al Pier, a Sandrino, a Cristian,
a tutti i miei “diavoli custodi”
assunti nel Cielo degli Osti
I. THE DOCTOR IS IN
Se c’è una parola che rispetto, venero, temo, taccio, proteggo, studio, sogno, coccolo, perché a conti ben fatti ha caratterizzato la mia esistenza quasi per intero, questa è OSTERIA.
Cerco di non utilizzarla mai a sproposito, anche per il fatto che le tracce della “Civiltà dell’Incontro” associata a questo vero e proprio esempio di “Patrimonio Immateriale dell’Umanità” sono rare e preziose, se non già del tutto estinte.
Di conseguenza, anche la parola “oste” suscita in me un certo imbarazzo.
Succede sempre così, con gli epiteti sparati a casaccio, quando non con secondi fini sostanzialmente adulatori.
Molti, infatti, vengono apostrofati con l’epiteto “Maestro”, ma non è nemmeno detto che a qualcuno di loro interessi insegnare alcunché ad alcunchì.
Ad ogni modo, tanto per cominciare uno non diventa sensei se non ha fatto svariati anni di karate e cambiato sette colori alla cintura, prima di quella nera e del settimo dan.
Non sarai mai Papa se non sei stato prima Cardinale, Vescovo e Monsignore, così come nessuno ti darà il titolo di Dottore se prima non ti sei sfangato l’Esame di Laurea, anche se magari in seguito avrai deciso di equiparare le funzioni del tuo sudatissimo Diploma a quelle normalmente deputate alla carta igienica.
Dire “oste” è come dire “pastore di anime”, “missionario laico”, “Padre confessore”, “prete di strada”.
Oppure “medico condotto”, “soccorritore volontario”, “operatore socio-sanitario”, in ogni caso immaginarsi una figura poliedrica collocabile tra l’ente caritatevole, il confessionale e l’ambito dei Lavori Socialmente Utili e del Servizio alla Persona.
Operiamo un distinguo e diciamoci la verità: quanti di quelli che tra noi indossano il costume da oste sono zelanti devoti alla Trinità (Vino-Ospitalità-Abnegazione)? quanti sentono nell’animo quell’intima fedeltà al risvolto etico del mestiere che è il Giuramento di Ippocrate?!
Il bancone di un’osteria somiglia sempre più spesso alla postazione di Lucy Van Pelt (“PSYCHIATRIC HELP – 5¢”), ecco perché tante volte si ricevono mugugni e ringhiate, più che risposte.
Oppure ricorda la passerella di un défilé di grembiuli con fibbie a serraggio per marinaretti firmati Gaultier e tattoed ladies con sirene, pin-up e Betty Boop su bracci e avambracci.
Eppure, nonostante la Deriva dei Tempi e dei Costumi, siamo contenti di fare parte della famiglia umana, di svolgere sostanzialmente un’attività di vicinato necessaria e dal sapore antico, di appartenere al tessuto connettivo di un’intera Comunità, per piccola che sia.
II. CI ANDAVAMO PER OGNI NOSTRO BISOGNO
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