Pillola verde. Ovvero carboidrati complessi, fibre e vitamina B12, preventivamente posta sul comodino, come ogni sera. Con la stessa mano con cui ha spento la sveglia, Alma l’afferra e se la scaraventa in gola. Deglutisce senza nemmeno un goccio d’acqua. Una notifica con un segno di spunta color verde illumina il telefono, accompagnato dalla scritta “nutrizione completata 1 su 5”; seguita da un panda che si strofina la pancia dicendo “Gnam. Con una colazione così ricca, non potrà che essere una splendida giornata!”.
La città è scandita in traiettorie precise, che si intersecano come una danza, ogni giorno con la stessa precisione, come a ricalcare impronte su carta carbone. Il piacere distrae. L’efficienza realizza e altri slogan si dissolvono sotto ai passi frettolosi. La pavimentazione dei marciapiedi è tappezzata di cartelloni pubblicitari, così da poterli assorbire rimanendo calamitati al workphone. Produttività. Incrocia lo sguardo di una bambina che continua a guardarla mentre è trascinata da una signora. Capelli castano scuro come i suoi e una mollettina con un fiore a maglia.
Poi Alma corre a Óreksis, la multinazionale nutraceutica per cui lavora, dove viene accolta da un’emergenza al laboratorio che ha mandato in tilt il sistema: una formula non funziona più. Il principio attivo pare essersi spento. Veniva replicato dai database, ma a forza di modificare il codice genetico si è perso l’originale. E ora l’erba da cui veniva ricavato non è più disponibile. Nemmeno tra i semi criogenizzati conservati al Polo Nord. La produzione è a rischio e il sistema non ammette vuoti.
Mentre ascolta i suoi colleghi inveirsi addosso, Alma rivede il volto della bambina incrociata per strada. Sua nonna Ofelia diceva che ognuno nasce con un’erba guida, così ogni volta che vede un bambino si chiede quale sia la sua. Vivevano in campagna. Poi sua figlia, la madre di Alma, si ammalò: una malattia rara, autoimmune. Aveva bisogno di protesi, medicine, città. Perciò lasciarono la terra e le piante officinali. Ne ha sempre parlato con fierezza sapendo di aver dato il meglio a sua figlia, ma c’era comunque quella nota malinconica di chi ha sacrificato sé stessa. Era stata una dei leader della controrivoluzione alimentare. Non smise mai di raccontare, infatti. Riti, ricette, preghiere. Non mangiavano mai senza prima annusare, toccare. Le spiegava che ogni pianta ha il suo umore e che non si può cogliere la radice senza chiederle il permesso. Le posava una foglia sulla mano e poi chiedeva: “Che ti dice?”. C’è un codice sotteso in ogni dialogo. A volte le faceva provare piante appena colte e Alma aveva paura. Non sapeva cosa fossero. Allora la nonna le chiedeva se sarebbe stato diverso se l’avesse saputo. “È il sapere che determina il sapore?”. Anche i cibi a cui era abituata, un tempo erano estranei.
Estraneo è anche quel rumore in azienda, che dichiara uno stand-by operativo a causa del problema. Fra grida e proposte Alma pensa che se ci fosse stata adesso, sua nonna, avrebbe saputo dove cercare. E lo capisce: c’è solo un luogo dove può trovare ciò che manca. L’avrebbe portata dai custodi sui monti. Ecco la soluzione. Deve salire sui Monti Silenti. Territorio vietato e pericoloso secondo le mappe ufficiali. Ma si fida del ricordo di sua nonna. Non c’è altra via. Alma si dilegua senza dire nulla. Si mette in viaggio, seguendo le zone d’ombra delle cartine geografiche.
Due bambini accovacciati cucinano delle patate sulla pietra rovente. Quello più grande le gira di tanto in tanto con un bastone a cui è stata grattata via la corteccia e affinata la punta. L’altro lo guarda mentre gioca con un filo di lana scucito del suo maglione. “C’è la mamma o il papà?”, non fa in tempo a finire la domanda che un grido “Chavra!” preannuncia uno sciame di campanelli e belati.
“Mi so mìs a taglià la legna e m’ho ‘nciodàa… M’è scapà l’ura de la mungitura!”
“Pà, gh’è na straniera!” esclama il ragazzino.
“E ‘n m’hoo gnanca accòrt che gh’era quajun!” replica il padre.
Alma si presenta con le mani ancora sudate. Tutti conoscono sua nonna Ofelia lassù. La ricordano con grande rispetto. Chiamano altri compagni, soprattutto anziani, amici della nonna. Portano un fermentato per brindare. Lei si vergogna a rifiutare. Così butta giù. Il suo corpo non è abituato. Nel frattempo imbastiscono un banchetto di benvenuto con cibi concreti. Ride per mascherare l’imbarazzo delle sue papille gustative atrofizzate. Loro non capiscono. Allora lei racconta cosa faccia, la grandezza della missione di Óreksis: abolire le malattie e la fame. Mantenere la nutrizione perfetta, rendendo tutti più energici. A ciascuno il giusto apporto. Da ciascuno il massimo rendimento. Quindi, sempre più ingenuamente, spiega perché sia arrivata fin lì e come loro possano essere la soluzione. “Siamo tutti degli ingranaggi fondamentali in un meccanismo più grande”, conclude come un mantra.
Silenzio.
Un signore ride e commenta. “Un tempo si riempivano senza nutrirsi e oggi si nutrono senza riempirsi”. D’un tratto l’accoglienza ricevuta si fa fredda. Alma si sente in trappola.
“’ssaggia”, dice un altro, porgendogli una grolla, una specie di zucca di legno con sei beccucci.
“Cos’è?”
“Si fidi. Lasci che siano le sue papille a dirlo”.
“Posso sapere cosa diavolo mi state dando?”, inveisce Alma.
Il più anziano la guarda senza scomporsi. “È il sapere che determina il sapore?”.
Mantiene lo sguardo in tono di sfida. Un conato le stringe la gola. Si sente soffocare. Ma a quel punto si fida. Sa che può farlo. Deglutisce senza nemmeno un goccio d’acqua.
Silenzio.
“Non dimenticare. Il gusto è memoria. La memoria è libertà”.