Mini-storia
Ceviche & co
Metti il Perù a Firenze e si chiama Sevi
Un huarique contemporaneo nascosto a San Jacopino
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Metti il Perù a Firenze e si chiama Sevi
7 minuti

Pensate a una cucina dal mondo a Firenze e probabilmente vi verrà in mente la numerosa comunità cinese che popola il capoluogo toscano e l’adiacente Prato. Corretto, ma c’è di più, tra altre declinazioni d’Oriente (come Hallasan, che puoi leggere qui) e tavole dell’altra parte del mondo. In via Maragliano, per esempio, a non molta distanza dal centro (il quartiere è San Jacopino), da circa tre anni c’è Sevi, nato dalle mani dello chef peruviano Francys Salazar. Sevi ha due pesciolini nel proprio logo, e il riferimento non sfugge (cioè, a voi non sfuggirà, io subito non l’avevo notato): il nome del locale è l’italianizzazione della prima parte della parola ceviche, il piatto di pesce crudo e leche de tigre (è importantissimo, attenzione, altrimenti di che ceviche si parla?) nato nel Paese del Sud America e (s)popolarizzato poi in tutto il mondo.

Salazar non è un purista stringente quando si tratta di ceviche, o meglio: è proprio lui a mettermi in guardia dalle contraffazioni che non dovessero partire da una base di leche de tigre, ovvero dalla marinatura in cui immergere il pescato. Gli ingredienti sono: succo di lime, cipolla rossa, coriandolo, zenzero, sedano, e peperoncino aji, che cresce spontaneamente sulle montagne del Perù. Assicuratisi di questo, si può anche aprire al “liberi tutti”. La leche de tigre però no, non si tocca.

Francys è arrivato in Italia, a Firenze, dal Perù quando aveva 12 anni, raggiungendo i suoi genitori. “Era la nonna in famiglia quella con la mano davvero buona, credo che tutto per me sia arrivato da lì. Poi mio padre, nel fine settimana, allestiva un chiosco di ceviche nel garage di mia nonna, per tirare su qualche spicciolo in più”. Siamo circa nel 2005, 2006. A casa da soli, mentre i genitori lavorano, Francys e il fratello vogliono replicare i sapori del Perù anche in un altro continente, così si mettono ai fornelli. “Gli ingredienti non arrivavano molto ancora in quel periodo, ma facevamo quello che potevamo. Poi, dopo le medie avevo capito che avrei voluto studiare cucina, anche se mia madre non era della stessa idea. Aveva già avuto a che fare con il mondo della ristorazione e sperava che io prendessi una strada diversa”.

Francys il consiglio lo segue pure, persegue vari studi. Poi, a 18 anni, un ritorno in Perù per un breve periodo di tempo. Praticamente una vacanza, ma sufficiente per capire che la cultura, laggiù, è cambiata, c’è un’aria più dinamica. Così, a 20 anni, un altro ritorno, questa volta per un anno.  Rientrato a Firenze, va a lavorare nella cucina di un ristorante peruviano. Nel 2018 comincia invece a lavorare a quello che oggi si chiama Social Hub: la struttura ha uno splendido rooftop e nasce l’idea di fare un ceviche bar proprio lassù, in alto. Salazar si trova con carta bianca tra le mani, ed è lì che tutto, davvero, è cominciato.

Huarique, nascondiglio, luogo nascosto. Questo il termine usato in Perù per indicare i posticini segreti, pure “sinceri”, per dirla con il trend all’italiana.

Ristoranti informali come quello che il padre di Francys metteva su il weekend. “Come uno speakeasy, ma per il cibo. Dove chi sa, sa che va a mangiare bene”. Sevi, in un certo senso, lo è, perché se non si è di Firenze, probabilmente si farà fatica a conoscerlo. Meglio invece metterlo sulla mappa, come si dice.

“L’Italia ha tanti ristoranti peruviani e la proposta è davvero aderente a quello che si potrebbe trovare in Perù. Forse c’è uno sbaglio diffuso però: quando creano il menu, molti ci mettono dentro un po’ tutto. Finisce che fanno l’effetto di una pizzeria-ristorante, quando invece anche in Perù come dovunque funziona allo stesso modo: un ristorante sarà più forte se si specializza in qualcosa, non se cerca di imbastire un’offerta generalista. Comunque, non stiamo parlando di un fusion alla tex mex, ecco. Quella dimensione non l’ho riscontrata”.

