Siamo scesi dalla Piccadilly Line a Green Park, proprio sulla linea di confine di Mayfair a due passi da Regent Street e Oxford Circus, arterie principali dello shopping, frequentate senza sosta da local e turisti. Sono le dieci del mattino ed è già passata l’ora di punta: gli uffici sono pieni e i cafè gremiti di smart workers. In caso non si fosse ancora capito, siamo nella città dei bus rossi a due piani e della famiglia reale più famosa al mondo: Londra, conosciuta anche per essere casa di un melting pot culinario senza paragoni. Ma non ci perderemo nelle vie della città, alla ricerca di cucine lontane dal territorio in cui ci troviamo, rimarremo in un unico luogo in cui si approfondisce la cucina britannica, con uno sguardo verso il resto del mondo.
Una volta riemersi dalla Tube, tenendo sulla sinistra Green Park, troviamo, sulla destra, un edificio quasi criptico, costituito principalmente da vetri semi-oscurati divisi da una sottile linea che separa i due piani. L’insegna, in parte nascosta, recita “Hide” e il nome non è casuale. Aperto dal 2018, ha preso la stella Michelin solo un anno dopo. A capo della cucina c’è Josh Angus, con un’esperienza costruita in giro per il mondo, uno staff ricco di diverse culture e un servizio attivo tutti i giorni dalla colazione al post-cena. Il ristorante è della stessa proprietà di Hedonism Wines, una boutique di vini e liquori situata a pochi metri di distanza, “nell’entroterra di Mayfair” e la concordanza si percepisce subito: colori caldi, ambiente curato e offerta di qualità, sono tratti che contraddistinguono le due realtà da tutto il resto.
Entriamo, curiosi, da una grossa porta in legno e, appena superata l’accoglienza e lasciato le nostre giacche, ci sentiamo subito piccoli, rimpiccioliti. Il locale è strutturato su tre piani collegati da una maestosa scala in legno fatta a mano dallo studio londinese di architettura e design Atmos, famoso per l’utilizzo di forme che si ispirano alla natura. Capiamo così di trovarci dentro un albero.
Al piano più basso, nei sotterranei, c’è un bar in stile speakeasy – il Bar Below – la cantina dei vini (che attinge al bisogno da Hedonism) e tre sale private, rispettivamente a tema libri, Kintsugi e ombre, che si possono riservare per un massimo di otto persone e personalizzare nell’atmosfera, nel menu e nel servizio. Qui l’aria è umida, la temperatura più bassa della media e l’atmosfera cupa: siamo nelle radici dell’albero.



Il piano terra è leggermente più arioso: legni scuri, linee robuste, una tensione costante tra essenzialità e potenza visiva. Ci troviamo all’interno del tronco, nel Ground, e la scala domina la scena, con la sua spirale maestosa che guida verso l’alto; qui si ha un affaccio diretto sul marciapiede, iniziando a vedere la luce. In questo piano e in quello superiore vengono serviti i tre pasti principali: colazione, pranzo e cena; le prenotazioni si possono fare online, comunicando già in precedenza se si vuole optare per i piatti alla carta o per il testing menu.
Saliamo poi al piano superiore, sull’Above, ed è come se ci trovassimo tra i rami: l’ambiente è più aperto, i colori sono chiari e si gode della vista su Green Park, come se fossimo noi le creature che abitano le estremità dei suoi alberi. Non è un caso che molte pareti siano decorate con foglie, fiori e oggetti provenienti dal parco su cui si affaccia questa sala, frutto di un team building della pre-apertura: tutto lo staff, racconta la “guida”, è andato in avanscoperta per trovare piante spontanee e oggetti insoliti da cui farsi ispirare, imprimendole poi sulle pareti.
Senza toccare ancora cibo, siamo già sazi dalla scoperta di tutti i dettagli di questo luogo che all’apparenza sembra minimalista, ma in realtà nasconde molte storie da raccontare.
A questo punto ci fanno accomodare, il nostro tavolo è tondo ed è posizionato tra i rami, nell’angolo tra le due vetrate del primo piano. Non si trovano molti ristoranti che fanno questo tipo di servizio, ma qui la colazione è servita sin dal primo giorno di apertura. I prodotti di punta sono quelli creati nella bakery interna che produce pane e viennoiserie, esponendoli poi sul pass del piano terra come fossero in vetrina: a prima vista si può notare la cura quasi maniacale che il personale impiega nella loro creazione.



Oltre a questo, possiamo trovare un ulteriore offerta sia dolce che salata molto ampia: a riguardo, il personale – composto, preciso, ma mai rigido – mi informa che l’unica parte del menu non disponibile in versione gluten free è proprio quella delle viennoiserie. Scegliamo così l’Avocado toast con un dressing alle erbe e aggiunta di salmone affumicato: il pane senza glutine home made è così simile all’ordinario che quasi sospetto sia con il glutine, non per scarsa fiducia del personale, ma per l’alta qualità del panificato.
I miei compagni di viaggio optano per un Egg Florentine, un Porridge al latte di cocco, datteri, composta al tamarindo e la classica Colazione inglese con bacon affumicato, black pudding, salsiccia di maiale, pomodori arrostiti, uova e pane tostato. Da bere, l’istinto e la curiosità ci portano su un succo verde con cetriolo, aloe vera, kiwi e spinaci, su due tè (English breakfast ed Earl Grey, quasi per dovere culturale) e un cappuccino di soia.
Nel servizio non c’è teatralità: un racconto breve ma approfondito dei piatti che lascia spazio al gusto e all’esperienza. Si percepisce un rispetto assoluto per la materia prima, ma anche la volontà di inserirla in un racconto contestualizzato nel luogo in cui ci troviamo.
E i prezzi? Per la colazione, più etici che elitari, come se la volontà fosse quella di rendere accessibile a tutti un assaggio del posto.
Siamo nel cuore di Londra, in un ristorante stellato, eppure il conto lascia spazio alla sorpresa: il mio cappuccino costa meno di uno di quelli presi à porter dalle grandi catene.
Forse è questo un obiettivo più che giusto da raggiungere: rendere accessibile un’esperienza di alto livello, creando e servendo prodotti di qualità, avendo rispetto per essi, ma anche per il cliente. C’è qualcosa di affascinante, ma per certi versi spiazzante, nell’accomodarsi in un ristorante stellato per fare il pasto più semplice della giornata: è compiere un gesto quotidiano in un luogo insolito.
Il confine tra routine e rituale si fa sottile senza far percepire nessuna forzatura: la sala è elegante ma anche accogliente, il servizio è curato ma non invasivo; la quotidianità viene semplicemente elevata. Qui ci si sente subito a proprio agio, quasi ignorando il pensiero che allo stesso tavolo in cui si gode la propria colazione, poche ore dopo, ci sarà una coppia vestita di tutto punto che spenderà centinaia di sterline per un testing menu.
Il fascino di un momento simile sta proprio nel far coesistere due esperienze tanto diverse senza che nessuna delle due perda autenticità. Hide non è solo un ristorante stellato, ma è un posto libero, da scoprire poco alla volta. Un luogo che è un po’ come i gioielli della corona: prezioso e silente, custodito con cura e attenzione, nascosto sotto gli occhi di tutti.