“Sono un tipo un po’… eccessivo”. Da Alain Passard, noto per la sua discrezione, i suoi gesti misurati e la voce pacata, una confessione del genere ci lascia sorpresi. Nelle cucine dell’Arpège, il suo ristorante parigino sul quale dal 1996 brillano tre stelle Michelin, non si sente quasi mai una parola con un tono più alto del dovuto. Nella sala, in compenso, sempre piena, c’è un costante chiacchiericcio, un’esclamazione all’arrivo di una Barbabietola in crosta di sale, manifestazioni di gioia quando lo chef fa un giro tra i tavoli. “Amo la vita, la festa, la tavola, adoro ricevere”, continua Alain Passard, presente ogni giorno, o quasi, nel suo ristorante. Con un locale aperto a pranzo e cena cinque giorni su sette, tre orti da seguire in tre diverse regioni, e delle cene private, talvolta, durante il fine settimana, resta veramente ben poco tempo per gli eccessi. Quelli di Alain Passard sono di tutt’altro tipo. Si tratta sicuramente di un appetito per la vita, ma lì dove altri cercherebbero delle sensazioni forti, il suo côté eccessivo lo spinge a trovare fonti di appagamento in altre pratiche artistiche. “È fondamentale avere delle valvole di sfogo ed è importantissimo avvicinarsi ad altri universi, incontrare gente che non sia del mestiere”.
E così, da oltre 20 anni, suona regolarmente il sassofono. “Lo suonavo proprio stamattina”, sorride “è importante per la gestualità, per l’orecchio, per ammorbidire la mano”. Il suo rapporto con questo strumento ha conosciuto alti e bassi. “Vi sono state delle rotture. Lo lascio, lo riprendo…”. È che il sax non è l’unica passione collaterale del cuoco.

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