A Carloforte succede una cosa strana: ci si sente meglio. Non ci sente euforici, ci si sente solo meglio. Come quando il corpo allenta, il respiro si abbassa e ti accorgi che non stai più rincorrendo niente. È l’energia di benessere di quest’isola-talismano su cui una ricercatrice ha addirittura basato studi scientifici affermando che a Carloforte la terra emette delle energie che rasserenano chi ci sta sopra. C’è qualcosa nell’aria e nell’acqua, nella geologia, nella storia, nella sua gente, nella bellezza incontaminata della sua natura selvaggia. La sentiamo noi e la sente sicuramente di più una serie di animali “speciali” che hanno scelto l’isola, tra cui i fenicotteri rosa che rallegrano le brilluccicanti saline e il falco della regina che protegge l’isola con il suo occhio vigile.
Carloforte è un baluardo genovese in terra sarda di cui abbiamo una data di fondazione: il 17 aprile 1738, giorno le famiglie di pescatori genovesi originarie di Pegli (che stavano abitando l’isola di Tabarka da secoli per la pesca del corallo) ebbero il permesso di Re Carlo Emanuele III di colonizzare l’isola di san Pietro, un piccolo fazzoletto di terra che galleggia nell’arcipelago del Sulcis. I tabarchini bonificarono l’isola e la fecero loro basando l’economia locale su tre capisaldi: coralli, sale e tonno. Oggi il comune – l’unico centro abitato dell’Isola di San Pietro – è uno dei Borghi più belli d’Italia con il caratteristico dedalo di caruggi stretti di colori pastello e il vento salmastro che porta in giro nell’aria quel particolare dialetto tabarchino in grado di mutare completamente la parlata da “accento sardo” a “molto genovese”. L’Isola è turistica (in stagione) ma non è stata traviata dal turismo. Chi ci passa se ne innamora e non può più fare a meno di tornare, con notevole rispetto e un pizzico di riverenza.
La vita qui pulsa ancora secondo ritmi antichi e tutto gira attorno a una creatura marina: il re del Mediterraneo, il Thunnus thynnus, il pregiatissimo tonno rosso.
Non è retorica dire che Carloforte è la capitale mondiale del tonno. Qui il tonno non è semplicemente pescato: è vissuto, tramandato, raccontato. È nelle fibre dei carlofortini, nel loro saper fare, in ogni dettaglio dell’isola, nei gesti ripetuti della tonnara, nei piatti alla carlofortina. Non è folclore, è cultura viva. Sempre per quella teoria di “energia di benessere”, i tonni rossi ogni anno passano davanti all’Isola di San Pietro in un momento specifico del loro girotondo nei mari: quando sono chiamati tonni di corsa e sono cioè particolarmente fecondi (e con le carni al meglio della forma). Dall’Atlantico, dove trascorrono l’inverno in piccoli gruppi, in primavera entrano nel Mediterraneo dallo Stretto di Gibilterra in grossi banchi per dirigersi verso le acque calde del Mar Nero dove depongono le uova, si riproducono, ripartono e il ciclo continua. Questa tratta segue le correnti ed è sempre la stessa da secoli (probabilmente millenni), per questo l’uomo pescatore una volta compreso l’andazzo non ha esitato a insediare tonnare fisse in alcuni punti strategici delle coste del Mediterraneo in attesa del passaggio del re. Quella di Carloforte è tra le più antiche del Mediterraneo ed è anche l’unica rimasta attiva in Italia.



Contrariamente a quello che si può erroneamente pensare, quello delle tonnare fisse è un sistema di cattura controllata particolarmente sostenibile (da sempre, senza nessuna virata green per compiacere le genti) che è stato sostituito in tempi moderni da altre tecniche deleterie e per niente ambientaliste, tra cui le tonnare volanti (con rete da circuizione), i palangari e gli allevamenti di tonno che hanno portato a catture irresponsabili e scriteriate. Come al solito, puntando al profitto economico si è portato il tonno rosso a rischio estinzione.
