Intervista
utile e dilettevole
Wine Is: un altro modo di raccontare il vino
Il terzo catalogo di Elemento Indigeno: un atlante emozionale del vino contemporaneo
Testo di
Greta Contardo
Foto cortesia
Wine Is: un altro modo di raccontare il vino
9 minuti

C’è un altro modo di raccontare il vino. Un modo che non passa per i soliti sentieri stra-battuti delle denominazioni e dei confini territoriali, ma cammina tra suggestioni simboliche e narrazioni identitarie, tra personalità, esperienze, culture e punti di vista. È questa la strada intrapresa da Elemento Indigeno – il progetto enologico di Compagnia dei Caraibi che ricerca l’essenza dei luoghi, delle persone e delle culture nei modi di vivere e produrre il vino – che nel suo viaggio di esplorazione ha come proposito quello di trattare e interpretare il vino come un linguaggio universale capace di trasportare verso nuovi orizzonti. Un linguaggio che diventa narrazione in bottiglie prima e in calici poi e si trasforma in un atlante sentimentale in un capolavoro catalogo che da strumento commerciale si fa visione editoriale e manifesto culturale.

Premessa: il catalogo è una storia che ogni anno si riscrive e nel caso del brand-new catalogo di Elemento Indigeno (il terzo dalla nascita del progetto enologico, il secondo in quanto a progetto editoriale) a livello editoriale è quello che in gergo si definirebbe una figata. È proprio un bel oggetto: un po’ libro un po’ rivista un po’ schedario, attira l’attenzione con le illustrazioni di Gianluca Cannizzo, incuriosisce, interessa. Poi lo apri, lo sfogli e i capitoli proseguono nell’opera di classificazione dell’oggetto nella categoria “molto interessante oltre che bello”. Volevamo saperne di più, capire perché un catalogo commerciale che parla di vino ha deciso di parlare di rockstar, di guardiani e di backpackers con un approccio e un linguaggio decisamente contemporaneo. Quindi abbiamo approfittato della nuova uscita per fare una conversazione ad ampio respiro con Simona Alesso, wine category manager del progetto Elemento Indigeno che insieme a Tommaso Carluccio (che si occupa del commerciale) ed Emma De Danieli (marketing) costituisce il nucleo del progetto Elemento Indigeno. “È il secondo anno che usciamo con questo formato” racconta Simona. “Il primo è stato l’anno scorso, quando abbiamo cambiato radicalmente l’approccio. In realtà è il terzo catalogo di Elemento Indigeno che facciamo, ma è la seconda edizione con questa struttura nuova”.

Facciamo un passo indietro per capire meglio.

Il catalogo dello scorso anno è nato da un bisogno concreto. Quello precedente era estremamente ambizioso, ma anche difficile da usare: era cartaceo, molto voluminoso, con una copertina in pelle… bello, certo, sembrava un diario di navigazione e non era funzionale. Avevamo bisogno di un nuovo strumento utile anche per gli agenti, per vendere. Così abbiamo pensato a un nuovo modo per raccontare i produttori: non solo bello da vedere, ma anche utile allo scopo. Da lì nasce Wine is, che è il nome del catalogo, a cui ogni anno diamo un sottotitolo diverso. L’anno scorso era Drink without prejudices, cioè bevi senza pregiudizi. Perché? Perché ci siamo accorti che quando presentavamo un vino della Cecoslovacchia, le persone non lo volevano nemmeno assaggiare. C’era un pregiudizio enorme legato alla provenienza.

E come avete affrontato questo problema?

Con degustazioni alla cieca. Coprivamo le bottiglie, facevamo assaggiare e poi rivelavamo l’origine. Le reazioni erano bellissime: “Wow, non l’avrei mai detto!”. Questo ci ha fatto riflettere: l’ordine geografico nel catalogo alimentava il pregiudizio. Se uno vede prima l’Italia, salta tutto il resto. Così abbiamo deciso di rompere gli schemi e ordinare tutto per categorie tematiche, non per Paese”.

