Nel cuore del Meatpacking District di Copenaghen, un ex mattatoio dal fascino post-industriale è diventato testimone di una rivoluzione gentile anche grazie a una pizzeria che è diventata un’istituzione e una dichiarazione d’amore per la verità a lievitazione naturale. Una pizzeria con la pretesa (legittima) di far comprendere che il gusto è una cosa seria. mother nasce da qui: non dal branding, ma dalla fame di coerenza.
Mother ha acceso il forno (a legna) nel 2010 con l’intenzione precisa di non spegnerlo più. Il pioniere si chiama David Biffani, romano di nascita, imprenditore per attitudine, londinese per formazione e danese per amore, è il papà di mother. La sua storia in cucina inizia al tempo di Marco Pierre White (siamo nei primi anni Duemila) passa per Giorgio Locatelli e per i catering regali, approda in California tra camere d’hotel e richieste assurde e infine esplode nel posto meno glamour che si potesse scegliere: dove si macellavano animali. Racconta: “Ho visto i segnali che avevo già notato a Londra dieci anni prima. Era una zona degradata, nessuno ci avrebbe scommesso, ma era evidente che sarebbe diventata qualcosa di importante. È successo anche in altre città: New York, Londra… sempre nei mattatoi. Era una zona che sarebbe esplosa di lì a poco”. E la pizza? “Ero fissato con un locale a Bristol, Franco Manca. Facevano pizza con lievitazione naturale, erano tra i primi al mondo a commercializzarla davvero. Ho quindi visto un’opportunità. Perché se riesci a trovare una buona soluzione, puoi tenere un ristorante aperto anche solo con la pizza. Ma dev’essere una pizza buona, costante, e tu devi essere molto bravo. Non solo nel farla, ma nel gestire tutto il sistema”.


mother nasce così: senza clamore, ma con una visione precisa. Fare pizza bene, farla sempre, farla per tutti.
Il cuore di mother non è un concept, è una cosa viva; nel senso tecnico e spirituale del termine. Un lievito madre indigeno, sfamato ogni giorno, con umori, capricci e lunatici cambi di temperatura. Niente scorciatoie. Solo enzimi dell’aria e una farina italiana pensata su misura che danno vita a un impasto di 48 ore di maturazione come minimo sindacale. Il lievito madre è un essere vivente, dice David. Gli parli come a un figlio, lo sfami, lo proteggi. Quello di mother ha quasi vent’anni. A volte fa le bizze, altre vola. È lui, il segreto, l’origine, la sostanza.
Quindici anni fa la scena della pizza a Copenaghen era ancora tutta da scrivere. David ha introdotto per primo la lievitazione naturale su scala cittadina prima che diventasse una cosa sexy, anticipando una tendenza che avrebbe poi contagiato molti chef e ristoratori. mother ha fatto scuola senza mai salire in cattedra. Oggi tutti parlano di pizza “autentica”, in questa pizzeria, semplicemente continuano a farla. Ogni giorno. E ogni giorno la città gli dà ragione: con le code e con il passaparola che vale più di qualunque hashtag.


L’approccio di mother all’approvvigionamento è radicale e responsabile. Gli ingredienti arrivano direttamente da produttori italiani selezionati – Parmigiano Reggiano 24 mesi, olio monocultivar dalla Calabria, pomodori che sanno di estate campana – ma anche da partner locali danesi che condividono la stessa filosofia. E nessuna di queste voci è scritta in grassetto sul menu. Perché mother ha scelto un’altra strada: quella della fiducia. Perché a mother non devi leggere la qualità: devi masticarla. La regola è una: se non è biologico, non entra in cucina. Non si tratta di marketing, ma di coerenza.
La coerenza è il vero lusso, dice David: “Non serve raccontarla, basta farla”.
Qui non si vendono storie, ma sostanza. Oggi che la parola “artigianale” oggi fa rima con “Instagram”, mother ha scelto di offrire una pizza accessibile e allo stesso tempo impeccabile “Per me la pizza è qualcosa di popolare, veloce, coerente. Deve mantenere un certo prezzo e una certa qualità, altrimenti non ha senso”. Continua David: “Abbiamo sempre evitato di vendere la storia” continua David. “Il cliente mangia la pizza e basta. Non sa da dove arriva il parmigiano o l’olio. Lo percepisce, ma non glielo raccontiamo. Questo per me è fondamentale. Se vuoi fare la differenza, lo fai nel piatto, non con il racconto”. E fa un altro esempio pratico: i funghi per la pizza. “Li cuociamo sottovuoto per due ore a 80 °C. Così restano cicciotti, succosi. È un dettaglio, ma fa tutta la differenza. La gente non lo sa, ma lo sente. E queste tecniche da chef le portiamo nella pizza”.
L’etica qui è nascosta sotto ogni crosta. Negli anni mother è diventato un punto d’incontro e ad aprile ha aperto anche una seconda sede, in pieno centro (Østergade). L’impasto è lo stesso, la qualità pure, solo che il forno elettrico sta al posto del forno a legna e qui c’è più passaggio. È un posto più ruffiano, quindi ci scappa anche un aperitivo, qualche snack e qualche insalata. Insomma, il locale si adatta, ma gli ingredienti e la filosofia no. Anche l’impasto si adatta un pochino.
David: “Il nostro impasto è SEMPRE diretto, naturale, fermentato 48 ore. E la nostra cottura è un misto tra quella salernitana e napoletana: intorno ai 400 °C. Il nostro impasto è idratato al 67–70%, a seconda del forno. La pizzeria del mattatoio – “mother mother” – ha il forno a legna ed è più autentica, più “napoletana”, più morbida. L’altra, in centro, è leggermente diversa: abbiamo dovuto adattarci al forno elettrico, che tende ad asciugare di più. Quindi abbiamo aumentato l’idratazione dell’impasto e la cottura e risulta più croccante”.