Carloforte esula completamente da questa illogica: qui si onora il ciclo della vita, si pesca con coscienza, si vive con misura. Rimane l’unico baluardo di un sistema intelligente e rispettoso (oltre che unico baluardo di una genovesità ad alto rischio di estinzione, ma questa è un’altra storia). Si tratta di un metodo di pesca tradizionale, unico nel Mediterraneo. Non è un caso che proprio da Carloforte parta la visione più ampia della candidatura Unesco delle tonnare mediterranee come patrimonio immateriale. Un’alleanza tra uomo e mare, tra fatica e festa, tra rispetto e abbondanza. Non per nostalgia, ma per futuro. Perché se c’è un modo di pescare senza devastare, di mangiare senza distruggere, di vivere senza sfruttare, questo posto lo conosce.
Carloforte Tonnare è l’unica azienda che pesca e produce tonno nell’Isola con i tonni di corsa nelle stagioni di mattanza. È ancora nelle mani della famiglia Greco (da generazioni) – oggi rappresentata da Giuliano – che è l’unica a gestire una filiera completa che va dalla pesca, alla trasformazione in conserve sott’olio, alla commercializzazione. Il tutto in nemmeno un miglio di distanza visto che i tonni vengono pescati nella tonnara fissa adiacente all’impianto di trasformazione. È un posto intriso di Storia e storie che può vantare una plurisecolare attività mai interrotta, ed è alla base di un sistema economico sociale estremamente importante per l’economia del territorio in cui opera. Ce lo racconta Giuliano Greco.“Da gennaio/febbraio tutta Carloforte si prepara al passaggio del tonno, che avviene, solitamente, dal 15 maggio al 15 giugno”.



Si preparano le reti e tutto l’essenziale per la cura e la pesca. Si fa con calma nel rispetto totale di una tradizione secolare che affonda le sue origini nella comunità tabarchina. È un rito collettivo che coinvolge e richiede la partecipazione di molte persone, a terra e in mare, che sono chiamate a svolgere compiti precisi con destrezza e responsabilità. La tonnara è sia il luogo in cui si lavora il tonno sia l’insieme delle reti che vengono “calate a mare” quando è tempo, ad aprile circa. È un impianto costituito di una serie di camere collegate una all’altra, nell’ultima delle quali, quella della morte, si svolgerà poi la mattanza. A sentire il nome salgono subito i brividi: mattanza, suona come un crimine.
Ma a Carloforte non è strage, è cerimonia, è sacrale rispetto.
C’è una coreografia lenta, millimetrica, tra uomini e mare. Una sorta di balletto ruvido dove i tonnarotti – ciascuno dei pescatori che fanno parte della ciurma addetta alla tonnara – cantano, sudano e seguono alla lettera gli ordini del rais mentre piano piano stringono la rete. Il rais è il re, il capo, colui che ha la responsabilità pesantissima di tutto quello che succede dentro e fuori dall’acqua, ai tonnarotti e ai tonni. Richiede tempo e pazienza questa fase di preparazione della camera e forse funge un pochino da preparazione umana a quello che sarà dopo, che è tutto tranne che la crudeltà che ci si può immaginare. Anzi. Sarà che il termine prepara mentalmente a un massacro disumano, saranno le immagini cinematografiche che in qualche modo abbiamo impresse nella mente, ma a Carloforte non avviene così. Almeno non più, ed è questo quel che conta.
Nonostante tutto sia ancora fortemente manuale e fortemente secondo tradizione, la mattanza non è sinonimo di massacro. Non fraintendete, l’uccisione dei tonni c’è e non possiamo dire che è delicata, stiamo comunque parlando di morte e di pesca e non esiste docilità o non crudeltà nel praticarla, in nessun modo. Ma stiamo parlando di un metodo di iper-selezione (fatta prima con reti a maglie molto larghe e poi fatta a occhio umano prima della mattanza per una ancora più accurata selezione degli animali davvero pronti) e di rispetto del benessere animale fino all’ultimo secondo di vita. Questo dirlo (e per altro lo certificano pure due marchi che attestano il tonno pescato a Carloforte: ECOCREST, che garantisce un sistema di pesca ecocompatibile ed una filiera controllata, e FRIEND OF THE SEA, lo standard di certificazione leader per prodotti e servizi che rispetta e protegge l’ambiente marino).