Spesso, nelle città italiane più grandi il “ristorante peruviano” prende la forma di una ristorazione quasi informale, anche da chiosco o da strada. O, a ogni modo, non strutturata in un locale che anche il pubblico occidentale possa facilmente mettere a fuoco, quale per esempio è Sevi. Non credo sia un problema e nemmeno un peccato: può essere una rivendicazione. Francys mi conferma che la dimensione street food è parte integrante della cultura gastronomica del Perù, che peraltro è davvero vasta, come la varietà umana che lo compone con le sue influenze. “Dove caschi, caschi bene”, che si tratti di fine dining o altro.

In questo panorama, Salazar si sente particolarmente legato ad alcuni piatti in particolare: il ceviche senza dubbio (e, per tornare a quello che dicevamo all’inizio, no, il ceviche al pop corn di Bruno Barbieri proprio non l’ha potuto soffrire), poi il lomo saltado, “manzo cotto al wok con verdure, peperoncino giallo, salsa di soia e aceto. È un piatto che ingloba tecniche di preparazione orientali e cinesi in particolare. Si serve con riso bianco e patate fritte. Un altro piatto, o meglio un’altra area di cibo che mi piace molto è quella del pollo. Il pollo è fondamentale in Perù, lo prepariamo in tanti modi diversi. Come il pollo a la brasa, che può sembrare semplice pollo arrosto e invece non ha molto a che vedere con il modo europeo di arrostire un volatile”. Poi piatti dalle cotture lente e ancora il riso chaufa, altra ibridazione con la cucina della Cina (e parte della cosiddetta cucina chifa).

“La verità è che, nascendo in Perù, si è già influenzati in partenza da tutta un’altra serie di cucine, africana, cinese, italiana, spagnola, giapponese”.

All’inizio, Sevi si concentrava più sulla cucina di influenza nipponica, la Nikkei. Nel corso di questi anni, però, hanno capito che non era quella la strada, così hanno aperto a tutta la cucina peruviana con le sue influenze e le sue ricchezze. “Purtroppo, tante persone ormai pensano che la cucina peruviana sia solo Nikkei. Da una parte è bello, certo, perché è una parte della nostra cultura. Ma sarebbe più interessante che ci fosse una conoscenza più piena, che non si limitasse a quello”.

I fiorentini hanno avuto una risposta in crescita, e costante, alla proposta del ristorante. “Dopo i primi due-tre mesi, in cui per forza di cose entravano soprattutto parenti e amici, ha cominciato a svilupparsi un interesse ulteriore. L’80% della nostra clientela è composta da italiani. Ne siamo naturalmente molto contenti”. E ordinano tanto ceviche, anche se sono curiosi di spaziare lungo tutto il menu. E la comunità peruviana? Loro, a volte, dicono che il cibo di Sevi “non è peruviano”, nel senso che le porzioni sono minori, o magari le ricette sono riviste in ottica creativa e sicuramente hanno uno scontrino medio più alto che in altri luoghi.

La parola al menu, dunque: quattro tipi di ceviche, degustazione di ostriche Gillardeau con leche de tigre, per iniziare. Alcune “tapas”: Bao con chicharron (pancia di maiale), Polpo al panko, i Sevi tacos (con reale di manzo, salsa peperoncino, avocado e insalata di cipolla; fenomenali) e poi un Cuore di manzo marinato e scottato con i suoi condimenti. Così anche un Polpo. Prezzi dai 15 ai 18 euro. Si continua poi con il Lomo saltado (25 euro) e una sezione Yakitori: di pluma iberica (26 euro), di Ojo de bife (ribeye argentino, 26 euro) e di branzino laccato al miso (25 euro), consigliatissimo. Nei signature dishes, una Guancia di bovino a bassa temperatura (25 euro), un Riso mantecato in salsa cremosa di mare (25 euro). Tra i dolci spunta un Gelato alla lucuma, frutto il cui sapore è di fatto intraducibile in sé e bisognerebbe aggregare quattro-cinque riferimenti per saltarci fuori. Il pairing bevande può essere effettuato anche con cocktail: e che cosa meglio di un Pisco sour? Questo, almeno, il menu estivo della mia vista di giugno: leggero, easy, classico. Ma a Francys Salazar, e a Sevi, piace cambiare.

Così tanto che per questi mesi è prevista una ristrutturazione del locale, per crearvi anche una sezione chef’s table. Le ambizioni dello chef sono alte e non le nasconde. E chissà che, dice, non arrivi una seconda apertura a Milano. Io, che abito da quelle parti, non potrei che esserne felice.

Posto
Italia/Toscana/Firenze
Sevi

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