Torniamo al catalogo 2025, che si chiama ancora Wine is ma in copertina, se si guarda bene, si puoi leggere anche Wild is: un gioco di trasparenze tipografiche che è già dichiarazione d’intenti. Il sottotitolo? Drink with your spirit animal. A ogni categoria è legato un animale guida che si porta dietro una narrazione e una carica di energia. Le categorie sono otto.

In realtà sono sette più una ‘di servizio’” riprende Simona. “Le abbiamo create io e Tommaso (Carluccio, ndr). All’inizio si trattava solo di un progetto per dare un po’ di materiale alle agenzie, ma ci siamo resi conto che funzionava. Ogni categoria nasce dal modo in cui raccontavamo i produttori: c’era sempre un tema ricorrente, così abbiamo costruito un impianto narrativo coerente.

Eccoci al dunque del progetto. Via la geografia e spazio a nuove categorie narrative che Simona Alesso ci ha spiegato per bene.

La prima è Rockstar, dedicata ai produttori-personaggio. “Quelli che prima ancora di parlare dei loro vini, parli di loro. Andi Weigand, Séléné, Seresin… sono figure forti, riconoscibili, sono visionari. Fanno tutto: vigna, cantina, comunicazione. E spesso fanno anche altro: Andi ad esempio è anche DJ, lo diciamo sempre! Sono produttori che sperimentano, cercano la propria strada, hanno un approccio sperimentale e giovanile, curioso. Li chiamiamo rockstar, con ironia ma anche ammirazione”. Seguita da Roots che è praticamente l’opposto. Qui al centro ci sono i territori storici del vino: Champagne, Borgogna, Langhe… Qui si parla meno delle persone, e più del suolo, delle denominazioni, della storia vitivinicola. Si trovano produttori con un’identità radicata e autorevole che possono usare nomi forti sulle etichette, che fanno vendere.

Poi troviamo Contaminazioni, la categoria che apre le porte e il palato alle “altre fermentazioni”. Quindi non solo vino: sidro, fermentati vari e vini de-alcolati.

Soffermiamoci su quest’ultimo gruppo che sta prendendo sempre più piede nel mercato odierno.

Stiamo lanciando un progetto con Kolonne Null, un brand di Berlino. Non sono ancora all’interno del catalogo perché la commercializzazione partirà questa estate con un test per far conoscere il prodotto per poi integrarlo al racconto dal prossimo anno. Sono tra i più avanti nel mondo dei dealcolati. Collaborano con produttori importanti in Francia, Spagna e Germania. Hanno iniziato comprando vino, ora comprano direttamente l’uva e vinificano loro stessi. Usano la tecnica di dealcolizzazione più all’avanguardia, l’osmosi inversa, così riescono a mantenere i profumi primari del vitigno. Noi li abbiamo assaggiati alla cieca, e ci hanno stupito. Abbiamo scelto cinque delle loro etichette: una bollicina metodo classico, un Verdejo, un rosé, un rosso e un Riesling.

Che tipo di profilo aromatico si trova in questi vini?

Sono molto più secchi rispetto alla media dei dealcolati, che spesso rimangono dolci. Qui c’è più struttura, più fermentazione vera. Manca ovviamente la spalla data dall’alcol, ma non sono semplicemente succhi d’uva. Sono vini veri, solo senza alcol.

