Un paio di anni fa avevo provato a capire se, dopo K-pop e K-drama, il prossimo amore dell’Occidente sarebbe stato il K-food. Il risultato fu che, in primis, non avrei sicuramente potuto parlare per tutto il West, ma scherzo, nemmeno ci avrei provato. In secundis, venne fuori che, concentrandosi sull’Italia, il terreno era ancora scarsamente preparato e popolato. Ovvero, anche nelle città maggiori della penisola i ristoranti coreani erano radi e frequentati solo da una nicchia della popolazione fuori-cenante. Mi pareva una relazione complicata, insomma. Possibile, ma ancora difficile da incastrare.
Più o meno nello stesso periodo, a Firenze, apriva Hallasan, locale dedicato al barbecue alla coreana, o korean barbecue. Questo giugno ho pranzato lì. E, anche se credo che la mia risposta al quesito iniziale sia rimasta più o meno la stessa – anche se ne ho ampliate le motivazioni – un’offerta di alta qualità fuori dalle rotte di Roma e Milano mi pare un segnale per cui sperar bene.
Anche se poi, effettivamente, dove lo si dovrebbe mai aprire un ristorante tematizzato in grigliate se non in Toscana, nella roccaforte degli amanti della ciccia?
Ohibò: proprio di recente, a Milano, ha inaugurato Yanso, un korean barbecue all you can eat. Personalmente non avevo ancora intercettato un’offerta del genere, e mi è dispiaciuto constatarlo. In primis perché non ho mai amato le formule “pigliatutto”, né dal punto di vista della qualità, né da quello dell’idea, tantomeno tirando in ballo la morale, lo spreco alimentare, eccetera (ok, qualcuno a 16 anni mi avrà anche visto andare al sushi fusion per sfondarmi e pagare comunque 14,99 euro, ma spero mi concederete l’attenuante dell’adolescenza). Oltre queste comunque primarie motivazioni, l’arrivo di Yanso mi ha pure spiazzato: com’è possibile partire già con le formule illimitate a prezzo fisso, se la penetrazione effettiva della cultura gastronomica coreana in Italia risulta ancora abbastanza limitata?


Veniamo al dunque e vediamo se ci vengono idee nel mentre. L’imprenditore born and raised in Corea del Sud Xu Hilton aveva già 15 anni di esperienza nel campo della ristorazione quando ha aperto Hallasan, il cui nome è un omaggio all’omonima montagna più alta del suo Paese natale. Si parte proprio dalla carne, solo in seguito la carta si arricchirà di piatti come bibimbap e bulgoghi, tutti diffusi nella tradizione sudcoreana (d’ora in avanti scriverò solo coreana invece che sudcoreana, ma il riferimento è sempre alla Corea del Sud). Per realizzare al meglio quest’idea, puntano alla vetta, proprio come vuole il nome. Quindi un impianto griglia a ogni tavolo con braci a carbone (it’s gonna be hot!) e staff dedicato per aiutare nella cottura della carne – serial grillers, questa è per voi: pensate di sapere tutto, ma le tempistiche e i rapidi movimenti per ottenere il migliore risultato sul barbecue coreano potrebbero richiedervi qualche giro di addestramento.
Non solo: la scelta delle carni è ampia e internazionale. Non mancano le proposte dry-aged, e sono disponibili opzioni per un po’ ogni fascia di prezzo e di palato. Si vuole pasteggiare a wagyu? Perfetto, è naturalmente possibile. Lo scontrino si muoverà di conseguenza. Manzo, Angus, maiale (anche iberico): l’importante è procedere all’assaggio in ordine di grassezza, dalla carne più magra alla più corposa. Altrimenti, le papille gustative non tornano più indietro, e ci si rischia di rovinare un bellissimo pasto.
Bellissimo e, per l’esperienza comune dell’italiano a tavola, spiazzante. Innanzitutto per i banchan, ovvero per i contorni vegetali che la cucina coreana accompagna ai piatti principali e al procedere di qualsiasi tavolata. Nel pasteggio a BBQ, la loro presenza è ancora più dirimente: sia perché si tratta di vegetali spesso conservati, o sottaceto, o piccanti, e che perciò aggiungono uno strato di sapore alla carne altrimenti scondita; sia per apportare freschezza e ripulire la bocca passando da un taglio di carne all’altro; e infine, anche perché la carne si può intingere negli intingoli delle verdure. Quasi un obbligo, dopo che lo si prova la prima volta. Anzi, ci si può divertire e cercare il banchan che aggrada di più. Sarà il conosciuto kimchi, cavolo napa fermentato con gochujang, cioè pasta di peperoncino? Oppure la rapa? O quella verdura strana di cui dovremo farci ridire il nome almeno tre volte?
Un altro lato della consumazione non solo del barbecue, ma del cibo in Corea, e che potrebbe spiazzare gli occidentali alla lettura è la scelta di accompagnare le pietanze certo con acqua fresca, certo con birra ghiacciata, ma soprattutto con copiose annaffiate di soju, distillato di riso pericolosamente beverino specie se scelto nelle sue versioni aromatizzate. Last but not least (ma è giusto un’infarinata), i piatti principali non si ordinano praticamente mai da per sé. Lo dichiarano le porzioni, decisamente abbondanti per il consumo singolo. Ah, dimenticavo: la cucina coreana riesce sempre a incastrare la dolcezza da qualche parte, e non si fa nemmeno particolari problemi se in un piatto dovesse mancare una spiccata componente di croccantezza. Lingue avvisate, l’esperienza si farà davvero peculiare, per i non avvezzi.



Non preoccupatevi, però: per chi volesse andarci piano e abituarsi prima alle tecniche di cottura sulla griglia rispetto ai sapori e alle consistenze più aliene, basta che scelga di condire il tutto con fiocchi di sale Maldon, zenzero giapponese, cipolla caramellata e wasabi, per esempio, che vengono prontamente serviti da Hallasan, o con qualcuna delle salse pensate appositamente per la carne. E quando vi troverete davanti foglie di insalata fresche e scondite, belle ampie, con a fianco un po’ di salsa, siate pronti ad arrotolarvi dentro un pezzo di carne appena levato dai carboni e a mangiarlo con le mani.
Al netto dell’ampliamento delle possibilità del palato e del contatto culturale con qualcosa di nuovo, sempre preziosissimi e ben valevoli dello scontrino, il barbecue coreano permette di sperimentare l’esperienza della tavola in un modo diverso: attivamente conviviale, con un boccone bello pieno. E quello che si trova da Hallasan ne è un ottimo esempio. E a maniche corte, anche quando fuori dovesse tirare una brezza fresca. Perché, Xu Hilton mi racconta, forse l’estate non è esattamente la stagione che invoglia gli italiani a sedersi attorno a una griglia rovente, se non si tratta di una festa in giardino. Lo dice con il sorriso, come una battuta, però coglie nel segno. Per il resto, la risposta dei fiorentini, affezionati della carne cotta a puntino (cioè appena-appena) è stata notevole. Perciò, per tornare alla questione dell’inizio: ci sono tante motivazioni di gusto e tradizione per cui la cucina coreana e quella italiana potrebbero avere una conversazione difficile, almeno all’inizio. Al momento, forse, non siamo ancora pronti. Chissà se lo saremo. Intanto, meglio imparare ad attizzare i carboni sotto la griglia di Hallasan.