Una volta stretta a dovere la camera, i tonnarotti si preparano: c’è chi sta nelle barche “di controllo”, c’è chi sta in acqua – nella camera con i tonni – per agganciare gli animali (a mano), c’è chi sta nelle barche con le vasche di ghiaccio, c’è chi si occuperà di gestire l’argano per tirare su i tonni (anche qui a mano, qualsiasi dimensione di tonno), chi si occuperà di praticare l’ikejime non appena l’animale avrà toccato la vasca di ghiaccio. Quest’ultima è una tecnica giapponese sofisticatissima per l’uccisione del pesce che permette di mantenere la qualità della carne e ridurre la sofferenza dell’animale; si neutralizza il sistema nervoso del pesce in modo tale che l’animale muoia senza contrarre i muscoli conservando così intatte le qualità gustative della carne. Vietatissimo prendere a mazzate gli animali, come si faceva invece nelle mattanze cinematografiche cruente che abbiamo tutti in mente.
Il rais dà il via alla mattanza e parte questo sistema di movimenti coordinati, di gesti d’insieme, di comprensione e di vicinanza. Si percepisce anche dalle barche che guardano da lontano la sacralità del sacrificio e il senso di responsabilità e di comunità che vivono i tonnarotti. È un momento di caos controllato, di grida e di rumore di tonni agitatissimi. Alcuni tonnarotti esultano, altri iniziano a bere birrette ancora prima di finire, c’è concentrazione e adrenalina. E, dobbiamo dirlo, c’è un elevatissimo livello di testosterone e di maschilità, anche se – e ci stupisce in positivo – in quella camera con i tonni c’era anche una, unica, donna. E con questo non vogliamo dire che le donne non siano coinvolte nelle tonnare, anzi, c’è tutta l’altra parte del “prodotto tonno” che le vede protagoniste e di fatti ad attendere i tonni allo sbarco sull’isola erano proprio le donne. Fine della parentesi, torniamo alla mattanza. È importantissimo sottolineare che ogni movimento è iper-controllato costantemente da due enti: la Capitaneria di Porto e gli osservatori inviati dal ministero che verificano che ogni operazione svolta sia a norma di legge e nei limiti stabiliti dalle quote tonno. Una volta terminato tutto, i tonnarotti tirano un sospiro di sollievo e distendono i nervi mentre il rais recita la preghiera di rito. Eppure, la mattanza non è una performance, è un’eredità fatta gesto. È l’arte di prendere solo quello che serve, nel modo in cui si deve. Niente fretta, niente disordine. Solo quel ritmo antico che non è mai cambiato perché a quanto pare funziona, perché probabilmente è quello giusto e forse perché se lo tradisci, il mare se ne accorge. Chi guarda la mattanza da lontano ci vede solo la morte. Chi la vive sa che dentro c’è anche la vita e un’etica ben precisa che oggi in pochi capiscono, ma che sicuramente dovremmo capire di più.
Nota a margine: lo scorso anno è mancato lo storico rais della tonnara, Luigi Biggio e Giuliano Greco ha richiamato in tonnara Luca Mei, come nuovo rais che ha accettato con tutta la consapevolezza dell’enorme responsabilità nelle sue mani. A Luca va tutto il nostro rispetto e il più grande augurio per questa grande – e importante – impresa.
Carloforte si racconta attraverso il tonno, sì.
Ma quello che davvero racconta è una cultura fatta di tonni che diventano nutrimento, storia, identità. Perché qui il tonno non è solo un pesce. E non si vende e basta, si celebra. Ogni anno durante il Girotonno, Carloforte si apre al mondo, ma non per fare una sagra. Come ha detto il sindaco Stefano Rombi durante la manifestazione: “Il Girotonno rappresenta l’anima e la tradizione della nostra isola, della nostra comunità, ma al tempo stesso guarda al mondo con spirito di apertura, di dialogo, di collaborazione e di amicizia tra i popoli”. La grande kermesse internazionale per quattro giorni riempie il borgo di eventi a tema tonno (cooking show, lezioni…) ed eventi collaterali (come i vari concerti e dj-set sul lungomare).


