Mentre le capitali gastronomiche del mondo continuano ad allargare i propri orizzonti, una nuova generazione di ristoranti fa leva su narrazioni raffinate per creare una sinergia più profonda con la propria clientela. Uno di questi, a Hong Kong, lo fa scomponendo il Piemonte in molteplici punti di contatto culinari.
La cucina italiana è sempre stata una delle più potenti forme di soft power del Paese. Ha saputo sedurre con successo i palati cosmopoliti al punto che, nell’ultimo decennio, questi hanno cominciato a superare gli stereotipi della cucina italiana come monolite, abbracciando invece il mosaico di pratiche gastronomiche radicate in ambienti e usanze profondamente locali. Questo è diventato anche un modo per guardare all’Italia con occhi più attenti alle sfumature.
A migliaia di chilometri dal Mediterraneo, Hong Kong può vantare – forse più di ogni altra città asiatica – una scena gastronomica estremamente diversificata, e di conseguenza, commensali tra i più esigenti. Laddove i ristoranti italiani “tuttofare” non bastano più, sono spuntati specialisti della pizza napoletana e del lampredotto fiorentino, assecondando il desiderio dei locali di sentirsi più intimamente connessi con l’anima del Paese.
Originario di Saluzzo, in Piemonte, Matteo Morello ha aperto Castellana nel 2019 con l’intento di promuovere la cucina della sua terra. Pur non potendo contare su mete turistiche iconiche come Venezia o Roma, il Piemonte è da tempo ben radicato nell’immaginario gastronomico degli abitanti di Hong Kong. Alla Fiera annuale del Tartufo Bianco di Alba, sono spesso proprio i compratori hongkonghesi ad aggiudicarsi i lotti più pregiati, mentre il Barolo delle Langhe è tra i vini più ambiti in città. Come ha scoperto lo stesso Morello, il pubblico locale è pronto ad avventurarsi oltre le specialità più note, addentrandosi con curiosità nel vasto repertorio agricolo della regione.


“Tutti amano il vitello tonnato, ma non mi aspettavo che la Fassona (razza bovina piemontese) piacesse così tanto”
Continua: “Molti clienti apprezzano questa carne perché non è troppo grassa. Sono felici di poter finalmente mangiare qualcosa di diverso dal wagyu, non perché non sia buono, ma perché a Hong Kong è ovunque. La Fassona, invece, la trovi solo in alcuni ristoranti italiani. E non è nemmeno facile da cucinare: essendo una carne magra, basta un piccolo errore perché diventi dura o stopposa” ha raccontato.
Il ristoratore ha validi motivi per essere fiducioso. Lo chef esecutivo Fabiano Palombini, con 35 anni di esperienza alle spalle, guida la cucina a vista con tale naturalezza che chi siede al tavolo dello chef assiste a un autentico spettacolo culinario. La disponibilità di ingredienti di alta qualità provenienti dal Nord Italia gli consente di creare un menu competitivo anche nel feroce mercato gastronomico di Hong Kong. Palombini arriva a definire Hong Kong “il Paese delle Meraviglie” per gli chef italiani, grazie alla fitta rete di fornitori che li supporta nel reperire ciò di cui hanno bisogno. Inoltre, i contatti di Morello in patria permettono di ottenere prodotti iper-locali, fondamentali per “tradurre” una cucina d’influenza alpina in un contesto fortemente urbanizzato.
E “tradurre” è proprio la parola chiave.
Non tutti i commensali stranieri hanno il vocabolario necessario per decifrare le cucine regionali italiane, ma molti sono desiderosi di scoprire. Il bravo cuoco, che è anche un narratore, e sa cosa sta cucinando e per chi, al punto da riuscire a trasformare l’uno in qualcosa che abbia senso per l’altro. “Quando apri un ristorante italiano all’estero, devi capire quali sono le aspettative della clientela non italiana” spiega Morello. Il fatto che sia lui che Palombini abbiano mogli nate a Hong Kong li rende particolarmente sintonizzati con il gusto locale. “La nostra idea è prendere le icone della cucina italiana e reinterpretarle in chiave piemontese, e Fabiano è molto bravo in questo”.
Accanto ai piatti canonici che si trovano nelle tradizionali piòle piemontesi, Castellana propone anche versioni rielaborate di classici come Cacio e pepe o Aglio, olio e peperoncino. Palombini sostituisce alcuni ingredienti con tipicità piemontesi, facendole diventare le vere protagoniste del piatto, e offrendo così ai clienti riferimenti familiari attraverso cui avvicinarsi ai tesori della regione.


“Il pecorino usato nella Cacio e pepe è molto salato, può risultare troppo pungente per i palati asiatici. Qualche anno fa, al matrimonio di Matteo in Piemonte, ho provato per la prima volta il mascarpa, un formaggio locale. Ha lo stesso colore del pecorino, ma è molto più delicato. E ho pensato: se mia moglie riesce a mangiarlo, allora può piacere anche agli hongkonghesi. Così lo scaldo doclemente in padella e lo emulsiono per creare una crema vellutata con cui condisco gli spaghettoni”, racconta Palombini.
Ma l’impegno di Morello per raccontare il Piemonte non si ferma a Castellana. I clienti incuriositi da quanto assaporato nel possono vivere quell’universo in prima persona grazie a un tour che lui stesso organizza tra le colline di Saluzzo e Alba. Un programma ricco di attività li guida attraverso il cuore agricolo e vitivinicolo della regione, seguendo il ritmo delle stagioni, un concetto meno evidente nei climi subtropicali, e quindi ancora più sorprendente per i visitatori di Hong Kong.



Il ristoratore, che ospita i viaggiatori in un ex convento del XV secolo a Saluzzo, ammette che i momenti più felici arrivano quando i partecipanti possono letteralmente “sporcarsi le mani”: Scavare alla ricerca di tartufi neri o pigiare l’uva durante la vendemmia sono esperienze fisiche, tangibili, che restituiscono il sapore concreto della vita da queste parti. “È questo il bello: il Piemonte è una terra con i piedi per terra”, osserva, aggiungendo che il momento più significativo del viaggio alla scoperta della cucina locale avviene ontano dai sentieri gastronomici più battuti – là dove tutto comincia, letteralmente.
“L’ultimo giorno, di solito facciamo un’escursione fino alla sorgente del Po, a circa mezz’ora da Saluzzo. Gli hongkonghesi ne restano affascinati: vedono l’acqua sgorgare dalla montagna che dà vita al fiume più lungo d’Italia. Durante l’ultimo tour, siamo arrivati a un piccolo rifugio, a circa 250 metri dalla sorgente. Sono entrati, hanno comprato bottiglie d’acqua, le hanno bevute, e poi le hanno riempite di nuovo con l’acqua del fiume!”.