Continuiamo a sfogliare e troviamo Rematch che è il contrario di Roots. Infatti, qui ci sono i produttori che non possono contare su grandi denominazioni, che fanno vino in territori marginali, spesso ignorati. Sono proprio loro che urlano più forte e spesso sono molto coesi tra loro: condividono difficoltà, si aiutano. Come a Marsala con Agricola Millami: produttori famosi e meno noti che si spalleggiano, vinificano insieme, vanno in fiera uniti con una forza collettiva bellissima. Poi arrivano i guardiani. Guardian raccoglie i custodi della memoria, della storia del vino. Produttori che lavorano in Armenia, Georgia, Libano dove tutto è nato, ma anche in Sudafrica e in Giappone. Ci sono quelli che hanno riportato in produzione viti selvatiche di oltre 300 anni, quelli che applicano tecniche vinicole conservate per secoli. Storie appassionanti di custodi prima, e di “collezionisti di esperienze”, poi. Backpacker è la categoria dedicata a chi ha viaggiato: produttori che hanno fatto esperienze in California, in Sicilia, in Francia e poi sono tornati a casa con un bagaglio culturale. Oppure viceversa: sono espatriati per fare vino altrove. E ancora Conviviality, dedicata a tutte quelle bottiglie spontanee e disinvolte pensate per la condivisione che raccontano il vino come rituale sociale attraverso simboli culinari e culturali. L’ultima categoria non è proprio una categoria: c’è Last Boxes è la categoria puramente commerciale: sono le ultime bottiglie, le ultime scatole disponibili, senza una narrazione annunciano: wine is finished, fino alla prossima bottiglia.

Ogni categoria ha anche un linguaggio di racconto.

Rockstar segue riferimenti musicali. Roots inizia con proverbi locali. Contaminazioni ha come filo conduttore lo sport. Guardian è raccontata attraverso gli archetipi junghiani (il saggio, il giullare…). Backpacker è narrata con il linguaggio del viaggio. E Last Boxes è rappresentata dal Dodo, l’animale che non esiste più. A proposito, ovviamente c’è anche un animale guida per ogni categoria: è tutto pensato per stimolare l’immaginario. Il panda è il nostro eroe in Rematch: ce l’ha fatta, non è più in via d’estinzione. Anche i nostri produttori ce la faranno!

Oltre alle categorie, avete inserito anche dei redazionali. Cosa sono?

Sono racconti legati a momenti di consumo, trasversali rispetto al catalogo. Ogni redazionale propone una selezione di bottiglie che rispondono a un “quando”, un “dove”, un “come” si beve. Abbiamo i “Vini da ascoltare” sono i comfort wine: quelli che ti accompagnano sul divano, a fine giornata, quelli che porti a casa di un’amica per raccontare una cosa importante. “Vini da bancone” sono i vini da bar: quelli diretti, facili, che bevi chiacchierando con qualcuno accanto a te. Poi ci sono “Vini autogestiti” e “Vini metropolitani”, che raccontano il bere urbano, per strada, in piedi, davanti alle enoteche o nei parchi. “Vini da vernissage” hanno etichette belle, perfetti per un momento artistico. E infine ci sono i “Vini oltremarini”: con acidità alte, sapidità, grande bevibilità. Sono i più funky, perfetti d’estate”

Sono 392 le referenze di 86 cantine raccontate in questo catalogo, proveniente da 26 paesi diversi. L’approccio globale, dando attenzione a tutti i mondi del vino è stato fin dall’inizio una caratteristica essenziale di Elemento Indigeno. Che ora dopo quasi cinque anni dall’inizio del progetto sta puntando anche a rafforzare la presenza italiana. “Si tratta di un catalogo in crescita costante, ma in modo selettivo. Da ottobre scorso abbiamo inserito quattro cantine italiane e una francese. E altre due italiane stanno per entrare: una in Veneto e una nei Colli Piacentini. Stiamo anche lavorando per inserire più bollicine e da ottobre lanceremo una selezione di grandi formati, soprattutto magnum per le feste”.

Wine is non è solo un catalogo è la dimostrazione che oggi il vino può essere raccontato non solo per ciò che è, ma per ciò che evoca. Una sorta di atto di ribellione gentile contro la geografia forzata, i cliché del vino da intenditori e il linguaggio esclusivo dell’enologia classica. Dove ogni bottiglia è un racconto da vivere, non solo da bere.


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