Al centro c’è l’evento degli eventi: la World Tuna Competition con ben otto squadre internazionali in gara quest’anno a “competere” per il miglior piatto di tonno, realizzato con il tonno di Carloforte ovviamente: Perù, Italia, Spagna, Francia, Marocco, Filippine, Giappone e Portogallo. A trionfare quest’anno è stata la squadra spagnola composta dagli chef María Busta Rosales e Abel Criado Peliz del ristorante Casa Eustimio che dalle Asturie hanno presentato un piatto “riassuntivo” dei sapori spagnoli, dal titolo: Da Nord a Sud, tour della penisola iberica. Un tonno marinato con una salsa pilpil, essenza di sidro, erba cipollina e zafferano croccante che fin dalla prima manche ha fatto faville nella giuria popolare fino a conquistare un impressionante numero di dieci nell’ultima votazione nella finalissima “contro” il Perù, secondo classificato con un armonico tiradito di tonno. È stato particolarmente apprezzato – e dibattuto – anche dalla giuria tecnica presieduta dal giornalista Roberto Giacobbo e composta da nomi di spicco del racconto gastronomico italiano (tra cui Anna Morelli, la direttrice di Cook_inc.). Stupenda l’atmosfera della competizione senza competizione in cui nel dietro le quinte tutte le nazionalità si sono mescolate per lavorare assieme per ogni piatto in gara. D’altronde, come ha ben ribadito lo chef Luigi Pomata, il maestro carlofortino della cucina del tonno, “la cucina è contaminazione, scambio, incontro”.
E sempre parlando di tonno, dove mangiarlo nella sua capitale? È importante sottolineare che praticamente tutte le attività gastronomiche dell’Isola si riforniscono dalla tonnara, come racconta Giuliano Greco, sia per quel che riguarda il fresco sia nei prodotti sott’olio. Per esser certi che la provenienza del tonno sia Carloforte Tonnare basta cercare le vetrofanie dedicate sulla porta dei locali che certificano l’utilizzo dei prodotti (e sono pure aggiornate ogni anno). Comunque, suggeriamo alcuni posticini che ci sono rimasti nel cuore e che meritano un passaggio obbligato non appena si sbarca sull’isola. Il primo è sicuramente Da Nicolo, storica insegna sul lungomare fondata da nonno Luigi Pomata, portata avanti da papà Nicolo (scomparso lo scorso anno) ora nelle mani dai figli Luigi e Antonello (quest’ultimo che è anche proprietario del Pomata Bistrot, adorabile localino aperto solo a cena nel caruggio retrostante il ristorante).




Da Nicolo si viene per quelle Linguine in carta dal 1973 preparate con il tonno sott’olio (di Carloforte), i capperi, le olive, il pecorino e una sferzata di scorza di limone. Poi in realtà Da Nicolo non ti vorresti più alzare dal tavolo non appena arriva il benvenuto della cucina, il Paté di tonno alla Nicolo (una sorta di mousse libidinosa più che un paté) non ordinabile alla carta “ma se volete ve ne porto un badile” dice Antonello. Rimanendo sul tema pasta con il tonno che non vorresti più smettere di mangiare è da applausi anche quella di Al Tonno di Corsa, altra storica insegna dell’isola dell’istrionico chef patron Secondo Borghero. Si tratta dei Cassulli, gnocchetti carlofortini di pasta fresca con ragù di tonno e pesto. Per “stare bene tutto il giorno” il consiglio è sicuramente Indere, bistrot di nuovissima generazione aperto nel 2024 da Mirko Grosso (carlofortino) e Paulina Bojarska (siciliana con origini polacche), coppia nella vita e nel lavoro che ha deciso di scommettere sull’isola anche al di fuori della stagione turistica. Qui si viene dalla colazione al dopocena, si mangiano piatti con il tonno e anche senza; si sta bene.
Merito dei ragazzi, sicuramente, ma anche di quell’energia di benessere di questa capitale culturale del tonno che rasserena le persone che ci stanno sopra. È un luogo che non cambia il mondo (o magari un pochino sì), ma cambia l’umore. E forse è già abbastanza.