Ci sarei voluto andare quando era nella campagna fiamminga con il suo In De Wulf, ma non feci in tempo. Poi avrei voluto provare il suo modo di interpretare i prodotti siciliani nella parentesi di Stazione Vucciria, ma anche lì gli eventi sono stati più rapidi, efficaci ed efficienti di me. Quando circa un mese fa sono quindi riuscito a piazzare la mia prenotazione per Eliane, il nuovo indirizzo di Kobe Desramaults aperto a dicembre dello scorso anno a Bruxelles e premiato pochi mesi dopo con la stella della guida Michelin, capirete che l’entusiasmo era tanto. Tutta questa lunga premessa per dire che le aspettative su questa cena erano altissime e, come sa chiunque sia appassionato di qualcosa, non c’è niente di peggio che partire con aspettative smisurate per uscire delusi e contrariati. E invece… e invece la cena di giovedì 17 luglio 2025 è stata una delle esperienze gastronomiche più importanti e profonde degli ultimi anni.
Come molte cose preziose anche la custodia di Eliane non è particolarmente attraente: il ristorante si trova, infatti, al piano terra di un anonimo palazzo della zona nordorientale di Bruxelles, non lontano dal Centre Belge de la bande dessinée, un importante museo dedicato al fumetto (un’arte che in Belgio ha prodotto Tin Tin, i puffi e Lucky Luke, giusto per citare i più famosi).
Non appena entrati, però, tutto cambia e si ha la sensazione di essere in un accogliente appartamento dal design curato e dalla calda atmosfera.
L’unica sala che compone il ristorante si sviluppa in lunghezza ed è possibile dividerla in tre ambienti non separati tra loro: un bar subito all’ingresso di fronte al quale si trova un mobile libreria pieno di vinili – ogni sera Kobe oltre a comporre il menu si occupa di scegliere i dischi che accompagneranno la serata e che contribuiscono a costruire una situazione avvolgente e di generale bellezza – sul quale sono appoggiati due giradischi; la cucina, separata dalla sala da un lungo banco di cemento grigio, grezzo e liscio allo stesso tempo, lungo il quale si trovano otto sedute, è un palcoscenico in continuo movimento, un vero luogo di produzione e non di semplice assemblamento (come talvolta sono le cucine a vista); la parte finale, infine, al fondo della stanza, è occupata da 3 tavoli rotondi, apparecchiata con eleganza minimalista e affaccia su un cortile che si riesce solo a immaginare attraverso le tende bianche che coprono le grandi vetrate e le altre pareti.


Il menu è fisso, costa 285 € (bevande escluse), si compone di non meno di 18 uscite, tra piccoli assaggi e piatti più strutturati e cambia – almeno nelle sue componenti specifiche – ogni sera a seconda della proposta del mercato (la zuppa che nel mio caso era di cozze la sera successiva o quella precedente può essere, invece, di vongole o di un altro mollusco bivalve). A fianco del menu, una carta vini non ampissima, ma ben ragionata con etichette che arrivano da ogni parte d’Europa o due proposte: una analcolica (120 €) e una alcolica (150 €) con vini, birre, sakè. Le uscite sono organizzate in una composizione ritmica fatta di uscite multiple – coppie, tris o più raramente quartetti – per i bocconi più piccoli e singole per i piatti veri e propri. Raccontare i piatti è utile qui per cogliere uno stile più che per descrivere una situazione o degli assaggi replicabili.
Si parte con un Fiore di cetriolo fritto in tempura e accompagnato da una salsa di cozze, sottile e marina e da un maki di branzino e foglie di nasturzio. Lo Scampo, lardo e shiso è un boccone di rara eleganza e misura, nel quale la dolcezza del crostaceo e del grasso si confondono e si inseguono riempiendo, anche a livello testurale, il palato ripulito dalla foglia di shiso che contrasta non solo con una nota balsamica e amara ma anche contribuendo in masticabilità a un boccone altrimenti impalpabile nella consistenza. A questa sensazione di morbidezza e tenace seguono la croccantezza e la morbidezza, gustativa e di struttura, del Lattughino con paté di fegato di rana pescatrice (leggermente affumicato) e sgombro. La Tartelletta di finocchio e ricotta è quasi un intermezzo prima di quello che, pur nel suo minimalismo, è una delle preparazioni più significative della serata: un pezzo di tentacolo di Polpo affumicato con elicriso, boccone tanto piccolo quanto profondo e complesso nelle note marine, affumicate, aromatiche. Il tempo di riprendersi dall’infinita lunghezza del fumo del polpo (un fumo sottile e profumato, per nulla acre o polveroso) che arriva un brodo tiepido di germogli di pino che accompagna delle carnose Cozze bouchot e del sedano marinato in aceto.













