oggi.



Ai tempi, si diceva “andiamo a mangiare dal Topo” ed era una scelta obbligata e un po’ paurosa per i modi rissosi dell’oste. Adesso, sono rimasti la moglie Gabriella e i figli a ingentilire quel lato schietto che è sempre stata la prerogativa della tavola dell’Agania. Tuttora, passare la porta è come sedersi a teatro, assistere a una rappresentazione in dialetto, dove partono giudizi fulminei e frasi incomprensibili a chi non nasce aretino. Per il Topo, anima dell’osteria, valeva l’espressione con cui Dante omaggiò gli aretini: botoli ringhiosi. Gente del fare, di un orgoglio smisurato, che col tempo hanno smussato i problemi di comunicazione, facendo del proprio istinto riservato un’ulteriore prova di serietà. Ai miei viaggiatori del cuore offro soprattutto la possibilità di camminare nella storia, visitando il Duomo di Arezzo, il Museo Civico, Casa Vasari, Casa Petrarca, piene ambedue della presenza carismatica dei loro antichi proprietari, senza sorvolare sull’importante Fiera dell’Antiquariato e, naturalmente, ciò che ruota attorno alla Giostra del Saracino (con la i!) che contrappone i quattro quartieri della città in una prova cavalleresca di inossidabile maestria.
Il quartiere di Porta Crucifera e Lucia Fioroni
Non potevo, quindi, esimermi dal raccontare in prima persona il mio quartiere, Porta Crucifera, detto anche Colcitrone, e il mestiere del sommo falegname: quel Francesco Conti che ogni anno, due volte l’anno, pialla la lancia cerimoniale che andrà ai vincitori della Giostra.
Ma Arezzo, è anche e soprattutto una persona che, a vent’anni, mi ha guidato nell’arte mai scontata del saper bere e mangiare. Parlo di Lucia Fioroni che fino a poco tempo fa teneva la barra della Torre del Gnicche. Locale tradizionale, foderato di etichette, oggi scomparso. Autrice di una torta di riso celestiale. Per fortuna, ce l’ho ancora al mio fianco in questo personale itinerario tanto ideale quanto concreto dove nostalgia, felicità e consapevolezza si ritagliano tutte un posto d’onore.
Oggi, il difficile testimone di locale per saggi bevitori lo ha raccolto, sempre in Piazza Grande, sotto le volte del loggiato del Vasari, Gabbo Cave à Vin, dove ho il piacere di organizzare una cena a quattro mani con il titolare Gabriele Mori e Riccardo Canella, cuoco di molte e ubique competenze. Insieme, propongono un menu aretino in stile contemporaneo.


A casa mia fa, infine, una deviazione importante a Siena e nei suoi dintorni, immergendosi nell’atmosfera epica della città del Palio dove risulta monumentale anche l’ottocentesca Drogheria Manganelli, spezie e delicatezze allineate in vecchi scaffali. Faremo, poi, un inchino alla cittadina che ha fatto grande la Toscana con vini che sono icone mondiali.
A Montalcino, i miei ospiti visiteranno Argiano, una cantina e una dimora dove la bellezza s’incarna negli edifici storici, risalenti alla villa cinquecentesca della famiglia senese Pecci e nel giardino all’italiana, misura di natura ed eleganza.
Solo la sopravvivenza di posti così, restaurati magnificamente e vivi, mi spingono a far bene il mio mestiere e a condividerne i frutti miracolosi.