Nonostante il successo, la ricerca di mother per migliorare non si ferma e soprattutto non si è mai fermata e ora si sta concentrando sugli impasti senza glutine con già ottimi risultati (non certificati per celiaci causa contaminazione). In passato c’è stata persino l’acqua di mare. Non una boutade da storyteller, ma una scoperta organolettica e umana: più sapore, più digeribilità, più coerenza con ciò che siamo. “È stata una delle scoperte più interessanti. Un giorno ci portarono 5 litri di acqua di mare certificata, non quella presa al porto ovviamente. Facemmo un impasto con quella e uno con acqua normale. Non c’era paragone. L’acqua di mare è più saporita, più ricca di minerali, e il nostro corpo reagisce meglio perché ha una composizione simile a quella dei nostri fluidi corporei. Era molto più digeribile”. Poi, per ragioni logistiche e di sostenibilità, è stata accantonata nel periodo Covid. Ma resta lì, nella memoria dell’impasto. David racconta che in radio una esperta di marketing lo accusò di fare storytelling con l’acqua di mare, rispose secco: “Ho rischiato tutto per cambiare l’ingrediente più importante. Non lo faccio per la storia. Lo faccio per fare qualcosa di migliore”. Ecco sintetizzato ancora mother. Non è il trionfo della narrazione. È il contenuto che fa da sé.
mother è il contrario di uno slogan: è una pratica quotidiana.
C’è qualcosa di educativo, quasi politico, nel modo in cui David fa le cose: senza gridare, ma pretendendo. Solo ingredienti veri, relazioni vere, intenzioni vere. E insegna che se vuoi essere coerente, lo devi essere fino in fondo. Non puoi raccontare di qualità e poi comprare la mozzarella da GDO. Non puoi parlare di sostenibilità e poi buttare il pane. mother, ad esempio, ne fa una birra con BRØL, un birrificio che usa il pane invenduto. E anche qui non lo evidenziano in menu. Ma c’è. E funziona.
Il contributo di mother alla cultura gastronomica di Copenaghen è evidente. Ha aiutato la città a scoprire un nuovo modo di pensare la pizza, più vicino alla terra e più lontano dalle mode. E – senza semplificazioni ma con rispetto e intelligenza – si è fatta ambasciatrice di due mondi: l’Italia che non ha dimenticato le sue origini e la Danimarca che ha imparato ad ascoltarle. Perché a volte una pizza, se fatta con criterio, può essere più rivoluzionaria di un manifesto. E in questo caso la pizza da comfort food universale è diventata in un linguaggio gastronomico condiviso.
Suonano le campane, a David ricordano l’infanzia nella campagna italiana e cogliamo l’occasione per parlare un attimo di situazione italiana, “che ha un sistema culinario molto conservatore, un po’ chiuso”. Concordiamo su fatto che l’Italia, per capire chi è, dovrebbe smettere di guardarsi allo specchio e iniziare a guardare chi la rappresenta davvero. E dovrebbe quindi guardare a Copenaghen. Che se oggi è una capitale gastronomica, lo deve anche a mother e a quella “madre” che ha visto passare due decenni di rivoluzione gastronomica. A un italiano che ha preso la parte migliore dell’Italia e l’ha trapiantata dove poteva crescere. E, più in generale, ha dimostrato che l’identità italiana, quando è coerente e viva, può radicarsi ovunque.
mother è proprio il nome giusto. È origine, radice, gesto quotidiano. È pizza, certo. Ma anche rigore, rispetto, visione e soprattutto coerenza. Senza folklore, senza marketing a effetto, solo con il forno acceso e una madre che respira. Non è storytelling. È fermentazione culturale.