Il fiore di zucchina con granchio precede la portata più “golosa” della serata: un Uovo di quaglia morbido, con crema di patate, latticello (leggermente acidula quasi fosse un burro bianco) e caviale oscietra belga. Il rombo è cotto delicatamente sopra la griglia e servito con alloro, salicornia e ribes bianco; mette in mostra le straordinarie capacità tecniche – la carne del pesce è succosa e compatta – e di composizione del piatto, ma è la portata successiva, probabilmente, il punto più alto della serata, posto non a caso esattamente a metà percorso. Si tratta di Melanzana, ostrica Gillardeau, vin jaune e Comté, un equilibrismo compositivo e di consistenze. La melanzana e il mollusco – leggermente intiepidito sulla brace, così da fargli prendere calore e morso – sono indistinguibili e netti nelle note di pungenti, marine, di fumo e di frutta secca e nella struttura viscida e compatta dell’uno e dell’altro elemento; il Comté e la salsa di vin jaune fungono quasi da spezia, aggiungendo spessore e salinità, grassezza e acidità, sottolineando note già altrove presenti e tenendo insieme gli elementi del piatto. Nel frattempo, vengono portati il burro salato fatto in casa – di grande ricchezza e intensità – e il pane. I Tagliolini, tiepidi, quasi freddi, con pomodoro verde, foglie di fico e sardine hanno un morso ancora croccante che consente alle note fresche e decise del “condimento” di uscire con tutta l’intensità necessaria. L’Astice della Bretagna con la salsa del suo corallo e il brodo del carapace è un piatto di purezza e intensità. Il brodo è dolce, lungo e profumato e mette di nuovo in mostra (ma succederà almeno altre due volte nel corso della serata) la tecnica di questi cuochi, in grado di toccare la materia per farne vibrare gli elementi più significativi – la dolcezza, la morbidezza, la potenza aromatica del corallo – e minimizzare gli spigoli. Il Risotto al nero di seppia chiude questa seconda porzione di menu con un piatto nostalgico e impeccabile nella misura.
ll terzo tempo è una doppietta di portate di carne, entrambe magistrali per cottura e pensiero. L’agnello è servito in forma di cosciotto: è rosa, tenero e succulento come mai prima di qui, servito al naturale, porchetta di collo condito da un ricco fondo profumato e accompagnato da una fresca e balsamica insalata di foglie e fiori. Il piccione (che cottura! che consistenza! che succosità!) sembra replicare la portata precedente per composizione ma su altre sensazioni gustative e aromatiche. Prima dei dolci uno spicchio di Tomme Fleurette dell’affinatore Julien Hazard (di Uccle, comune a sud di Bruxelles) servito su una sottilissima fetta di pane. I dolci, accompagnati da una splendida Framboise di 3 Fonteinen del 2018, ammorbidita e resa complessa dagli anni (emerge una intrigante nota di mandorla amara), sono organizzati in un terzetto composto da una freschissima granita di geranio, basilico e melissa, da un cremoso di olmaria con ciliegia e mandorle fresche e da un semifreddo di lavanda dalla consistenza ariosa e soffice con coulis di mirtilli.
Alla fine di questo pasto, che avrei voluto non finisse mai, il pensiero più ricorrente, spinto anche dalla possibilità di osservare la squadra di cucina mentre cuoce, monta salse, condisce, assaggia, taglia, trita, affetta, compone, serve e completa i piatti davanti al cliente è che quella di Eliane è una cucina possibile solo grazie alla presenza di un gesto nel quale convivono infinita precisione tecnica e smodata sensibilità. Un dualismo grazie al quale piatti minimalisti nelle componenti sono pieni di anima e di profondità. Una cucina dello scegliere, del conoscere e del sentire. Nel quale il prodotto è al contempo integro e trasformato.
Una cucina cucinata, tra le migliori che mi sia mai capitato di incontrare.